Carlo Goldoni

commediografo e scrittore italiano (1707-1793)
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Carlo Goldoni (1707 – 1793), drammaturgo, scrittore e librettista italiano.

Carlo Goldoni

Citazioni di Carlo Goldoni

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  • Era di notte e non ci si vedea, | perché Marfisa avea spento il lume. | Un rospo colla spada e la livrea | faceva un minuetto in mezzo al fiume. | L'altro giorno è da me venuto Enea, | e m'ha portato un orinal di piume. | Cleopatra ha scorticato Marcantonio; | le femmine son peggio del demonio. (da Il poeta fanatico, III, 7)
  • Il mondo è un bel libro, ma poco serve a chi non lo sa leggere. (da La Pamela)
  • Io non sapea quasi cosa mi fare nel terzo (atto), venutomi in mente che sogliono codeste lusinghiere donne, quando vedono nei loro lacci gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dare un esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili, che hanno vinti per mettere in orrore la schiavitù, che si procurano gli sciagurati e rendere odioso il carattere delle incantatrici sirene. La scena dello stirare, allora quando la Locandiera si burla del cavaliere, che languisce, non muove gli animi a sdegno contro colei che, dopo averlo innamorato, l'insulta? Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse, che io medesimo cotale specchio avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara locandiera. (citato in Gerolamo Bottoni, prefazione a La locandiera)
  • La gola è un vizio che non finisce mai, ed è quel vizio che cresce sempre quanto più l'uomo invecchia. (da La bottega del caffè)
  • Le bugìe sono per natura così feconde, che una ne suole partorir cento. (da Il bugiardo)
  • Oh bella! Ghe n'è tanti che cerca un padron, e mi ghe n'ho trovà do. Come diavol oia da far? Tutti do no li posso servir. No? E perché no? (da Il servitore di due Padroni)
  • [Sulle bugie] Spiritose invenzioni. (da Il bugiardo, I, 4)
  • Tutti cercan di fare quello che fanno gli altri. Una volta correva l'acquavite, adesso è in voga il caffè. (da La bottega del caffè)
  • Una Donna volubile che nel giro di poche ore cambiasi più e più volte, sembrerà a qualcheduno pazza, e più che volubile. Veramente parlando, la volubilità per se stessa è una spezie di pazzia limitata, mentre la ragione suggerisce agli animi la costanza, e chi opera contro ragione suol dirsi pazzo. In tutte le cose vi è il più ed il meno. In un giorno una volubile si cambierà una volta: un'altra due e qualcheduna tre.[1]

Gl'innamorati

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Eugenia e Flaminia
Eugenia: Che cosa avete, signora sorella, che mi guardate così di mal occhio?
Flaminia: Eugenia mia, compatitemi; mi fate tanto venir la bile, che oramai non vi posso più guardar con amore.
Eugenia: Bella davvero! che cosa vi ho fatto, che non mi potete vedere?
Flaminia: Non posso soffrire quella maniera aspra, litigiosa, indiscreta, con cui solete trattare il signor Fulgenzio. Egli è innamorato di voi perdutamente; si vede, si conosce che spasima, che vi adora, e voi non cercate che d'inquietarlo, e corrispondergli con mala grazia.
Eugenia: In verità mi fareste ridere. Avete tanta compassione per il signor Fulgenzio?

Citazioni

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  • Se conoscete che la persona che amate meriti l'amor vostro, disponete l'animo a sofferir qualche cosa. (p. 46)
  • Dalle donne qualche cosa convien soffrire; quando si sa specialmente che una donna vuol bene, non serve il sofisticare, non convien pesar le parole colla bilancia dell'oro, e guardare i moscherini col microscopio per ingrandirli. (p. 47)
  • La sincerità non vi è oro che la paghi. (p. 57)

Citazioni su Gl'innamorati

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  • Gl'innamorati non vivono del rapporto dei due protagonisti con l'ambiente e i personaggi che li circondano, come accade alle altre opere goldoniane. Tutta l'azione si svolge all'interno di loro stessi, del loro modo di amarsi e insieme di ferirsi, di lasciarsi e di perdersi. Mai prima di questa commedia, neppure in un capolavoro assoluto come La locandiera, Goldoni aveva indagato con tanta acutezza sulla passione amorosa, senza per questo rinunciare minimamente agli aspetti comici o umoristici che scaturiscono anche dagli amori più travagliati e più inquietanti. (Giovanni Antonucci)

La locandiera

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Sala di locanda
Il marchese: Fra voi e me, vi è qualche differenza.
Il conte: Sulla locanda tanto vale il vostro denaro quanto vale il mio.
Il marchese: Ma se a me la locandiera usa a me delle distinzioni, mi si convengono più che a voi.
Il conte: Per quale ragione?
Il marchese: Io sono il Marchese di Forlipopoli.
Il conte: Ed io sono il Conte d'Albafiorita.
Il marchese: Sì Conte. Contea comprata.
Il conte: Io ho comprato la Contea, quando voi avete venduto il Marchesato.
Il marchese: Oh basta: son chi sono, e mi si deve portar rispetto.
Il conte: Chi ve lo perde il rispetto? Voi siete quello, che con troppa libertà parlando...
Il marchese: Io sono in questa locanda, perché amo la locandiera. Tutti lo sanno, e tutti devono rispettare una giovane, che piace a me.
Il conte: Oh questa è bella! Voi mi vorreste impedire ch'io amassi Mirandolina? Perché credete ch'io sia in Firenze? Perché credete ch'io sia in questa locanda?
Il marchese: Oh bene. Voi non farete niente.
Il conte: Io no, e voi sì.
Il marchese: Io sì, e voi no. Io son chi sono. Mirandolina ha bisogno della mia protezione.
Il conte: Mirandolina ha bisogno di denari e non di protezione.
Il marchese: Denari?... non ne mancano.

Citazioni

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  • Grazie, signori miei, grazie. Ho tanto spirito, che basta per dire ad un forestiero ch'io non lo voglio; e circa all'utile, la mia, la mia locanda non ha mai camere in ozio. (Mirandolina, p. 18)
  • Il marchese: (Maledetto Conte! Con questi suoi denari mi ammazza.)
    Mirandolina: In verità il signor Conte s'incomoda troppo.
    Il marchese: Costoro hanno quattro soldi, e gli spendono per vanità, per albagia. Io gli conosco, so il viver del mondo.
    Mirandolina: Eh il viver del mondo lo so ancor io.
    Il marchese: Pensano, che le donne della vostra sorta si vincono con i regali.
    Mirandolina: I regali non fanno male allo stomaco. (p. 19)
  • Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne.

Citazioni su La locandiera

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  • Dal pensiero all'azione non v'è in Mirandolina, soluzione di continuità. Pensare vuol dire fare; e sarà timida e vergognosa, suadente e rispettosa, franca ed ingenua, disinvolta e spiritosa; e poi e poi... il resto verrà. (Gerolamo Bottoni)
  • [...] gli uomini non hanno imparato nulla dalle disgraziate vicende del cav. Ripafratta – nemmeno il Goldoni – né nulla mai impareranno. (Gerolamo Bottoni)
  • Il caro e grande Goldoni aveva torto (ebbe ragione il Goethe a dire che Mirandolina sposa il suo Fabrizio per farsene un servo); e doppio torto, per avere insistito ad affermare "che fra tutte le commedie composte fino al 1760 era questa la più morale, la più utile, la più istruttiva", poiché, riflettendo sul carattere e sugli avvenimenti del cavaliere, si sarebbe trovato "un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed una scuola che insegna a fuggir i pericoli per non soccombere alle cadute". (Gerolamo Bottoni)
  • [...] la freddezza inalterabile, il crudele piacere della vendetta finiscono per muovere il nostro sdegno; tanto che per avere un marito servo, l'insulso scioglimento ci soddisfa poco o punto. (Johann Wolfgang von Goethe)

La sposa persiana

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Tamas, ed Alì.

Tamas Non mi annoiare, Alì: son dal dolore oppresso;
Odio gli altrui consigli, odio perfin me stesso.
L'oppio, che pur sai, quanto suole alterar gli spirti,
Nulla giovommi; oh pensa... Vanne; non voglio udirti.

Citazioni

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  • Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato, | e dalle carovane in Ispaan portato. | L'arabo certamente sempre è il caffè migliore; | mentre spunta da un lato, mette dall'altro il fiore. | Nasce in pingue terreno, vuol ombra, o poco sole. | Piantare ogni tre anni l'arboscel si suole. | Il frutto non è vero, ch'esser debba piccino, | anzi dev'esser grosso, basta sia verdolino, | usarlo indi conviene di fresco macinato, | in luogo caldo e asciutto, con gelosia guardato. | [...] | a farlo vi vuol poco; | mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco. | Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto | sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto. (Curcuma: atto IV, scena I; p. 65)

La vedova scaltra

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Notte
Camera di locanda con tavola rotonda apparecchiata, sopra cui varie bottiglie di liquori con sottocoppa e bicchieretti, e due tondi con salviette, candelieri con candele.
MILORD RUBENIF, MONSIEUR LE BLAU, DON ALVARO, IL CONTE DI BOSCO NERO.
Tutti a sedere alla tavola rotonda, con bicchieri in mano pieni di vino, cantando una canzone alla francese, intuonata da Monsieur Le Blau, e secondata dagli altri, dopo la quale

Mon. Evviva la bottiglia, evviva l'allegria.
Tutti. Evviva.
Con. Questo nostro locandiere ci ha veramente dato una buona cena.
Mon. È stata passabile; ma voialtri Italiani non avete nel mangiare il buon gusto di Francia.

Citazioni

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  • Io vedo, che in Francia, in Inghilterra, in Italia e per tutto il mondo le donne ne sanno una più del diavolo! (atto III, scena III)


Memorie di Carlo Goldoni

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Nacqui a Venezia, l'anno 1707, in grande e bella abitazione, situata tra il ponte di Nomboli e quello di Donna-Onesta, al canto di via di Cà cent'anni, nella parrocchia di San Tommaso.
Giulio Goldoni, mio padre, era nato nella medesima città: tutta la sua famiglia però era di Modena.

Citazioni

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  • Come l'appetito rende saporite le vivande![2][3] (parte prima, capitolo V)
  • [...] e finalmente arrivammo a Udine, che è la capitale del Friuli veneziano. [...] Quasi tutte le terre sono feudali, e dipendono dai rispettivi loro sovrani, ed ha inoltre il castello d'Udine una sala di parlamento nella quale gli Stati si adunano; singolar privilegio, che non esiste in verun'altra provincia dell'Italia. [...] La città è bellissima: le chiese sono ricchissimamente decorate, e le pitture di Giovanni d'Udine, scolare di Raffaello, ne fanno il principale ornamento. Vi è un luogo per il passeggio nel mezzo della città, sobborghi piacevoli, e contorni deliziosi. Il palazzo immenso ed i magnifici giardini di Passarean dei conti Manini, nobili veneziani, formano un soggiorno da monarca. (parte prima, capitolo XV)
  • Ero già avvocato, già ero stato presentato alla curia, e non si trattava che di aver clienti: mi portavo ogni giorno al palazzo ad udire le arringhe dei maestri dell'arte; e guardavo per ogni dove se il mio aspetto risvegliava effetti simpatici in qualche litigante, che avesse avuta volontà di produrmi almeno in una causa di appello. Un avvocato novizio non può figurare e farsi onore nei tribunali di prima istanza, ma solo nelle Corti superiori può far spiccare la scienza, la facondia, la voce, la grazia, quattro mezzi in egual modo necessari perché in Venezia un avvocato sia posto nel primo grado. (parte prima, capitolo XXIV)
  • Quante persone non vi sono di modi soavi e di pulitissimo tratto, che mutano poi tono, carattere ed anche aspetto, poste a un tavolino da giuoco? Un uomo generoso divien talvolta furibondo, anche per una perdita leggiera. La cagione non è, egli dice, la perdita del danaro, ma bensì l'amor proprio. (parte terza, capitolo XXV)
  • Non bisogna che le padrone di casa siano le prime ad incominciar la partita, lasciando accomodar gli altri nella maniera che loro piace: ciò è avvenuto più d'una volta sotto i miei occhi, ed io medesimo poi sono stato testimone delle lagnanze di quelli che si son creduti mal collocati. La tombola è un giuoco comodissimo per evitare tutti questi inconvenienti, potendosi adunare all'istessa tavola moltissima gente. La signora che fa gli onori della partita, vi assiste parimente, restando ognuno contento; ma è questo, a parer mio, il giuoco più insipido e noioso che siasi mai immaginato. Approvo che in tutti i giuochi possa molto la sorte, ma quando ho in mano un mazzo di carte, fo almeno qualche cosa; ma alla tombola non fo nulla. Se vinco agli altri giuochi, posso almeno aver la compiacenza di avervi contribuito colle mie proprie combinazioni; e se perdo, nutro pure la speranza di avere evitati molti colpi sinistri, ai quali un altro sarebbe forse soggiaciuto; dimodochè il mio amor proprio rimane in qualche maniera soddisfatto: ma in codesto maledetto giuoco di palline io sono sempre e poi sempre la vittima. (parte terza, capitolo XXV)
  • Sento intorno a me vociare terni, quaderne, cinquine, mentre io non ho altro che estratti, e qualche ambo; divento giuocatore senza saperlo; me la prendo con quelli che vincono, perchè la loro vincita deve per necessità accrescere la mia perdita, onde il mio amor proprio ne resta offeso, non meno che l'interesse della mia borsa. A tutto ciò aggiungesi la noia; insomma, non può esservi regalo più sgradito per me, che quello di farmi l'onore d'offrirmi una cartella. (parte terza, capitolo XXV)

Incipit di alcune opere

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Amor contadino

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Vasta campagna arativa, sparsa di vari fasci di grano mietuto. In lontano colline deliziose, ingombrate d'alberi e vigneti, con caduta d'acque, che formano un vago rivo, sopra il quale si vedono degli alberghi villerecci.
TIMONE, GHITTA, LENA, CIAPPO, FIGNOLO, tutti distesi al suolo dormendo, appoggiati ai fasci di grano. Villani e Villanelle sparsi per le colline.

Tim. Oh dolcissimo ristoro (svegliandosi)
Delle membra affaticate!
S'è dormito, ed al lavoro
Tempo è ormai di ritornar.
Su, svegliatevi.
Su, rialzatevi.
Ritornate a faticar.

Amor fa l'uomo cieco

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Città.
LIVIETTA in abito di Cittadina e MINGONE

Liv. Vi sto ben?
Vi comparisco?
Eh, che ti par? (al Servidore)
Benché nata contadina,
Non sto ben da cittadina?
Non è ver?
Oh, lo credo; non giurar.

Amore in caricatura

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Giardino pensile.
Madama di CRACCHÈ, Monsieur de la COTEROTI, il Marchese CARPOFERO, il Cavaliere TRITOGANO, il Conte POLICASTRO

Mons. Vi presento, madam di Cracchè,
Quest'anemolo colto da me,
E con esso vi dono il mio cor.
Ah che viva, che viva l'amor!

Arcifanfano re dei matti

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Campagna deliziosa con collina amena in prospetto, adornata di vari alberetti; e da un lato veduta della Città, con porta che introduce nella medema.
ARCIFANFANO sotto un trono capriccioso. Due Pazzi, suoi ministri, al tavolino scrivendo; ed altri Pazzi serventi.
Tutti gli altri sei Pazzi, uomini e donne, stanno sedendo, sparsi per la collina sotto gli alberetti; e due Pazzi stanno a' piedi della collina, ascoltando quello che loro dicono.
Li sei Pazzi cantano come segue:

a due Vogliamo l'Arcifanfano
Signor della città.
Veniam per esser sudditi
Noi pur di sua Maestà.

Aristide

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Cortile reale con fontana.
ARISTIDE e CARINO che dorme.

Aris. Sei amor, sei timor, tu che mi guidi
Nell'empia reggia a riveder la sposa?
Mille della sua fede
Prove mi dié. Ma prigioniera oppressa,
Temo che la sua fé non sia la stessa.
Scoprasi dunque... Ma che miro! Al suolo
Prosteso il servo mio riposa in pace?

Bertoldo Bertoldino e Cacasenno

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Camera nel Palazzo del Re.
Il RE, la REGINA, AURELIA, ERMINIO. Paggi e Servi Reali.

Coro Amor discenda
Lieto e sereno;
Fecondo renda
D'Aurelia il seno,
E doni pace
D'entrambi al cor.

Buovo D'Antona

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Luogo campestre, con collina praticabile in prospetto. Da una parte un violino, e dall'altra un rastello che introduce in giardino.
MENICHINA colla rocca filando, CECCHINA facendo le calze.

Men. Quest'aure amate,
Quest'onde chiare
Mi riescon grate,
Mi son sì care,
Che mi consolano
Nel seno il cor.

Chi la fa l'aspetta

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Camera in casa di Bortolo. Un tavolino picciolo da lavorare in mezzo la scena. Varie sedie sparse qua e là.
CECILIA e LISSANDRO

Cec. (Guardando degli orecchini ed altre cose da donna, di pietre false)
Liss. (Tira fuori di quando in quando degli astucchi e delle scatole con dentro simili mercanzie) La varda quelle buccole se le puol esser meggio ligae.
Cec. Le me par troppo grande.
Liss. Se usa. La varda queste.

De gustibus non est disputandum

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Appartamenti.
ERMINIA e CELINDO, sedendo vicini l'uno all'altro in fondo della scena. ROSALBA e il CONTE RAMERINO, ad un tavolino, giocando fra di loro alle carte. Il CAV. DI ROCCAFORTE, ad un altro tavolino, scrivendo. DON PACCHIONE, sedendo da un altro lato, bevendo la cioccolata. Li sei Personaggi suddetti, ciascheduno stando al loro posto, cantano li seguenti versi, mostrando averli ciascuno in un foglio a parte. Poi la baronessa ARTIMISIA

Il mondo è bel, perch'è di vari umori.
Vari sono degli uomini i capricci:
A chi piacciono l'armi, a chi gli amori,
A chi piaccion le torte, a chi i pasticci.
De' gusti disputar cosa è fallace;
Non è bel quel ch'e bel, ma quel che piace.

Filosofia ed amore

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Giardino.
CLORIDEA, LEONZIO, poi MENALIPPE

Clor., Leon., a due
Dolce amor, te solo invoco
Testimon del nostro foco.
Opra tu, che non invano
Questo cuore e questa mano
Pegno sia di vera fé.

Gli amanti timidi

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ARLECCHINO solo.
Ripulisce un abito disteso sopra un tavolino ch'è ben innanzi, e facendo le sue incombenze, parla come segue:

Arl. Dise el proverbio: o servi come servo, o fuggi come cervo: no voggio ch'el me patron s'abbia da lamentar de mi. Ghe piase la pulizia, e amo anca mi la nettìsia. E po el xe cussì bon, ch'el merita de esser servio de cuor. Qualche volta el par un pochetto fantastico; ma un omo che xe innamorà, el gh'ha delle ore bone e delle ore cattive. (porta l'abito sull'altro tavolino, e prende il cappello per ispazzarlo) So mi, che brutta bestia che xe l'amor.

Gli amori di Zelinda e Lindoro

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Camera con un grande armadio nel fondo, due porte laterali aperte che poi si chiudono; ed un tavolino da una parte, ad uso di segretario, col bisogno da scrivere, e sedie.
Fabrizio solo.

Ah! Ci scommetterei la testa che Zelinda e Lindoro si amano segretamente. Li vedo troppo attaccati, e credo, se mal non ho inteso, si abbiano dato l'appuntamento di trovarsi qui insieme. Ecco la ragione, per cui costei mi disprezza, che altrimenti, se Lindoro è segretario, io son mastro di casa, e tutti due serviamo onorevolmente lo stesso padrone, ed ella, quantunque dia ad intendere di esser nata signora, è obbligata, come me, a nutrirsi di pane altrui, ed a servire da cameriera... Ma... Eccoli a questa volta. Vo' chiudermi in quest'armadio, e scoprire, se posso, i segreti loro. Se ne vengo in chiaro, se si amano veramente, non son Fabrizio, se non mi vendico. (si chiude nell'armadio)

Gli uccellatori

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Piazza di villa con veduta in prospetto del palazzo della Contessa, ed abitazioni villareccie dai lati.
PIEROTTO con la stanga in spalla, e gabbie da quaglia in mano, con dentro i quagliotti; TONIOLO con fascio di reti in spalla e gabbie in mano con uccelli da richiamo; CECCO con civetta e solito bastone per la medesima e fascio di vimini vischiati per uccellare.

Tutti tre
Andiamo, compagni,
Che spunta l'aurora;
Dee andar di buon'ora
Chi vuole uccellar.

I bagni di Abano

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Cortile corrispondente ai Bagni, tanto degli Uomini che delle Donne.
ROSINA alla porta del bagno delle Donne, MARUBBIO alla porta del bagno degli Uomini, VIOLANTE, LISETTA, poi RICCARDO, PIROTTO da' loro respettivi bagni.

Rosina, Marubbio
Fuori, fuori dal bagno, signori,
Ché la zuppa dal cuoco si fa.
E chi è lasso dai tepidi umori,
Di ristoro bisogno averà.

I due gemelli veneziani

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Camera di Rosaura.
ROSAURA e COLOMBINA, tutte due alla tavoletta, che si assettano il capo.

'Ros. Signora Colombina garbata, mi pare che l'obbligo suo sarebbe, prima di mettersi in tante bellezze, di venire ad assettare il capo alla sua padrona.
Col. Signora, l'obbligo mio l'ho fatto: vi sono stata dietro due ore ad arricciarvi, frisarvi e stuccarvi: ma se poi non vi contentate mai, e vi cacciate per dispetto le dita ne' capelli, io non vi so più che fare.

I malcontenti

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Camera in casa della signora Felicita.
La signora FELICITA e GRILLETTA

Felic. Lasciatemi stare, Grilletta; sono arrabbiata quanto mai posso essere.
Grill. Questo è fuori del solito; ella suol essere pazientissima per costume, ed ora per così poco vuol dar nelle smanie?
Felic. Ma se mi ci tirano per i capelli! Mi tocca fare una vita la più sciagurata di questo mondo. Ecco qui, ora siamo all'autunno. Tutti vanno in campagna, ed a me tocca star qui.

I mercatanti

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Stanza di negozio in casa di Pancrazio, con suoi banchi e scritture; e vari giovini che stanno scrivendo.
PANCRAZIO e GIOVINI

Panc. (Tre lettere di cambio oggi scadono, e conviene pagarle. Ma pagarle con che? Denari nello scrigno non ce ne sono. La roba conviene sostenerla per riputazione. Oh povero Pancrazio! siamo in rovina, siamo in precipizio; e perché? Per cagione di quello sciagurato di mio figliuolo). (da sé) Avete estratto il conto corrente con i corrispondenti di Livorno? (ad un Giovine)

I morbinosi

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Fondamenta della Zuecca colla veduta del Canale
Sior Felippo e sior Andreetta

And. Cossa diseu, compare? aveu mai più sentio,
Che s'abia un'altra fraggia come la nostra unio?
Ste sorte de spasseti pochi li sa trovar;
Cento e vinti compagni saremo a sto disnar.

I pettegolezzi delle donne

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Camera di Checchina.

CHECCHINA a sedere nel mezzo, BEATRICE ed ELEONORA a sedere vicino a Checchina, donna SGUALDA appresso a Beatrice, e donna CATTE appresso ad Eleonora.
Beatrice – Via, sposina, state allegra.
Eleonora – Questa per voi è una giornata felice.
Cecchina – Oh siora sì, no vorla che staga aliegra? Son novizza.
Donna Sgualda – Oe, zermana, quando vienlo sto to novizzo?
Cecchina – Sior pare ha dito che adessadesso el vien.

I portentosi effetti della madre natura

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Campagna mista di collina e pianura, con una torre antica da un lato.
CETRONELLA, RUSPOLINA, POPONCINO, CALIMONE, Pastori e Pastorelle, sparsi qua e là per la collina e per la pianura, guardando le loro gregge e i loro armenti al pascolo.
La Scena oscura denota mal tempo; formandosi a poco a poco un temporale con tuoni, baleni e fulmini.

Coro di pastori e pastorelle
Giove collerico,
Trattieni i fulmini;
Armenti e pecore
Non spaventar.
Il cielo è torbido,
I venti fremono.
Cessate, o pecore,
Di pascolar.

I puntigli domestici

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Appartamento del conte Ottavio.
BRIGHELLA ad un tavolino, che sta rapando un bastone di tabacco; poi CORALLINA colla rocca, filando.

Brigh. Vardè cossa che i s'ha inventà per far sfadigar la povera servitù! Grattar el tabacco! Invece de pestarlo, grattarlo! Quel che doveria far i facchini, l'ha da far i poveri servitori. (va rapando)
Cor. Brighella, la padrona vi domanda.
Brigh. Se la me domanda, no vedì cossa che fazzo?
Cor. Lasciate di rapare[4], e andate a vedere che cosa vuole.

I Rusteghi

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Camera in casa di Lunardo

MARGARITA che fila. LUCIETTA che fa le calze. Ambe a sedere

Lucietta Siora madre.
Margarita Fia[5] mia.
Lucietta Deboto[6] xè fenìo[7] carneval.
Margarita Cossa diseu, che bei spassi, che avemo abuo[8]?

Il bugiardo

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Notte con luna.

Strada con veduta del canale. Da una parte la casa del Dottore, con un terrazzino. Dall'altra, locanda con l'insegna dell'Aquila.
Nell'alzar della tenda vedesi una peota illuminata, disposta per una serenata con dentro i suonatori, ed una donna che canta. I suonatori suonano una sinfonia.

Florindo e Brighella in terra, da un lato della scena.
Rosaura e Beatrice vengono sul terrazzino.

Flor. Osserva, osserva, Brighella; ecco la mia cara Rosaura sul terrazzino con sua sorella Beatrice; sono venute a godere la serenata. Ora è tempo ch'io faccia cantare la canzonetta da me composta, per ispiegare con essa a Rosaura l'affetto mio.

Il burbero benefico

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Martuccia, Angelica, e Valerio.

Angelica: Valerio, lasciatemi, ve ne prego. Io temo per me, temo per voi. Ah, se noi fossimo sorpresi!
Valerio: Mia cara Angelica!...
Martuccia: Partite, signore.
Valerio: (a Martuccia) Di grazia, un momento. S'io potessi assicurarmi...
Martuccia: Di che?
Valerio: Del suo amore, della sua costanza...

Il buon compatriotto

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Campagna col canale della Brenta ed il Burchiello di Padova, alle porte del Moranzan.
TRACCAGNINO e ROSINA.

Ros. Vegnì qua, sior Traccagnin. Fina ch'el burchiello passa le porte del Moranzan, vegnì qua che gh'ho voggia de parlar un pochetto con vu.
Tracc. (Mostra piacere e volontà di parlare con lei)
Ros. Per quel che m'avè ditto in burchiello, sé bergamasco.
Tracc. (Accorda)
Ros. Sappiè, sior Traccagnin, che son bergamasca anca mi.
Tracc. (Si maraviglia, perch'ella ha detto in burchiello di essere milanese)

Il Campiello

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ZORZETTO con una cesta in terra con dentro piatti, e scodelle, col sacchetto in mano per il gioco detto la Venturina, poi tutte le donne, ad una per volta, dal luogo che sarà accennato.

Zorzetto Pute, chi mette al lotto?
Xè qua la Venturina.
Son vegnù de mattina.
Semo d'inverno fora de stagion;
Ma za de carneval tutto par bon.
Via, no ve fè pregar.
Pute, chi zoga al lotto?
Chi vien a comandar?

Il cavaliere di buon gusto

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Camera del conte Ottavio.
Il conte OTTAVIO in veste da camera e parrucca, sedendo ad un tavolino, leggendo un libro.

Ott. Convien poi dire, che in questo secolo piucché mai fioriscono gl'ingegni peregrini in Italia. Questo libro è sì bene scritto, ch'io lo reputo testo di lingua[9], e in oggi certamente pochi Italiani scrivono in questo stile. Questo sogno è un capo d'opera, e il dialogo fra il calamaio e la lucerna è una cosa molto graziosa. Ma il sole principia a riscaldare la terra. Or ora verranno visite; non voglio lasciarmi trovare in quest'abito di confidenza. Chi vuole esiger rispetto, deve anche in casa propria prendersi qualche piccola soggezione. Chi è di là?

Il cavaliere di spirito ovvero La donna di testa debole

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DON CLAUDIO e GANDOLFO.

Gan. Son quattro giorni in punto che la padrona è qui;
E ch'ella andò lontano è questo il primo dì.
Cla. Dunque non la diverte dalla passione austera
La florida campagna in dolce primavera?

Il cavaliere e la dama

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Camera in casa di donna Eleonora.
DONNA ELEONORA ricamando ad un piccolo telaio e COLOMBINA colla rocca sedendo, che dorme.

Donna Eleonora – Questo tulipano non risalta come vorrei. Bisogna dargli un'ombra un poco più caricata. Vi vogliono due o tre passate di seta scura. Colombina, dammi quel gomitolo di seta bleu. Colombina, dico, Colombina?
Colombina – Signora, illustrissima, eccomi. (svegliandosi)
Donna Eleonora – Tu non faresti altro che dormire.
Colombina – Chi non dorme di notte, bisogna che dorma di giorno. Sino alla mezzanotte si lavora, e all'alba si salta in piedi e si torna a questo bellissimo divertimento della rocca. Signora padrona, anch'io son fatta di carne, e non dico altro.

Il cavaliere giocondo

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Camera in casa del Cavaliere.
Il CAVALIER GIOCONDO in veste da camera e berretta, al tavolino, scrivendo. FABIO, maestro di casa.

Fab. Signor, non ho danaro. Se voi me ne darete,
Provvederò al bisogno.
Cav. Eccone qui. Tacete. (gli dà una borsa.)
Fab. Si spende assai, signore, e badano a venire
Ancor de' forestieri.

Il conte Caramella

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Cortile chiuso con porta in prospetto per dove entrano i vendemmiatori.
CECCO, capo de' Contadini vendemmiatori, DORINA e GHITTA con cestelli d'uva vendemmiata.

Coro Bel godere il dolce frutto
Delle rustiche fatiche;
Bel veder le piaggie apriche
D'uve sparse rosseggiar.

Il conte Chicchera

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Camera in casa di Madama.
LUCREZIA, IPPOLITO, MADAMA LINDORA, Don FABRIZIO e CAVALLINA

Lucr. Serva, Madama.
Mad. Serva, signori.
Ipp. Scusi di grazia. (a Madama)
Mad. Sono favori.
Fabr. Chiedo perdono. (a Madama)
Mad. Serva gli sono.

Il contrattempo

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Camera di Beatrice con tavoletta.
BEATRICE alla tavoletta, CORALLINA che la serve.

Beat. Guarda un poco, Corallina, che ti pare di questi nèi? Li ho io distribuiti bene?
Cor. La distribuzione è bella e buona, ma la novità mi fa un poco di specie.
Beat. Qual novità? I nèi non li ho mai portati?
Cor. Sì signora, li avete portati quando viveva il padrone, ma dacché siete vedova, quest'è la prima volta.

Il festino (Commedia di carattere)

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Camera in casa del Conte
Il CONTE e BALESTRA.

Bal. Creda, signor padrone, la cosa è naturale,
Mancano i sonatori sul fin del carnovale.
Non se ne trova uno di buona o trista razza;
Sono impegnati in feste sino gli orbi di piazza.

Il festino (Dramma giocoso)

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Camera in casa del Conte.
Il Conte BELFIORE e BALESTRA

Con. Tant'è, tant'è, Balestra,
Per terminar l'orchestra
Vuò quei tre suonatori ad ogni costo.
Benché siano impegnati,
Li voglio a casa mia; non vi è riparo.

Il feudatario

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Camera della Comunità, con sedie antiche.
NARDO che siede nel mezzo, con giubbone, berretta bianca, cappello e scarpe grosse. CECCO con fazzoletto al collo, scarpe da caccia, berretta nera e cappello bordato. MENGONE con capellatura e cappello di paglia, giubba grossolana e pantofole: tutti sedendo.

Nar. Sono due ore di sole, e i sindaci non si vedono.
Cec. Pasqualotto è andato colla carretta a portare del vino al medico.
Meng. E Marcone l'ho veduto io a raccogliere delle rape.
Nar. Sono bestie. Non sanno il loro dovere. Sono i sindaci della Comunità, e fanno aspettar noi che siamo i deputati.

Il filosofo

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ANSELMO solo.

Mondo, misero mondo!
Ognuno ti strapazza,
E par che sol tu sia
La cagion d'ogni danno.
Oh di stolto pensier brutale inganno!

Il filosofo di campagna

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Giardino in casa di Don Tritemio.
EUGENIA con un ramo di gelsomini, LESBINA con una rosa in mano.

Eug. Candidetto gelsomino,
Che sei vago in sul mattino,
Perderai, vicino a sera,
La primiera – tua beltà.

Il filosofo inglese

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GIOACCHINO e BIRONE, ciascheduno dalla parte della sua bottega

Bir. Ecco i stampati fogli, che il padron mio vi manda: (a Gioacchino)
I soliti foglietti di Parigi e d'Olanda,
Il Mercurio Galante, che fa tanto rumore,
Ed il corrente foglio del nostro Spettatore.

Il finto principe

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Appartamenti di Rosmira.
ROBERTO e ROSMIRA

Rob. Rosmira, addio. (in atto di partire)
Rosm. Fermati, oh Dio! crudele.
Tu mi lasci? Perché?
Rob. Da me che brami?
Già con nuovi legami
Il tuo cuor, la tua fede,
Altrui porgesti in dono;
E se mia più non sei, più tuo non sono.

Il frappatore

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Sala nella locanda dell'Aquila.
ELEONORA e COLOMBINA

Col. Compatitemi, signora, se entro in un proposito in cui non ci dovrei entrare; ma l'amore che ho concepito per la vostra persona, mi obbliga a farlo.
Eleon. Cara Colombina, conosco che siete una buona giovine, e ho piacere nel trattenermi con voi. So che voi vorreste conoscermi, e che vi svelassi l'esser mio e le mie contingenze, ma questa è l'unica cosa, da cui vi prego di dispensarmi.

Il geloso avaro

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Camera in casa di don Luigi.
DON LUIGI con un ritratto in mano, e poi BRIGHELLA.

Lui. E sarà vero che tu m'abbia a far sospirare? Maledetto ritratto! ti getterò tra le fiamme. E poi, incenerito che sarà il ritratto, mi staccherò dal cuore l'originale? Ah no, s'io non mi strappo il cuore medesimo, in cui il perfido amore ha stampato l'effigie della mia tiranna.
Brigh. Signor...
Lui. Va al diavolo.

Il genio buono e il genio cattivo

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Giardino rustico con vari alberi fruttiferi e varie piante di fiori. Da un lato una capanna grande, di cui non si vede che l'entrata. In fondo la scena due alti cespugli, o due folti boschetti di alberelli truccati uno per parte, e nel mezzo una fontana rustica parimente truccata. Più avanti, di qua e di là, due alberi isolati, uno per parte, anch'essi truccati.
ARLECCHINO e CORALLINA escono dalla capanna ridendo, saltando e cantando.

Cor. Allegramente, Arlecchino.
Arl. Allegri, muggier, allegri.
Cor. Sono così contenta, che mi pare di esser una regina.
Arl. E mi, dopo che son to mario, sento proprio ch'el cuor me bàgola. Salterave sempre co fa un puttelo. Me despiase co dormo. No vorave mai indormenzarme per no perder un momento de consolazion.

Il giuocatore

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Camera da giuoco nel casino
FLORINDO al tavolino da giuoco con lumi e carte, numerando denari; poi BRIGHELLA

Flor. Chi è di là?
Brigh. Illustrissimo.
Flor. Che ora è?
Brigh. Per dirghela, illustrissimo, me son indormenzà un pochetto, e no so che ora sia.

Il gondoliere veneziano ossia Gli sdegni amorosi

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BULEGHIN solo.

Bul. Cosa dirastu mai, Bettina cara,
Che tardi son vegnuo a retrovarte?
Za me feguro
De véderla instizzada,
Rabbiosa co è una chizza,
Buttar le bave come fa un serpente,
E dir che ella de mi no pensa gnente.

Il matrimonio discorde

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Donna FLORIDA alla tavoletta.

Gran miseria d'una sposa,
Che ha il marito cacciatore!
Si alza presto, e dormigliosa
La condanna a star da sé.
Non la guarda appena in faccia,
Favellar non sa d'amore;
E più stima un can da caccia
Di una donna come me.

Il matrimonio per concorso

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Sala comune a più appartamenti, nella locanda di Filippo.
LISETTA e FILIPPO, poi un SERVITORE

Fil. Non temete di niente, vostro padre è fuori di casa; se egli verrà, noi saremo avvertiti, e possiamo parlare con libertà.
Lis. Caro Filippo, non ho altro di bene che quei pochi momenti ch'io posso parlar con voi. Mio padre è un uomo stravagante, come sapete. Siamo a Parigi, siamo in una città dove vi è molto da divertirsi, ed io sono condannata a stare in casa, o a sortir con mio padre. Buona fortuna per me, che siamo venuti ad alloggiare nella vostra locanda, dove la vostra persona mi tiene luogo del più amabile, del più prezioso trattenimento.

Il medico olandese

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Camera con libreria di monsieur Bainer
Mounsier GUDEN e PETIZZ.

Pet. Signor, se trattenersi le aggrada in questo loco,
A casa il mio padrone dee ritornar fra poco.
Gud. L'aspetterò. Frattanto, per non starmi ozioso,
Datemi qualche libro.
Pet. Lo vuol serio, o giocoso?

Il mercato di Malmantile

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Piazza rustica in pianura con fabbriche antiche, e in distanza il castello di Malmantile sopra una collina. Varie botteghe amovibili, con merci e venditori, che formano il mercato, e vari contadini e contadine che vendono i loro prodotti.
BERTO, LENA e CECCHINA ai loro posti. LAMPRIDIO, il CONTE DELLA ROCCA e BRIGIDA che passeggiano per il mercato, e RUBICCONE da un lato per esercitare la sua professione.

Tutti cantano come segue:
Che bella festa, che bel mercato!
Qui tutto è bello, qui tutto è grato:
Non vi è castello più signorile
Del bel castello di Malmantile.
Aria sanissima, – terra buonissima,
Che giocondissima – per noi sarà.

Il Moliere

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MOLIERE e LEANDRO.

Lean. Eh via, Moliere, amico, mostratevi gioviale;
Un autor di commedie, un uom che ha tanto sale,
Che con le sue facezie fa rider tutto il mondo,
Co' propri amici in casa non sarà poi giocondo?

Il mondo alla roversa o sia le donne che comandano

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Cortile spazioso, ornato di spoglie virili all'intorno, acquistate in varie guise dalle accorte Femmine. Termina il cortile con archi maestosi, oltre i quali vedesi la gran Piazza, da dove entrano nel cortile sovra carro trionfale, tirato da vari uomini:
TULLIA, CINTIA, AURORA, precedute da Coro di Donne, le quali portano seco delle catene e delle vittoriose insegne. Mentre si canta il Coro, gli Uomini s'incatenano.

Tull., Cin., Aur., Presto, presto, alla catena.
Alla usata servitù.
Coro Non fa scorno, e non dà pena,
Volontaria schiavitù

Il mondo della luna

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Notte con luna e cielo stellato. Terrazzo sopra la casa di Ecclitico con torre nel mezzo, o sia specula, ed un gran canocchiale su due cavalletti. Quattro fanali che illuminano il terrazzo.
ECCLITICO e quattro Scolari.

Tutti O Luna lucente,
Di Febo sorella,
Che candida e bella
Risplendi lassù,
Deh, fa che i nostri occhi
S'accostino ai tuoi,
E scopriti a noi
Che cosa sei tu.

Il negligente

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Camera in casa di Filiberto.
FILIBERTO a sedere, e LISAURA

Fil. Possibile che un giorno
Non possa star senza pensare a niente?
Con questo tutto il dì rompermi il capo,
Figlia troppo crudele,
Mi farete morir. Voi lo sapete,
Io bramo la mia pace:
Faticare, pensar, m'annoia e spiace.

Il padre di famiglia

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Camera in casa di Pancrazio con due tavolini, con sopra libri, carta e calamaio.
LELIO ad un tavolino, che studia. FLORINDO all'altro tavolino, che scrive. OTTAVIO, che assiste all'uno ed all'altro.

Ott. Testa dura, durissima come un marmo. (a Lelio)
Lel. Avete ragione, signor maestro; sono un poco duro di cervello; ma poi sapete che, quando ho inteso, non fo disonore al maestro.
Ott. Bell'onore che mi fate! Ignorantaccio! Guardate un poco vostro fratello. Egli è molto più giovane di voi, e impara più facilmente.
Lel. Beato lui che ha questa bella felicità. Non ho però veduto gran miracoli del suo bel talento. Si spaccia per bravo e per virtuoso, ma credo ne sappia molto meno di me.

Il padre per amore

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Camera in casa di don Fernando.
Il CAVALIERE ANSALDO e FABRIZIO cameriere.

Cav. Fabrizio, a dirti il vero, non so quel ch'io mi faccia;
S'io rechi questo foglio, s'io il celi, o s'io lo straccia.
Tu sai la mia passione, tu vedi il mio periglio.
Vuò, prima di risolvere, sentire il tuo consiglio.

Il paese della cuccagna

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Spiaggia di mare con veduta di legni naufragati.
PANDOLINO, poi POLLASTRINA

Pand. Chi m'insegna, chi mi dice
L'infelice Pollastrina
Se più vive, poverina,
O se morta è in mezzo al mar?

Il poeta fanatico

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Camera d'Ottavio.
OTTAVIO al tavolino, ELEONORA, FLORINDO, ROSAURA e LELIO, tutti a sedere.

Ott. Signori miei, la nostra nuova accademia si va a gran passi avanzando, e spero sarà ella fra poco annoverata fra le primarie d'Europa, e darà motivo d'invidia e d'emulazione alle più rinomate. Voi mi avete onorato del titolo di principe dell'accademia, ed io non mancherò con tutto il possibile zelo di contribuire all'avanzamento di essa. Signor Florindo, ecco la vostra patente.

Il povero superbo

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Stanza contigua alla cucina, in casa di Pancrazio.
LISETTA e SCROCCA che mangia.

Lis. Via, mangiate e bevete,
E vi faccia buon pro: statevi allegro,
Né temete di nulla.
Scr. Generosa Lisetta,
Io vi sono obbligato:
Toccano il cuor questi bocconi al fresco
La mattina bonora.

Il prodigo

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Cortile in casa di Momolo, corrispondente alla Brenta.
CELIO, BEATRICE, TRAPPOLA fattore.

Trapp. Signori, il padrone non è ancora alzato, e non è solito alzarsi così per tempo.
Beat. Dite a mio fratello che mi preme parlargli.
Trapp. Perdoni; quando è serrato in camera, non vuole che si disturbi.
Cel. Moglie mia carissima, questo vostro fratello vuol essere la mia rovina.

Il Quartiere fortunato

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BELLINDA sola.

Bell. Vedovella ch'è senza marito,
È una vite senz'olmo in campagna,
È una tortora senza compagna,
È una nave che scorta non ha.

Il raggiratore

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Camera in casa del conte Nestore.
Il CONTE, il DOTTORE, CAPPALUNGA ed ARLECCHINO

Con. In due parole vi spiccio tutti.
Dott. La prego io, signor Conte, che ho degli affari alla Curia.
Con. Che mi comanda il signor Dottor Melanzana?
Dott. Voleva renderle conto di quel che ieri s'è fatto per la causa di don Eraclio.

Il ricco insidiato

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Camera in casa del conte Orazio
RAIMONDO e BIGOLINO, uno da una parte, l'altro dall'altra, incontrandosi.

Rai. Buon giorno, Bigolino
Big. Raimondo, vi saluto.
Rai. Mi rallegro con voi. Se ricco è divenuto
Il signor conte Orazio, vostro padron cortese,
Si accrescerà per voi il salario e le spese.

Il ritorno dalla villeggiatura

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Camera in casa di Leonardo.
Leonardo, poi Cecco.

Leonardo: Tre giorni ch'io son tornato in Livorno, e la signora Giacinta e il signor Filippo non si veggiono. Mi hanno promesso, s'io non ritornava subito a Montenero, che sarebbero qui rivenuti bentosto, e non vengono, e non mi scrivono, e ho loro scritto, e non mi rispondono. La mia lettera l'avranno ricevuta ieri. Oggi dovrei aver la risposta. Ma l'ora è passata; dovrei averla già avuta. Se non iscrivono, probabilmente verranno.

Il servitore di due padroni

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Camera in casa di Pantalone
Pantalone, il Dottore, Clarice, Silvio, Brighella, Smeraldina, un altro Servitore di Pantalone.

Silvio Eccovi la mia destra, e con questa vi dono tutto il mio cuore (a Clarice, porgendole la mano).
Pantalone Via, no ve vergognè; dèghe la man anca vu. Cusì sarè promessi, e presto presto sarè maridai (a Clarice).
Clarice Sì caro Silvio, eccovi la mia destra. Prometto di essere vostra sposa.
Silvio Ed io prometto esser vostro. (Si danno la mano.)

Il signor dottore

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Piazzetta del Borgo con Spezieria.
FABRIZIO solo.

Signor Ippocrate,
Signor Galeno,
Io vi voglio essere
Buon servitor;
Ma poco desino,
Ma poco ceno,
Col miserabile
Vostro favor.

Il Teatro Comico

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S'alza la tenda. E prima che intieramente sia alzata, esce ORAZIO, poi EUGENIO.

Orazio Fermatevi, fermatevi, non alzate la tenda, fermatevi. (verso la scena)
Eugenio Perché, signor Orazio, non volete, che si alzi la tenda?
Orazio Per provare un terzo atto di commedia non ci è bisogno di alzar la tenda.
Eugenio E non ci è ragione di tenerla calata.

Il tutore

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Camera di Rosaura.
ROSAURA e CORALLINA, che lavorano.

Cor. Questa tela è molto fina, non vi è dubbio ch'ella vi scortichi le carni.
Ros. Il signor Pantalone mi vuol bene, me l'ha comprata di genio.
Cor. Certamente è una bella fortuna per voi, che siete senza padre, aver un tutore tanto amoroso.
Ros. Mi ama, come se fossi la sua figliuola.

Il vecchio bizzarro

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Casino di giuoco con tavolini e sedie.
MARTINO che taglia alla bassetta ad un tavolino, OTTAVIO e FLORINDO che puntano.

Ott. Va il due a quattro ducati.
Mart. Va. Do xe andà.
Flor. Signor Ottavio, oggi avete la fortuna contraria, Vi consiglio non riscaldarvi.
Ott. Lasciatemi fare. Non mi parlate sul giuoco.

Il ventaglio

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TUTTI – Disposizione e colpo d'occhio di questa prima scena. – GELTRUDA e CANDIDA a seder sulla terrazza. La prima facendo de' gruppetti, la seconda dell'entoilage. EVARISTO ed il BARONE vestiti propriamente da cacciatori, sedendo su i seggioloni, e bevendo il caffè co' loro schioppi al fianco. Il CONTE da campagna con rodengotto, cappello di paglia e bastone, sedendo vicino allo Speciale, e leggendo un libro. TIMOTEO dentro la sua bottega, pestando in un mortaio di bronzo sulla balconata. GIANNINA da paesana, sedendo vicino alla sua porta filando. SUSANNA sedendo vicino alla sua bottega, e lavorando qualcosa di bianco. CORONATO sedendo sulla banchetta, vicino all'osteria, con un libro di memorie in mano ed una penna da lapis. CRESPINO a sedere al suo banchetto, e lavorando da calzolaro con una scarpa in forma. MORACCHIO di qua dalla casa di Giannina verso i lumi, tenendo in mano una corda con un cane da caccia attaccato, dandogli del pane a mangiare. SCAVEZZO di qua dell'osteria, verso i lumini, pelando un pollastro. LIMONCELLO presso alli due, che bevono il caffè colla sottocoppa in mano, aspettando le tazze. TOGNINO spazzando dinanzi alla porta del palazzino, e sulla facciata del medesimo. Alzata la tenda, tutti restano qualche momento senza parlare, ed agendo come si è detto, per dar tempo all'uditorio di esaminare un poco la scena.
Evaristo Che vi pare di questo caffè? (al Barone)
Barone Mi par buono.
Evaristo Per me lo trovo perfetto. Bravo, signor Limoncino, questa mattina vi siete portato bene.
Limoncino La ringrazio dell'elogio, ma la prego di non chiamarmi con questo nome di Limoncino.

Il vero amico

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Camera in casa di Lelio.
FLORINDO solo passeggia e pensa, poi dice.

Flor. Sì, vi vuol coraggio: bisogna fare un'eroica risoluzione. L'amicizia ha da prevalere, e alla vera amicizia bisogna sagrificare le proprie passioni, le proprie soddisfazioni, e ancora la vita stessa, se è necessario. Ehi, Trivella. (chiama)

Il viaggiatore ridicolo

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Camera in casa di don Fabrizio, con varie sedie e tavolino.
DON FABRIZIO, DONNA EMILIA, il CONTE a sedere bevendo la cioccolata, LIVIETTA in piedi, e GIACINTO che serve.

Tutti Quanto è buono il cioccolato
Che si beve in compagnia!
La salute e l'allegria
Fa più bella in tutto il dì.

Ircana in Ispaan

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Stanze in casa di Machmut
MACHMUT e servi

Machmut: Servi, udite la legge che Machmut v'impone,
Mosso al fiero comando da sdegno e da ragione.
Se intorno a questo tetto Tamas errar si vede,
Di por più non ardisca fra le mie soglie il piede.

Ircana in Julfa

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Viale de' platani con veduta della città di Julfa con porta e ponte levatore. Sole che spunta
IRCANA in abito virile sopra un sedile erboso, che dorme fra i platani. BULGANZAR che passeggia a poca distanza.

Bulganzar: Quanto aspettar dovremo, che a Julfa apran le porte?
Quest'aria sul mattino pizzica troppo forte.
Per me poco mi cale, che ho le membra indurate;
Quest'aria in sul mattino pizzica troppo forte.

L'adulatore

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DON SANCIO a sedere, DON SIGISMONDO in piedi.

Sig. Eccellenza, ho formato il dispaccio per la Corte. Comanda di sentirlo?
Sanc. È lungo questo dispaccio?
Sig. Mi sono ristretto più che ho potuto. Ecco qui, due facciate di lettera.
Sanc. Per ora ho poca volontà di sentirlo.
Sig. Compatisco infinitamente Vostra Eccellenza: un cavaliere nato fra le ricchezze, allevato fra gli agi, pieno di magnifiche idee, soffre mal volentieri gl'incomodi. (Tutto ciò vuol dire ch'egli è poltrone). (da sé)
Sanc. Scrivete al Segretario di Stato, che mi duole il capo; e con un complimento disimpegnatemi dallo scrivere di proprio pugno.

L'Amante Cabala

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LILLA e FILIBERTO

Lilla Resti, resti, e non s'incomodi.
Filib. Vuò venir; questo è il mio debito.
Lilla Nol permetto, in verità.
Filib. Se comanda, io resto qua.

L'amante di sé medesimo

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Camera in casa di don Mauro
Il CONTE DELL'ISOLA ed il signor ALBERTO.

Con. Un'ora star con voi solo, amico, mi preme.
Berrem, se non vi spiace, la cioccolata insieme.
Alb. Sior sì, la cioccolata, per bona che la sia,
Par che la riessa meggio bevuda in compagnia.
Che vuol dir, a proposito, sior Conte mio patron?
No la la beve al solito ancuo in conversazion?
Con. Mi sento stamattina lo stomaco indigesto.
Gli altri la bevon tardi; noi la berrem più presto.

L'amante militare

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Camera in casa di Pantalone.
ROSAURA e don ALONSO, ambi a sedere.

Ros. Caro don Alonso, vi supplico a ritirarvi.
Alon. Perché, adorata Rosaura, mi allontanate da voi?
Ros. Perché temo d'essere da mio padre sorpresa.
Alon. Il signor Pantalone è un uomo saggio e ben nato. Sa ch'io sono un uffiziale d'onore, né può rimproverarvi perché io stia in vostra conversazione.

L'amore artigiano

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Piazzetta con varie case e botteghe ancora chiuse.
Vedesi appena l'alba, e a poco a poco si va rischiarando. ROSINA apre la finestra e si fa vedere; poi ANGIOLINA fa lo stesso nell'abitazione sua dirimpetto a quella della ROSINA; poi GIANNINO viene di strada, suonando il chitarrino e cantando.

Ros. (Apre la finestra e si fa vedere)
Bella cosa gli è il vedere
Spuntar l'alba in sul mattino:
Ma se passa il mio Giannino,
Fugge l'alba e spunta il sol.

L'amore paterno

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ARLECCHINO in abito da campagna, e SCAPINO

Scap. Oh oh, signor Arlecchino, ben tornato dalla campagna.
Arl. Com'èla, Scapin? Cossa vol dir? Mi te credeva ancora in Italia. Per che rason et tornà a Parigi?
Scap. Oh bella! il signor Stefanello non mi ha mandato a Venezia per accompagnare a Parigi il signor Pantalone di lui fratello?
Arl. E ben? Stefanello è morto. Pantalon non ha più da venir a Parigi, e ti ti averessi fatto meio a restar in Italia. (Costù no lo posso soffrir; so che una volta l'aveva delle pretension sora Camilla).

L'apatista

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Il Cavaliere e don Paolino.

Paolino: Cavalier, perdonate, se pria non son venuto
D'affetto e d'amicizia a rendervi un tributo.
Cavaliere: Sempre caro mi siete. De' cari amici miei,
Per tempo o lontananza, scordarmi io non saprei.
Se vengono a vedermi, ne ho piacer, ne ho diletto;
Serbo lor, se non vengono, il medesimo affetto;
Stessero i mesi e gli anni a favorirmi ancora,
Quando mi favoriscono son grato a chi mi onora.

L'Arcadia in Brenta

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Camera terrena in casa di messer Fabrizio.
FABRIZIO che dorme sopra una poltrona, in veste da camera, e FORESTO

For. Oh questa sì ch'è bella!
Il padrone di casa
A tutti i Forastieri dà ricetto,
E gli convien dormir fuori del letto.
Con questa bell'Arcadia
Ei si va rovinando, ed io che sono
Da questo sciocco economo creato,
Or che manca il denar, son imbrogliato.

L'avaro

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Don Ambrogio solo.

Oh quanto vale al mondo un poco di buona regola! Ecco qui, in un anno, dopo la morte di mio figliuolo, ho avanzato due mila scudi. Sa il cielo, quanto mi è dispiaciuto il perdere l'unico figlio ch'io aveva al mondo, ma s'ei viveva un paio d'anni ancora, l'entrate non bastavano, e si sarebbono intaccati i capitali. È grande l'amor di padre, ma il danaro è pure la bella cosa! Spendo ancora più del dovere, per cagione della nuora ch'io tengo in casa. Vorrei liberarmene, ma quando penso che ho da restituire la dote, mi vengono le vertigini. Sono fra l'incudine ed il martello. Se sta meco, mi mangia le ossa; se se ne va, mi porta via il cuore. Se trovar si potesse... Ecco qui quest'altro tàccolo, che mi tocca soffrire in casa. Un altro regalo di mio figliuolo; ma ora dovrebbe andarsene.

L'avventuriere onorato

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Camera di donna Aurora.
Donna AURORA e BERTO.

Aur. Viene a me questo viglietto?
Ber. Sì signora, a lei.
Aur. Non vi è la soprascritta. Hanno detto che tu lo dessi a me?
Ber. A lei propriamente.
Aur. Bene, io l'aprirò. Ritirati.
Ber. Mi ritiro.

L'avvocato veneziano

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Camera dell'avvocato in casa di Lelio, con tavolino, scritture, calamaio ed una tabacchiera sul tavolino medesimo.
ALBERTO in veste da camera e parrucca, che sta al tavolino scrivendo, e guardando libri e scritture; poi LELIO

Alb. Me par impossibile che el mio avversario voggia incontrar sto ponto[10]. La rason xe evidente, la disputa è chiara, e l'articolo xe dalla legge deciso.
Lel. Signor Alberto, che fate voi con tanto studiare? Prendete un poco di respiro; divertitevi un poco. Non vedete che il sol tramonta? Sono quattr'ore che siete al tavolino.
Alb. Caro amigo, se me volè ben, lasseme studiar; sta causa la me preme infinitamente.
Lel. Sono otto giorni che non si fa altro che parlare di questa causa. Un uomo del vostro sapere e del vostro spirito dovrebbe a quest'ora esserne pienamente in possesso.

L'erede fortunata

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Camera in casa di Pancrazio, con varie sedie.
PANCRAZIO, OTTAVIO, DOTTORE, FLORINDO ed un NOTARO, tutti a sedere, e TRASTULLO in piedi.

Panc. Signor Dottore, adesso si leggerà il testamento del quondam signor Petronio vostro fratello, e se voi sarete l'erede, o se voi sarete il tutore di Rosaura sua figlia, son pronto a darvi tutto, fino a un picciolo. Egli è morto in casa mia, ma è morto in casa di un galantuomo. Siamo stati compagni di negozio, e ci siamo amati come due fratelli. Gli sono stato fedele in vita, gli sarò fedele anche dopo morte; e mi scoppia il cuore nel pensare che il cielo mi ha tolta la cosa più cara che aveva in questo mondo. Signor notaro, apra il testamento e lo legga.

L'impostore

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Luogo campestre con osteria.
BRIGHELLA in divisa militare, con bastone e schioppo da sargente, alla testa di alcuni soldati ch'egli fa marciare con ordine, e dopo aver loro comandato alcuni piccioli movimenti, li fa schierare in fondo alla scena, e riposare sull'armi. ORAZIO da un lato sta osservando l'operazion di Brighella, dopo di che questi si accosta ad Orazio, parlando fra di loro, in distanza tale da non essere intesi dai soldati.

Oraz. Bravo, signor sargente. (ironico)
Brigh. Grazie umilissime all'onor che me fa l'illustrissimo signor capitano, (anch'egli con ironia)
Oraz. In confidenza. A questi nostri soldati che cosa daremo da mangiare e da bere?
Brigh. Per darghe da bever ghe penso mi; basta che vussioria ghe daga da magnar.

L'impresario di Smirne

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Sala comune nella locanda di Beltrame.
Beltrame aggiustando i mobili della sala, poi il Conte Lasca

Las. Buon giorno, messer Beltrame.
Beltr. Servitor umilissimo del signor Conte. Che cosa ha da comandarmi?
Las. Mi è stato detto, che al vostro albergo sono arrivati ieri de' virtuosi; è egli vero?
Beltr. Sì signore. Un soprano e una donna.

L'incognita

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Campagna, e si vede l'aurora che va dilatandosi.
ROSAURA e FLORINDO

Ros. Oh Dio! Florindo, dove mi conducete voi?
Flor. Andiamo, e non temete. Un calesse ed un cavallo ci aspettano. Voi salirete in calesse con Colombina, io a cavallo vi seguirò, e fra un'ora al più saremo in luogo sicuro.
Ros. Ah, l'onor mio vi sia a cuore!

L'ippocondriaco

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MELINDA sola.

Crepa, schiatta, in malora,
Prego il ciel che da vero
Ti venga tutto il mal ch'hai nel pensiero.
Si può sentir di peggio!

L'isola disabitata

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Spiaggia marittima nel litorale dell'Isola con navi in qualche distanza, e varie feluchette vicine, dalle quali sbarcano ROBERTO, VALDIMONTE, GARAMONE, PANICO, CAROLINA, GIACINTA, MARINELLA, Artefici, Marinari e Soldati.

Coro pieno Che bel piacere dal mare infido
Scender contenti sul caro lido!
Goder la pace, la libertà!

L'osteria della posta

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Il MARCHESE, il TENENTE e il CAMERIERE dell'Osteria.

Ten. Ehi, oste, camerieri, diavoli, dove siete?
Cam. Eccomi a servirla. Comandi.
Ten. Una camera.
Cam. Eccone qui una. Restino pur serviti.

L'uomo di mondo

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Strada con canale in prospetto, da un lato la casa del Dottore Lombardi, e dall'altro la locanda di Brighella coll'insegna del Fungo.
Vedesi arrivare una gondola col suo GONDOLIERE. SILVIO e BEATRICE da viaggio sbarcano. TRUFFALDINO sta in attenzione, per portar se occorre. LUDRO in disparte, che osserva, poi BRIGHELLA dalla locanda.

Gond. Per terra[11]. (gridando forte)
Truff. Son qua mi. Volìu che porta la gondola?
Gond. No vôi che portè la gondola, sior martuffo[12], ma sto baul.
Truff. Dove l'hoi da portar?
Gond. Qua, alla locanda del Fongo.

L'uomo prudente

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Notte. Camera di Beatrice, con tre tavolini e sedie, candelieri con candele accese, e sei tazze di tè.
BEATRICE a sedere al tavolino di mezzo. LELIO a sedere accanto di lei. DIANA a sedere al tavolino a parte sinistra. OTTAVIO a sedere presso di lei. ROSAURA a sedere al tavolino a parte dritta. FLORINDO accanto di lei. Tutti bevendo il tè.

Beat. Signor Lelio, sentite com'è grazioso questo tè.
Lel. Non può essere che grazioso ciò che viene dispensato da una mano, ch'è tutta grazia.
Beat. Voi sempre mi mortificate con espressioni di troppa bontà.
Lel. Il vostro merito eccede qualunque lode. Poh! che peccato! Un vecchio di sessant'anni ha da possedere tanta bellezza nel core degli anni suoi!

La bancarotta

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Strada con varie case.
SILVIO e BRIGHELLA

Brigh. Lustrissimo, se la me permette, gh'ho da dar una polizza.
Silv. Date qui. Conto dell'Illustrissimo Signor Conte Silvio Aretusi. D.D. A chi devo dar io?
Brigh. La leza in fondi, e la troverà el nome del creditor.
Silv. A Pantalone de' Bisognosi, all'insegna della Tarantola. Che pretende da me costui?
Brigh. El desidera che la ghe paga quel conto de roba, che vussustrissima ha avudo dalla so bottega.
Silv. Lo pagherò quando vorrò.

La birba

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ORAZIO di casa, cacciato da quattro che poi affiggono su la porta un cartello, e partono.

Oraz. Piano, piano, signori,
Abbiate compassione
D'un pover galantuomo.
In camiscia restar sopra la strada
Degg'io con questo freddo?
Cotanta crudeltade in voi non credo.

La Bottega da caffè

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NARCISO e Garzoni.

Narc. Ànemo, spiritosi,
Disinvolti, graziosi,
Ché per spazzar la nostra mercanzia
Sora tutto ghe vuol galantaria.

La bottega del Caffè

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Ridolfo, Trappola e altri garzoni
Ridolfo Animo, figliuoli, portatevi bene; siate lesti e pronti a servire gli avventori, con civiltà, con proprietà: perché tante volte dipende il credito di una bottega dalla buona maniera di quei che servono.
Trappola Caro signor padrone, per dirvi la verità, questo levarsi di buon ora, non è niente fatto per la mia complessione.
Ridolfo Eppure bisogna levarsi presto. Bisogna servir tutti. A buon'ora vengono quelli che hanno da far viaggio, i lavoranti, i barcaruoli, i marinai, tutta gente che si alza di buon mattino.

La buona famiglia

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La signora COSTANZA, la signora ISABELLA, LISETTA; tutte tre lavorano.

Isab. Come è bello questo lino, signora madre.
Cost. Vuol venire una bellissima tela.
Isab. Mi par mill'anni che si dia a tessere.
Cost. Sollecitatevi a dipanare.

La buona figliuola

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Giardino delizioso, adorno di vari fiori, con veduta del Palazzo del Marchese.
CECCHINA sola.

Che piacer, che bel diletto
È il vedere, in sul mattino,
Colla rosa il gelsomino
In bellezza gareggiar!
E potere all'erbe, ai fiori,
Dir son io coi freschi umori,
Che vi vengo ad inaffiar.

La buona figliuola maritata

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Camera.
MARIANNA, il CAVALIERE e MENGOTTO

Cav. Della bella Marchesina
Son cognato e ammirator.
Meng. Della cara padroncina
Son vassallo e servitor.
Mar. Obbligata al Cavaliere; (al Cavaliere)
Aggradisco il buon amor. (a Mengotto)

La buona madre

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Camera in casa della signora Barbara.
BARBARA stirando delle camiscie ed altre cose bianche sottili, e GIACOMINA che lavora; poi MARGARITA

Barb. Margarita. (chiamando)
Marg. Siora. (di dentro)
Barb. Vardè, se quel altro fero xe caldo, portèmelo.
Marg. Siora sì, deboto[13]. (di dentro)
Barb. De diana[14]! co sto fredo i feri se giazza subito.
Giac. Mi gh'ho le man inganfie[15] che me scampa l'ago dai déi.

La buona moglie

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Camera in casa di Bettina.
BETTINA a sedere, che fa le calze e sta cullando un bambino, poi MOMOLA.

Bett. (Cullando canta) Sto putelo no vol dormir. No so cossa mai che el gh'abia. No gh'ho mai un'ora de ben. Uh, quanto che stava megio da maridar! Almanco dormiva i mi soni, laorava co ghe n'aveva vogia, e andava a spasso co voleva. Me recordo che el me lo diseva el sior Pantalon, mio missier: Betina, magnerè el pan pentio. Oh! lo magno, lo magno. No credeva mai che Pasqualin me avesse da far sta cativa vita. Malignaze le cative pratiche! No gh'è caso: sto putelo no vol dormir. Momola. (chiama) Adesso vita mia, sangue mio, te farò far la papa, sa, caro. Momola. Momola. Anca sì che sta frasconazza xe sul balcon! Momola.

La burla retrocessa nel contraccambio

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Camera.
GOTTARDO e PLACIDA

Gott. E bene. Cosa c'è? Cos'avete? Dopo sei giorni di matrimonio, cominciate di già a farmi il grugno?
Plac. Veramente in questi primi giorni voi mi date gran ragione di star allegra!
Gott. E di me vi potete voi lamentare?
Plac. Bella cosa! maritati senza fare un poco di nozze, senza dare un pranzo né ai nostri amici, né ai nostri parenti!

La calamita de' cuori

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Tempio dedicato ad Amore col simulacro di Cupido ed ara accesa.
ARMIDORO, GIACINTO, PIGNONE e SARACCA

Bell'idolo d'Amore,
Che m'impiagasti il core,
Dinanzi a te vengh'io
A chiederti pietà.
La bella e saporita
De' cuori calamita
Ti chiede la mia fede,
La mia sincerità.

La cameriera brillante

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FLAMINIA e CLARICE.

Clar. Questa è una vita da diventar etiche in poco tempo.
Fla. Io per me ci sto volentierissima in villa.
Clar. Ed io non mi ci posso vedere.
Fla. In quanto a voi, state mal volentieri per tutto. A Venezia non vedevate l'ora di venir in campagna; ora che ci siete, vorreste andarvene dopo tre giorni.

La Cantarina

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Madama GELTRUDA e LORINO

Mad. Ve l'ho detto, e il torno a dir:
Gelosia non vuò soffrir.
Lor. Ve l'ho detto, e lo dirò,
Che resistere non so.
Mad. Sarò vostra.
Lor. Tutto, o niente.
Mad. Un trattare indifferente
Tollerare non si può?
Lor. Non si può: madama no.

La casa nova

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Camera d'udienza nella casa nova.
SGUALDO Tappezziere, Pittori, Fabbri, Falegnami che lavorano intorno alla camera, poi LUCIETTA

Sgu. Fenimo sta camera za che ghe semo. Questa ha da esser la camera da recever; e el paron el vol che la sia all'ordene avanti sera. Intanto, che i fenisse de far la massarìa[16], el vol sta camera destrigada[17]. Da bravo, sior Onofrio fenì de dar i chiari scuri a quei sfrisi. Vu, mistro Prospero, mettè quei caenazzetti[18] a quela porta; e vu, mistro Lauro, insoazè[19] quella erta, e destrighèmose, se se pol. (i lavoratori eseguiscono)

La cascina

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Campagna parte in collina, parte in pianura, con animali bovini che vanno qua e là pasturando.
La LENA e la CECCA, sedendo sopra alcuni sassi al piano, colle loro rocche filando. PIPPO e BERTO in collina, tagliando il fieno. La LENA e la CECCA, cantando insieme.

Io non conosco amore,
E pur lo provo al cor.
Ditemi voi, pastore,
Che cosa sia l'amor.

La castalda

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CORALLINA ed ARLECCHINO seduto ad una tavola, che mangia e beve.

Cor. Animo, animo, mangiate e bevete, che buon pro vi faccia.
Arl. Oh che onorata gastalda! Oh, quanto che ve son obligà! Cussì sti bocconcini la mattina per el fresco i me tocca el cuor.
Cor. Mangiate, che ve lo do volentieri. (Già il padrone non sa niente, ed io mi voglio far degli amici, per tutto quello che potesse nascere). (da sé)
Arl. Alla vostra salute. (beve)

La contessina

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Camera di Pancrazio.
PANCRAZIO e LINDORO

Pancr. Vieni fra le mie braccia, amato figlio.
Ma no, degno non sei
Della mia tenerezza. All'amor mio
Non corrispondi, no. Sei giorni sono
Che in Venezia sei giunto, ed oggi solo
A me veder ti lasci? Ah figlio amato,
Quanto piansi per te! Sei un ingrato.

La conversazione

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Camera di conversazione, con sedie.
MADAMA LINDORA, Donna BERENICE, Don FILIBERTO, Don FABIO, SANDRINO, GIACINTO e LUCREZIA, tutti a sedere bevendo la cioccolata.

Tutti
Che bevanda delicata!
Che diletto che mi dà!
Viva pur la cioccolata,
Che dà gusto e sanità.

La dama prudente

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Camera di donna Eularia.
COLOMBINA che sta facendo una scuffia, ed il PAGGIO.

Col. Paggio, fatemi un piacere, datemi quelle spille.
Pagg. Volentieri, ora ve le do. (le va a prendere da un tavolino)
Col. Non vi è cosa che mi dia maggior fastidio, quanto il far le scuffie. Poche volte riescono bene. La mia padrona è facile da contentare; non è tanto delicata, ma se va in conversazione, subito principiano a dire: Oh, donna Eularia, quella scuffia non è alla moda. Oh, quelle ale sono troppo grandi! La parte diritta vien più avanti della sinistra. Il nastro non è messo bene; chi ve l'ha fatta? La cameriera? Oh, che ignorante! Non la terrei, se mi pagasse. Ed io non istarei con quelle sofistiche, se mi facessero d'oro.

La diavolessa

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Camera nobile di locanda.
DORINA e GIANNINO, poi FALCO

Dor. Ho risolto, voglio andar.
Non mi state a tormentar.
Giann. Ah, Dorina, per pietà,
Mi volete lasciar qua?
Dor. Vostro danno: voglio andar.
Giann. Mi volete abbandonar?

La donna bizzarra

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MARTORINO ed il CAPITANO.

Mar. Oh signor capitano, venuto è di buon'ora!
Cap. La padrona è levata?
Mar. Non ha chiamato ancora.
Cap. Ier sera è andata a letto tardi più dell'usato?
Mar. Anzi vi andò prestissimo. Non ha nemmen cenato.

La donna di garbo

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ROSAURA e BRIGHELLA

Ros. Sì, Brighella, voglio appagarvi. La bontà che avete avuta per me, la vostra fedeltà e il debito ch'io vi professo, m'obbligano a darvi questa soddisfazione. Sono pronta a svelarvi l'esser mio, e per qual cagione mi sia dalla mia patria involata.
Brigh. Veramente son stà un omo troppo facile a introdurve per serva qua in casa dei mii padroni, senza prima saver chi fussi. M'ha piasso la vostra idea e ho volesto crederve, tanto più che ve sé impegnada de dirme tutto. Ve prego mo no ingannarme, e più tosto che dirme qualche filastrocca, seguitè a taser, che me contento.

La donna di governo (Commedia)

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Camera
VALENTINA e BALDISSERA.

Val. Zitto, parlate piano.
Bal. Dorme ancora il padrone?
Val. Ei dorme, e fin che dorme, facciam conversazione;
Ma parliam sotto voce, che se qualcun ci sente,
Quando il vecchio è svegliato, gliel dice immantinente.
È ver ch'egli mi crede, è ver che, qual io soglio,
Posso dargli ad intendere quelle bugie ch'io voglio,
Ma avendo la famiglia acerrima nemica,
Voglio schivar, s'io posso, di far questa fatica.

La donna di governo (Dramma Giocoso)

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Cantina con varie botti; tavola in mezzo con vivande.
CORALLINA, LINDORA e RIDOLFO, MOSCHINO e TIRITOFFOLO, sopra una panca.
Tutti seduti a tavola, che mangiano, bevono e cantano.

Tutti Bel piacer ch'è l'allegria!
Bel piacere in compagnia
Star a bere ed a mangiar!
Cor. Finché dorme il mio padrone,
Voglio far conversazione,
E con voi mi vo' spassar.

La donna di maneggio

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Camera di donna Giulia, con tavolino e sedie.
Donna GIULIA e FABRIZIO, ambi seduti al tavolino.

Fabr. Questa è la lettera che va al marchese di Cappio.
Giu. Sentiamo. Illustrissimo Signore, Signor mio colendissimo. Perché non ci avete messo il Padrone?
Fabr. Perdoni; mi pare che scrivendo una dama ad un cavaliere che non è più di lei, non le convenga usare questo titolo di umiliazione.

La donna di testa debole

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Camera di ritiro di donna Violante, con un tavolino carico di libri e fogli e calamaio ecc.
DONNA VIOLANTE sedendo al tavolino e leggendo, ed ARGENTINA

Arg. Signora padrona.
Vio. Lasciami studiare.
Arg. Vorrei dirvi una cosa.
Vio. Aspetta. Lasciami terminare questa facciata.

La donna forte

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Camera in casa di don Fernando.
Don FERNANDO e PROSDOCIMO.

Fer. Questa volta, Prosdocimo, convien che adoperiate
Quel valor, quel coraggio, che posseder vantate.
Di fedeltà non parlo: l'arcano ch'io vi svelo,
So che custodirete con gelosia, con zelo;
Altrimenti facendo, l'avrete a far con me;
Ma vi conosco in questo, e da temer non c'è.
Chiedovi adunque aiuto nel caso in cui mi trovo;
Or d'un uom, qual voi siete, l'abilitade io provo.

La donna sola

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Camera di donna Berenice
DONNA BERENICE sola, poi FILIPPINO.

Ber. Son pur lieta e contenta. Mi par d'esser rinata,
Or che son dalla villa in Milan ritornata.
Dicono che in campagna si gode libertà?
V'è soggezione in villa molto più che in città.
Qui almen tratto chi voglio, rinchiusa nel mio tetto;
Deggio trattare in villa chi viene, a mio dispetto.
A conversar con donne mi viene il mal di core,
In villa non si vedono che donne a tutte l'ore.
Almen qui sono sola, se alcun viene a trovarmi,
Senza che vi sien donne che vengano a seccarmi.

La donna stravagante

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Camera di don Riccardo con tavolino, sedie e lumi.
DON RICCARDO sedendo al tavolino, e CECCHINO.

Ric. Ehi!
Cec. Signore.
Ric. Dal cielo sparita è ancor l'aurora?
Cec. No, mio signore, il sole non è ben sorto ancora.

La donna volubile

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Camera di Rosaura.
ROSAURA, vestita pomposamente, a sedere ad un tavolino collo specchio in mano.

Ros. Questa scuffia mi sta malissimo; non si confà niente all'aria del mio viso; mi fa parer brutta. Se viene il signor Florindo, e mi vede con questa scuffia, non mi conosce più. Oh, non mi servo mai più di questa scuffiara! Gran disgrazia è la mia! Ho cambiato più di trenta scuffiare; tutte per un poco mi servono bene, e poi cambiano la mano e mi servono male. Questa scuffia non la voglio assolutamente. Ehi, donne, dove siete? Dove siete, donne?

La donna vendicativa

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Camera in casa di Ottavio.
CORALLINA e FLORINDO

Cor. Trattenetevi qui, che or ora parleremo con comodo.
Flor. Dove andate così presto?
Cor. Vado a portare la cioccolata al padrone.
Flor. Voi gliela portate? Non ha servidori?
Cor. Ha piacere che queste cose le faccia io. Niuno lo serve bene come la sua Corallina: io questo vecchio lo secondo e lo coltivo, perché da lui posso sperare del bene.

La famiglia dell'antiquario

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Camera del Conte Anselmo, con vari tavolini, statue, busti e altre cose antiche

Il Conte Anselmo ad un tavolino, seduto sopra una poltrona, esaminando alcune medaglie, con uno scrigno sul tavolino medesimo; poi Brighella.

Anselmo Gran bella medaglia! questo è un Pescennio originale. Quattro zecchini? L'ho avuto per un pezzo di pane.
Brighella Lustrissimo (con vari fogli in mano).
Anselmo Guarda, Brighella, se hai veduto mai una medaglia più bella di questa.
Brighella Bellissima. De medaggie no me ne intendo troppo, ma la sarà bella.

La favola de' tre gobbi

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Camera con due porte.
Madama VEZZOSA con un Servitore.

Sì, lo so, non replicar;
Tutti muoiono per me.
Poverini! Sai perché?
Perch'io sono la Vezzosa,
Tutta grazia e spiritosa.
Che! tu ridi? Ignorantaccio!
Chiedi a tutta la città
Se dich'io la verità.

La fiera di Sinigaglia

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Piazza o sia centro della Fiera con varie botteghe, fra le quali una bottega di caffè, una di chincaglie, una di panni e sete ecc. Da una parte locanda con finestra, dirimpetto alla bottega da caffè.
Il CONTE ERNESTO sedendo al Caffè, LISAURA per la Fiera, LESBINA sulla porta della sua Bottega, GIACINTA alla finestra della sua Locanda, ORAZIO alla sua Bottega di panni, PROSPERO alla sua Bottega di chincagliere, GRIFFO passeggiando.

Tutti Dove sono i tempi andati?
I negozi son spiantati,
E la Fiera – questa sera
Bene o mal terminerà.

La figlia obbediente

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Camera in casa di Pantalone.
ROSAURA e BEATRICE

Ros. Venite, amica, venite. Son sola, son malinconica, ho bisogno d'un poco di compagnia.
Beat. Spero io essere venuta ad iscacciare la vostra malinconia.
Ros. Avete da raccontarmi qualche graziosa cosa?
Beat. Sì, una cosa graziosissima. Una cosa che vi porrà in giubbilo, in allegria.

La finta ammalata

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Bottega di speziale.
AGAPITO sedendo e leggendo i foglietti. TIBURZIO dentro al banco. Dottor MERLINO e TARQUINIO, che giuocano a sbaraglino.

Agap. Oh, chi l'avesse mai detto, che l'imperator della China avesse a sposare la figlia del re del Mogol!
Tarq. Il signor Agapito non pensa altro che alle novità, e lascia la spezieria in mano de' suoi garzoni. (giuocando)
Agap. Buono, buono: faranno lega offensiva e difensiva. Signor dottore. (forte verso Merlino)
Merl. Che cosa c'è? (giuocando)
Agap. Signor dottore. (più forte)
Merl. Che cosa volete?
Agap. Signor dottore. (più forte)
Tarq. Non sapete che è sordo? Dite forte. (a Merlino)

La fondazion di Venezia

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LA COMMEDIA sola si trova in Scena.

Care spiagge adorate, a voi ritorno,
E qui dove non turba
L'allegrezza comun ombra funesta,
Più che mai lieta in viso,
Nuovi stimoli reco al dolce riso.

La gelosia di Lindoro

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Camera con grand'armadio nel fondo. – Da una parte tavolino da scrivere ad uso di segretario, dall'altra un altro tavolino con sopra della biancheria, cioè sei o sette camicie proprie e pulite, ed una cestella col bisogno per lavorare di bianco, ed una sedia a ciaschedun tavolino.
Zelinda a sedere lavorando, Lindoro a sedere scrivendo.

Zel. Lindoro. (chiamandolo, dopo essere stati un poco senza dir niente)
Lin. (scrivendo) Cosa volete?
Zel. (lavorando) Avete molto da lavorare questa mattina?
Lin. Sì, molto.

La guerra

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Camera in casa del Commissario, con lumi accesi, con tavolini, sedie, ecc.
Don FABIO che taglia al faraone. Il CONTE CLAUDIO, che punta al faraone. Donna FLORIDA e don FAUSTINO a sedere, parlando e amoreggiando fra di loro. Don FERDINANDO e donna ASPASIA a un altro tavolino, bevendo, con bottiglia, bicchieri ecc. Altri due Ufficiali, che puntano al Faraone. Altri Ufficiali, che giocano ad un altro tavolino. Un CAPORALE.

Con. Paroli al sette.
Fau. Donna Florida, mi permettete ch'io vada a quella banca di faraone ad arrischiar la mia sorte?
Flo. Stupisco che possa venirvi in capo la volontà di giocare.
Fau. E perché vi maravigliate?

La madre amorosa

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Camera di donna Aurelia.
DONNA AURELIA e PANTALONE.

Pant. La supplico de benigno perdon, se vegno a darghe el presente incomodo. L'affar xe de premura; e el zelo della mia servitù me conduse a sta ora importuna a incomodar vusustrissima.
Aur. Caro signor Pantalone, in ogni tempo vi vedo assai volentieri. La vostra buona amicizia mi ha sempre giovato, e non sarà che profittevole per me l'incomodo che ora vi siete preso.

La mascherata

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Luogo terreno che introduce al cortile di Beltrame, dove le Donne lavorano la seta.
DONNE che incannano la seta e cantano, indi BELTRAME

Donne Amore è fatto come un uccelletto,
Che va di ramo in ramo saltellando:
Venuto è con un volo nel mio petto,
E il povero mio cor mi va beccando.
Lo voglio accarezzare il poveretto,
Finché per divertirmi va cantando;
E quando avrà finito di cantare,
A un altro ramo il lascierò volare.

La moglie saggia

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Anticamera nel palazzo della marchesa Beatrice, con una tavola in mezzo con bocce di vino e bicchieri.
BRIGHELLA, ARLECCHINO, FALOPPA, PISTONE intorno la suddetta tavola, che bevono.

Arl. Salute, patroni. (beve)
Brigh. Viva, compare Arlecchin. (beve)
Pist. Evviva. (beve)
Fal. Che possiate vivere tanti anni, quanti bicchieri di vino ho bevuto in tempo di vita mia. (beve)

La Pelarina

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PELARINA e VOLPICIONA

Pel. Non me ne dite altre.
Volp. Ma se il tuo ben...
Pel. Non ne faremo niente.
Volp. Tu sei pur insolente.

La pupilla (commedia)

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Messer LUCA, PANFILO.

Luca Vi è nessun che ci ascolti?
Pan. No, certissimo.
Siamo soli, parlate.
Luca Odimi, Panfilo.
Sai se ti amo qual figlio, e se in te fidomi;
Né servo mai ebbe padron più docile
Di quel ch'io sono, né padron può esigere
Servo più fido.

La Pupilla (intermezzo)

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ROSALBA sola.

Misera condizion del nostro sesso!
In ogni stato, in ogni età le donne
Sono sempre soggette, e sempre schiave.
Fin che siamo ragazze,
Del padre e della madre
La catena ci lega, e fino quando
Orfanelle restiamo,
Col laccio del tutor legate siamo.

La putta onorata

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Camera del Marchese.
Il marchese Ottavio in veste da camera al tavolino scrivendo e la marchesa Beatrice in abito di gala.

Ott. Sì signora, v'ho inteso; lasciatemi scrivere questa lettera.
Beat. Questa sera vi è la conversazione in casa della Contessa.
Ott. Ho piacere. Amico carissimo. (scrivendo)
Beat. Spero che verrete anche voi.
Ott. Non posso. Se non ho risposto alla vostra lettera...

La ritornata di Londra

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Piazza con la casa del Conte da un lato.
Vedesi arrivato il carrozzino a quattro cavalli di MADAMA PETRONILLA, ed un calesse di seguito per la Cameriera ed un Cameriere, e vari Servitori di dietro di ciascun legno. Smontano dal calesse GIACINTA ed il Cameriere ed i Servitori tutti, e s'accostano al carrozzino di cui apresi l'uscita. Escono MADAMA PETRONILLA, il MARCHESE DEL TOPPO, il BARONE DI MONTEFRESCO e Carpofero. Dal palazzo del Conte vengono altri Servitori a ricevere Madama, invitandola ad entrare per ordine del Padrone. Discesi tutti, s'avanzano, servita MADAMA dal MARCHESE e dal BARONE

Mad., Carp., Giac. a tre
Bel piacer quando s'arriva
Dopo il viaggio alla città.
Mar., Bar. a due
Compagnia che sia giuliva,
Bello il viaggio sempre fa.
Mad. Al Baron, che mi ha onorata,
Marchesin, bene obbligata.

La scuola di ballo

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Sala del maestro di ballo.
Monsieur Rigadon, Giuseppina, Rosalba, Felicita, Filippino, Carlino, altri ballerini e ballerine; tutti a sedere, fuorché Rigadon. Mentre di vedono questi due in azione, Felicita imparando a ballare il minuetto, e Rigadon insegnandole col suo violino

Rig. Alto con quella testa: il petto in fuori:
Quelle punte voltate un poco più:
Quei ginocchi ogni dì si fan peggiori,
E volete ballare il padedù?

La scuola moderna

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Galleria.
LEONORA ricamando, DRUSILLA lavorando merletti, LINDORO scrivendo al tavolino; altre Ragazze che sono alla scola, indi BELFIORE che arriva.

Belf. Benedetti! sì vi voglio.
Tutt'intenti a lavorar.
Leon. Adorato genitore, (s'alza, e gli bacia la mano)
A' suoi cenni io sono qua.

La serva amorosa

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Camera in casa di Ottavio.
OTTAVIO e PANTALONE

Ott. Qui, qui, signor Pantalone, in questa camera parleremo con libertà.
Pant. Son qua, dove che volè.
Ott. Ehi, se venisse mia moglie, avvisatemi. (verso la porta)
Pant. Caro sior Ottavio, ve tolè una gran suggizion de sta vostra muggier.

La sposa sagace

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Donna BARBARA e LISETTA.

Bar. È svegliato Mariano?
Lis. Credo di sì, signora.
L'ho chiamato due volte.
Bar. E non si vede ancora?

La vedova spiritosa

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Camera di donna Placida
DONNA PLACIDA e DONNA LUIGIA.

Pla. Grazie al cielo, germana, l'anno è di già compito,
Che vedova rimasi in casa del marito.
Supplito per un anno all'uso ed al dovere,
Lasciai le meste soglie, lasciai le spoglie nere.

La vendemmia

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Esterno di Giardino.
CECCHINA, ROSINA con altri Contadini e Villanelle raccolti per la vendemmia. IPPOLITO e FABRIZIO

Tutti Bel goder la fresca aurora
Che c'invita a respirar.
Quando il sol non ci martora,
È pur dolce il fatigar.

La villeggiatura

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Sala terrena di conversazione in casa di don Gasparo.
DON RIMINALDO che taglia al faraone, DON CICCIO, DON MAURO, che puntano; DONNA FLORIDA e DON EUSTACHIO ad un altro tavolino, che giocano a picchetto. DONNA LAVINIA sedendo da un'altra parte, leggendo un libro.

Flo. Facciamo che questa partita sia l'ultima; già non vi è gran differenza.
Eus. Finiamola presto dunque, che voglio veder di rifarmi alla bassetta. Colà giocano ancora.
Flo. Sì, sì, andate anche voi al tavolino di quei viziosi. Giocherebbono la loro parte di sole. Bella vita che fanno! giorno e notte colle carte in mano. Vengono in villa per divertirsi, e stanno lì a struggersi ad un tavolino. Questi giochi d'invito non ci dovrebbono essere in villeggiatura. Sturbano affatto la conversazione. (sempre giocando)

Le avventure della villeggiatura

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Sala terrena in casa di Filippo, con tavolini da gioco, sedie, canapè ecc. Gran porta aperta nel fondo, per dove si passa nel giardino. Brigida, Paolino, Tita, Beltrame.

Brigida: Venite, venite, che tutti dormono.
Paolino: Anche da noi non è molto che si son coricati.
Tita: E le mie padrone non c'è dubbio che si sveglino per tre ore almeno.
Beltrame: Se vegliano tutta la notte, bisogna che dormano il giorno.

Le Baruffe Chiozzotte

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Strada con varie casupole.
PASQUA e LUCIETTA da una parte. LIBERA, ORSETTA e CHECCA dall'altra. Tutte a sedere sopra seggiole di paglia, lavorando merletti su i loro cuscini posti ne' loro scagnetti.

Luc. Creature, còssa diséu de sto tempo?
Ors. Che órdene xélo?
Luc. Mo no so, varé. Oe, cugnà, che órdene xélo?
Pas. (a Ors.) No ti senti, che boccon de sirocco?
Ors. Xélo bon da vegnire de sottovènto?
Pas. Si bèn, si bèn. Si i vien i nostri òmeni, i gh'ha el vento in pòppe.

Le donne curiose

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Camera con porte chiuse.
OTTAVIO leggendo un libro, FLORINDO e LEANDRO giuocando a dama. LELIO a sedere.

Lel. Amici, come va la partita?
Flor. In questo punto sono arrivato a dama.
Lean. Ed io non tarderò ad arrivarvi.
Lel. La vostra è una partita di picca.
Flor. Sì; noi giochiamo veramente di picca. Si disputa l'onore, non l'interesse.

Le donne di buon umore

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Camera di Costanza.
COSTANZA alla tavoletta, e MARIUCCIA cameriera che sta assettandole il capo.

Cost. Eppure ancora non istò bene. (guardandosi nello specchio alla tavoletta)
Mar. Che dice mai, signora padrona? Sta tanto bene, che pare una principessa.
Cost. Non vedi che da questa parte i capelli sono meglio arricciati che da quest'altra?
Mar. Io non ci conosco questa gran differenza.

Le donne di casa soa

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Camera della signor'Angiola.
Angiola e Betta.

Betta: Sior Anzola! Patrona.
Angiola: Patrona, siora Betta.
Betta: Cossa se fa?
Angiola: Da vecchia.
Betta: Cara quella vecchietta!
Son passada de qua; ve vegno a saludar.

Le donne gelose

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Camera de siora Giulia.
Siora GIULIA che laora de merli. Siora TONINA in zendà. Siora ORSETTA che fila della bavella, e siora CHIARETTA che fa bottoni.

Ton. Cara siora Giulia, la compatissa se son vegnua a darghe incomodo.
Giu. Oh siora Tonina, cossa disela! La m'ha fatto una finezza a vegnirme a trovar. Gh'aveva tanta voggia de véderla.
Ton. De diana! No la se degna mai de vegnirme a trovar.
Giu. Oh cara siora! se la savesse. No gh'ho el fià che sia mio. Sempre fazzo, sempre tambasco[20], o intorno de mi, o intorno de mio mario; sempre ghe xe da far, no me fermo mai. No è vero, putte? Adesso ho tiolto suso el ballon[21] per divertimento. Oh cara siora Tonina! Cento volte ho dito de vegnir da ela, e no ho mai podesto. No è vero, putte?

Le donne vendicate

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Sala con tavola apparecchiata e lumi.
CASIMIRO, ROCCAFORTE, VOLPINO e FLAMINIO con quattro Donne, mangiando e bevendo.

Tutti Viva, viva l'allegria,
E la nostra compagnia;
E mangiando non s'invecchia;
E beviamone una secchia;
Quand'è buono, non fa male
Né la pinta, né il boccale.
Dunque beviamo,
Dunque cantiamo:
Viva chi mangia e chi beve giocondo;
Il più bel mondo – di questo non v'è.

Le femmine puntigliose

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Appartamento nella locanda, in cui sono alloggiati don Florindo e donna Rosaura.
DONNA ROSAURA e DON FLORINDO.

Don Florindo – Signora consorte carissima, credo che ce ne possiamo tornare al nostro paese, e se aveste aderito a quello che io diceva, non saremmo nemmeno venuti a Palermo.
Donna Rosaura – Che avrebbero mai detto di noi le donne del nostro rango, se dentro il primo anno del nostro matrimonio non fossimo venuti a far qualche sfarzo nella città capitale?

Le inquietudini di Zelinda

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Camera in casa di don Flaminio, con varie sedie.
LINDORO, FABRIZIO e servitori

Lind. (A sedere in aria di melanconia)
Fabr. Via, accomodate bene le sedie, ripulite bene per tutto, che non abbiano occasione di lamentarsi. (ai Servitori, i quali mettono sei o sette sedie in semicircolo, e partono) Che avete, Lindoro, che siete sì melanconico?
Lind. Non posso lasciar di piangere e di rattristarmi, quando penso alla perdita che abbiamo fatta del povero don Roberto. Sono due mesi ch'è morto, e l'ho sempre presente allo spirito e al cuore, ma oggi principalmente, oggi questa cerimonia lugubre mi rinnova il dolore ch'ho avuto il giorno della sua morte.

Le massere

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Strada con due case, una della signora Costanza, l'altra della signora Dorotea.
Momolo forner, poi Zanetta, poi donna Rosega

Momolo: (dopo avere alcuna volta fischiato)
Ste massere le dorme, e le me fa subiar;
Vôi batter alla porta, vôi farle desmissiar. (Batte da Zanetta.)

Le morbinose

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Camera in casa de sior Luca. Siora Marinetta che se conza la testa, Tonina che la serve.

Marinetta: Via, conzème pulito, che voggio parer bon.
Tonina: Cara siora parona, se la xe bella, in ton,
Proprio che la fa voggia.
Marinetta: Eh via, no me burlè.

Le nozze

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Sala.
Il CONTE, la CONTESSA e poi MASOTTO

Con. La voglio così.
Cont. Così non sarà.
Con. Prevale il mio sì.
Cont. Sta volta non già.
a due Lo giuro, il protesto,
Che a cedere in questo
Nessun mi vedrà.

Le pescatrici

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Spiaggia di mare.
BURLOTTO, FRISELLINO ed altri Pescatori, quali tirano alla spiaggia la rete colla presa del pesce. NERINA e LESBINA a sedere sopra dei tronchi, tessendo reti da pescare.

Coro di pescatori
Tira, tira; viene, viene.
Son le maglie piene, piene.
Oh fortuna! se si piglia
Qualche rombo, qualche triglia,
Regalar voglio il mio bene.
Tira, tira; viene, viene.

Le smanie per la villeggiatura

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Camera in casa di Leonardo.
Paolo che sta riponendo degli abiti e della biancheria in un baule, poi Leonardo.

Leonardo: Che fate qui in questa camera? Si han da far cento cose, e voi perdete il tempo, e non se ne eseguisce nessuna. (A Paolo.)
Paolo: Perdoni, signore. Io credo che allestire il baule sia una delle cose necessarie da farsi.
Leonardo: Ho bisogno di voi per qualche cosa di più importante. Il baule fatelo riempir dalle donne.

Le virtuose ridicole

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Giardino delizioso in casa di Affrodisia.
AFFRODISIA, ERIDENO, MELIBEA, PEGASINO, ARMONICA e GAZZETTA, tutti a sedere in circolo

Le 3 donne Sì, sì, sì.
Li 3 uomini No, no, no.
Le 3 donne Io sostengo l'opinione;
La ragione – vuol così.
Li 3 uomini Accordarla non si può;
Il contrario sosterrò.

Lo scozzese

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FABRIZIO, garzoni e MONSIEUR LA CLOCHE

Clo. Datemi del caffè col latte. (va a sedere ad un tavolino)
Fabr. Servite monsieur la Cloche. (ai Giovani)
Clo. Avete ancora avuto i foglietti?
Fabr. Sì, signore. Vi servo subito. (va a prendere i fogli) Ecco la Gazzetta d'Olanda, ecco quella d'Utrecht. Questo è il Mercurio di Francia. e questo è il foglio di Londra. Avrete campo di divertirvi. (gli portano il caffè)

Lo speziale

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Bottega da Speziale co' suoi utensili.
MENGONE che sta pistando in un mortaio.

Tutto il giorno pista, pista:
Oh che vita amara e trista!
E nel cor
Sento amor,
Che anche lui pistando va...
Pista, pista qua e là.

Lo spirito di contradizione

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Camera con tavolino e sedie.
RINALDO, FERRANTE, FABRIZIO, ROBERTO, GAUDENZIO, FOLIGNO, VOLPINO

Gau. Sia ringraziato il cielo. Giust'è ch'io mi consoli,
Per le nozze concluse, coi padri e coi figliuoli.
Alfin, signor Roberto, Camilla è vostra sposa:
Avrà il signor Fabrizio una nuora amorosa.

Lugrezia romana in Costantinopoli

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Sala regia con trono alla turchesca, preparato per l'incoronazione di Mirmicàina.
ALBUMAZAR, MAIMUT e Popolo.

Alb. Olà, principi, nati
Del mio sangue real, benché bastardi,
Soldati, eunuchi, popolo, canaglia,
Udite il mio comando: oggi ciascuno,
Benché sia maomettano,
Se brama il mio favor, parli italiano.

Monsieur Petiton

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Camera con letto disfatto, tavolino e sedie.
GRAZIOSA in veste da camera e scufia da notte, PETRONIO in collar, monsù PETITON alla francese; poi LINDORA in veste e zendal alla veneziana.

Petit. Madam, monsieur, je prego,
Perdonate a muè man presontion.
Graz. Lei è sempre padron. Sol mi dispiace
Che m'ha trovata in abito indecente.

Pamela maritata

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Miledi PAMELA e milord ARTUR

Art. No, miledi, non apprendete con tanto senso un leggiero ostacolo alla vostra piena felicità. Lo sapete che le grandi fortune non vanno mai scompagnate da qualche amarezza, e la vostra virtù può consigliarvi meglio assai di qualunque labbro eloquente.
Pam. Se si trattasse di me, saprei soffrire costantemente qualunque disastro, ma trattasi di mio padre, trattasi di una persona che amo più di me stessa, ed il pericolo in cui lo vedo, mi fa tremare.

Pamela nubile

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Pamela a sedere a un picciolo tavolino, cucendo qualche cosa di bianco. Madama Jevre filando della bavella sul mulinello.
Jev. Pamela, che avete voi, che piangete?
Pam. Piango sempre, quando mi ricordo della povera mia padrona.
Jev. Vi lodo, ma sono tre mesi che è morta.

Sior Todero brontolon

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Camera di Marcolina.
MARCOLINA e CECILIA

Marc. E cussì? Ghe xe caso che possa bever el caffè sta mattina?
Cec. Co no la manda a tórselo alla bottega, ho paura che no la lo beva.
Marc. Per cossa? No ghe n'è del caffè in casa?
Cec. Siora sì, ghe ne xe, ma el paron vecchio l'ha serrà el caffè e l'ha serrà el zucchero sotto chiave.

Terenzio

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Chi è fra di voi, signori, che della storia amico
Ravvisi il personaggio, ch'io rappresento antico?
Della Commedia innanzi, solo al popol ragiono...
Basta, basta; or ciascuno sa che il Prologo io sono.

Torquato Tasso

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TORQUATO solo, al tavolino, pensando.

Tor. Muse, canore Muse, Amor, soave foco, (alzandosi.)
Umile a voi mi volgo, voi nel grand'uopo invoco.
Ho gl'inimici a destra, che all'onor mio fan guerra:
A sinistra ho colei che co' begli occhi atterra.

Un curioso accidente

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Camera in casa di Mr. Filiberto.
GUASCOGNA allestendo il baule del suo padrone, poi MARIANNA

Marian. Si può dare il buon giorno a monsieur Guascogna.
Guasc. Sì, amabile Marianna, da voi mi è caro il buon giorno, ma mi sarebbe più cara la buona notte.
Marian. Mi spiace, a quel ch'io vedo, che vi dovrò dare il buon viaggio.
Guasc. Ah! cara la mia gioia, a una dolorosa partenza non può che succedere un viaggio disgraziatissimo.

Una delle ultime sere di Carnovale

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Camera e lumi sul tavolino

ZAMARIA, BALDISSERA, COSMO e MARTIN

Zamaria Putti, vegnì qua. Stassera ve dago festa. Semo in ti ultimi zorni de carneval. Dago da cena ai mi amici; dopo cena se balerà quatro menueti; vualtri darè una man, se bisogna, e po magnerè, goderè, ve devertirè.
Baldissera Sior sì, sior patron; grazie al so bon amor.
Martin Semo qua a servirla, e goderemo anca nu le so grazie.

Citazioni su Carlo Goldoni

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  • A te, porgente su l'argenteo Sile | le braccia a l'avo da l'opima cuna, | ne la festante ilarità senile | parve la vita accorrere con una || marïonetta in mano. Al sol d'aprile | te fuggente la logica importuna | presago accolse il comico navile | veleggiando la tacita laguna. (Giosuè Carducci)
  • La mia stella polare, il Settecento veneziano e il più grande autore che abbia espresso, quel Carlo Goldoni, la cui ironia era anche una forma di pudore. (Lino Toffolo)
  1. Da La donna volubile, in Carlo Goldoni, Tutte le opere, a cura di Giuseppe Ortolani, vol. 3, II ed., A. Mondadori editore, Milano, 1955
  2. Da Le memorie, a cura di Rosolino Guastalla, La Nuova Italia, 1933.
  3. Citazione attribuita anche a Paolo Mantegazza.
  4. Rapare non è parola italiana, ma è un francesismo in Italia comunemente adottato.
  5. Figlia.
  6. Or'ora.
  7. È finito; servendo per sempre, che il xè in veneziano vuol dire "è". "est".
  8. Avuto.
  9. Le opere del Conte Gasparo Gozzi.
  10. Ponto è lo stesso che articolo.
  11. Termine con cui in Venezia si chiamano i facchini, quando si ha bisogno dell'opera loro.
  12. Babbuino.
  13. Or ora.
  14. Come se dicesse: per bacco.
  15. Intirizzite dal freddo.
  16. Lo sgombero, o sia il trasporto de' mobili da una casa all'altra.
  17. Sbarazzata.
  18. Piccoli chiavistelli.
  19. Mettere la cornice.
  20. Opero.
  21. Cuscino sul quale lavorano le donne.

Bibliografia

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