August Strindberg

scrittore e drammaturgo svedese
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Johan August Strindberg (1849 – 1912), scrittore, drammaturgo e pittore svedese.

August Strindberg

Citazioni di August Strindberg

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  • Abituati a osservare il mondo a volo d'uccello, e vedrai allora che tutto ti sembrerà piccolo e insignificante.[1]
  • ...forse potrebbe nascere una nuova arte drammatica e il teatro potrebbe tornare almeno ad essere un'istituzione per la ricreazione delle persone colte. Aspettando un siffatto teatro potremo ben scrivere per il cassetto e preparare il repertorio futuro. Io ho fatto un tentativo! Se non è riuscito, ci sarà abbastanza tempo per farne altri! (dalla prefazione a La signorina Julie)[2]
  • Mi prendo la libertà, di offrirti qui davanti la prima tragedia naturalistica del teatro svedese, e ti prego di non rifiutarla senza una profonda riflessione, o te ne pentirai più tardi, come dice il tedesco "Ceci datera" = questa opera rimarrà nella storia. P.S. La signorina Julie è la prima di tutta una serie di tragedie naturalistiche. (dalla lettera a Bonnier)[2]
  • La terra è una colonia penitenziaria dove dobbiamo scontare la pena per i delitti commessi in un'esistenza anteriore.[3]

Dall'Italia

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  • Vidi un palazzo grande come l'Istituto Tecnologico, che si ergeva sulla montagna e aveva l'aspetto di un castello reale. Era la casa dei poveri. Chiesi a un uomo se ci fossero molti bambini senza padre e madre. Strani, poveri bambini! Dunque i palazzi non sono solo costruiti sulle capanne dei contadini, ma anche sui ricoveri dei poveri. (p. 42)
  • [Sulle ferrovie] [...] uno dei grandi meriti di queste mangiatrici di boschi è quello di aver cancellato i vecchi confini nazionali storici, che del resto vengono cambiati secondo l'arbitrio dinastico. Guardate solo le carte di una guida turistica! Nient'altro che stazioni ferroviarie! E per questo motivo, se non esistessero le dogane sarebbe difficile tenere d'occhio quando si entra in un nuovo paese. Le ferrovie mescolano le lingue, prima fra i funzionari ferroviari e poi all'interno degli scompartimenti. Le ferrovie trasportano la flora, e per mezzo dei vagoni merci i diversi generi alimentari vengono trasportati in paesi che prima erano così rigidamente divisi. (pp. 49-50)
  • La grammatica italiana era decisamente un errore. In un libro di quarantasette pagine avevano la coscienza di infilare «risoluzioni», soggetto, attributo, oggetto. Ebbe su di me lo stesso effetto della famosa sintassi di Svedbom che si usava una volta! Mi addormentai! Ma compiangevo i poveri bambini che non potevano starsene sdraiati su un divano e leggerla tenendo all'angolo della bocca una buona pipa di bird's eye. (p. 57)

Gli isolani di Hemsö

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Carlsson va a servizio e dà prova d'essere un volpone.
Arrivò come un acquazzone una sera d'aprile, con una boccia di Höganäs a tracolla. Clara e lotta erano venute a prenderlo con la barca da pesca all'approdo di Dalarö, ma ci volle un secolo prima che tutti fossero in barca. Dovevano passare dal bottegaio per una botte di catrame, dalla farmacia per l'unguento grigio del maiale, e poi alla posta per un francobollo; e poi giù alla svolta a lasciare il gallo a Fia Lövström in cambio di mezza libbra di refe per riparare i tramagli, e ora s'erano arenate alla locanda, dove Carlsson offriva il caffè e biscotti.

Citazioni

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  • [...] chi va all'altro mondo è un santo e chi si sposa è un diavolo. (p. 101)
  • [...] pialla male sul legno stagionato, chi è avvezzo a quello fresco. (p. 109)

Il sogno

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  • Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile (...) Su una base insignificante di realtà, l'immaginazione fila e tesse nuovi disegni.[4]
  • Non esistono doveri gradevoli?
    Diventano gradevoli quando sono compiuti...
    Quando non esistono più... Il dovere è, quindi, tutto ciò che è spiacevole. Cosa è piacevole, allora?
    Ciò che è piacevole è peccato. [Dialogo fra la figlia e l'avvocato]
  • Tutta la vita è fatta solo di ripetizione...
  • Dobbiamo liberarli!
    Prova! Una volta è venuto un liberatore, ma fu inchiodato sulla croce. [Dialogo fra la figlia e il poeta]
  • Che non tutti possano vivere allo stesso modo, lo capisco, ma la differenza può essere tanto grande?
  • Cos'è la poesia?
    Non è la realtà, ma più della realtà... Non è un sogno, ma sognare da svegli... [Dialogo fra il poeta e la figlia]

La signorina Julie

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Prefazione

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  • Già da un pezzo mi sembra che il Teatro, come l'Arte in generale, sia una «Bibbia Pauperum», una Bibbia con figure per chi non sa leggere né la scrittura né la stampa; quindi, credo che il drammaturgo sia un predicatore laico che divulga in termini popolari le idee contemporanee, in termini così popolari che il ceto medio, quello cioè che riempie i teatri, può comprendere senza sforzarsi troppo di che si tratta. Il teatro allora è sempre stato una scuola popolare per i giovani, per le persone di media cultura per le donne, per coloro in pratica che dispongono della peculiarità inferiore di ingannare se stessi e di farsi ingannare, ossia recepire l'illusione e la suggestione dell'autore. Oggi, tuttavia, quel pensiero volgare ed incompiuto che si rivelava attraverso la fantasia sembra evolversi in riflessione, ricerca, sperimentazione, ed il teatro, proprio come la religione, mi è parso, sta per decadere, agonizzante forma estetica, per l'apprezzamento della quale non abbiamo più le condizioni indispensabili. Ed ecco che in tutta Europa, a conferma della tesi, c'è una crisi del teatro, tanto più che nelle culture in cui si sono manifestati i pensatori migliori del nostro tempo, in Inghilterra e in Germania, la drammaturgia è morta, come la generalità delle belle arti. (1988, incipit prefazione)
  • La vita non è tanto matematicamente idiota che solo i più grandi divorino i piccoli, avviene infatti altrettanto sovente che l'ape ammazzi il leone o quantomeno lo renda furioso. (1988, p. xvii)
  • Verrà, comunque, forse un giorno in cui saremo tanto avanzati, così illuminati, da poter osservare con indifferenza lo spettacolo brutale, cinico, crudele, che ci propone l'esistenza. Allora avremo disinnescato gli strumenti inferiori ed inattendibili di pensiero detti sentimenti, divenuti superflui e nocivi per la maturazione dello strumento di giudizio. (1988, p. xvii)
  • Per di più si pretende, con insistenza, la gioia di vivere, tanto che i direttori dei teatri non fanno altro che ordinare farse quasi che la gioia di vivere si riduca a fare gli scemi in scena e a descrivere gli uomini come tanti invasati o idioti. Io trovo invece la gioia di vivere nelle forti crudeli lotte dell'esistenza e godo sempre nell'apprendere qualcosa, nell'istruirmi. (1988, p. xvii)
  • Ho motivato la tragica sorte della signorina Julie molto analiticamente: con i «cattivi» istinti di fondo della madre; l'educazione paterna sbagliata nei confronti della ragazza la sua indole e la suggestione del fidanzato sul suo cervello debole e degenerato; poi, nello specifico: l'atmosfera di festa della notte di mezza estate; l'assenza del genitore; il disturbo mestruale della giovane; la sua passione per gli animali; l'eccitazione della danza; quella notte crepuscolare; il potente effetto afrodisiaco dei fiori e, per concludere, il caso che trascina lui e lei, insieme, in una camera discreta, cui va aggiunta la risolutezza del maschio in calore. Così, non ho usato unilateralmente il metodo fisiologico e neppure maniacalmente quello psicologico, né ho dato la responsabilità solo all'ereditarietà materna né ho scaricato un'accusa so-lo sulle mestruazioni, né ho esclusivamente sottolineato l'«immoralità», né semplicemente ho predicato la morale – che ho ceduta alla cuoca – in assenza di un prete! Per questa varietà di motivazioni, così moderna, debbo andare orgoglioso! (1988, p. xviii)
  • No, io non credo ai caratteri teatrali semplici e ai giudizi sbrigativi sugli individui: è uno sciocco, un brutale, un geloso, un avaro, che dovrebbero essere ricusati dai naturalisti che hanno cognizione della grande complessità dell'anima e di come pure il «vizio» abbia un risvolto che assomiglia non poco alla virtù. (1988, p. xix)
  • Le mie anime (caratteri) sono conglomerati di stadi culturali passati ed attuali, stralci di libri e giornali, frammenti d'umanità, sbrendoli di abiti festivi fattisi cenci, proprio come è assemblata l'anima. (1988, p. xix)
  • La signorina Julie è un carattere moderno e non perché in ogni epoca non ci siano state mezzefemmine, spregiatrici del maschio, ma solo perché il tipo è stato individuato adesso, si è rivelato e ha sollevato scalpore. Vittima di una superstizione (che afferra anche i cervelli più forti), per cui la donna, questa forma distorta d'uomo, intermedia rispetto al maschio, signore della creazione e artefice della cultura, dovrebbe essergli uguale ovvero diventare simile a lui, ella inciampa in un'aspirazione assurda sulla quale cade. Assurda, dicevo, perché una forma distorta, subordinata alle leggi della procreazione, si riproduce sempre distorta e non può mai raggiungere chi le è superiore, secondo la seguente formula: A (l'uomo) e B (la donna) partono da uno stesso punto C; A (l'uomo) con velocità, poniamo, 100 e B (la donna) con velocità 60. Quando, chiediamo, B raggiungerà A? – Risposta: Mai! Né con l'ausilio della parità nell'istruzione, nel diritto di voto, né del disarmo o della temperanza, proprio come due rette parallele non possono mai intersecarsi. La mezzafemmina è un tipo che si spiana la strada, che oggi si vende per il potere, le onorificenze, distinzioni e diplomi, come in passato per i soldi, ed è un sintomo di degenerazione. Non è un buon elemento perché non ha resistenza, anche se purtroppo si perpetua con la sua pochezza; pare, infatti, che i degenerati sovente la preferiscano a livello inconscio, permettendole di riprodursi, generando esseri incerti che penano a sopravvivere e fortunatamente infine periscono, ora incapaci di adeguarsi alla realtà ora a causa dell'ineluttabile affioramento degli istinti repressi ora per la disperazione di non poter raggiungere il maschio. Il tipo è tragico, offre il quadro di un atroce conflitto contro la natura, è tragico come retaggio romantico, ormai indebitamente carpito dal naturalismo che persegue soltanto la felicità, quella felicità che solo le razze sane e vigorose possono attingere. Ma la signorina Julie è anche un resto di antica aristocrazia guerriera che oggi viene soppiantata dalla nuova aristocrazia dei nervi e del cervello; una vittima delle disarmonie familiari create dalla «colpa» di una madre, una vittima dei traviamenti di un'epoca, delle contingenze, nonché della sua costituzione debole, ciò che nel suo complesso corrisponde all'arcaico concetto di Destino ovvero di Legge Universale. Certo il naturalista ha eliminato, insieme a Dio, la colpa, tuttavia le conseguenze di un atto, pena, prigione o paura della galera, non possono essere rimosse [...] (1988, pp. xx-xxi)
  • Senza contare che Jean è in ascesa, egli è superiore alla signorina Julie in quanto è un uomo. Sul piano sessuale è quindi un aristocratico in virtù della sua forza virile, dei suoi sensi più acuti, della sua intraprendenza. La sua inferiorità sta per lo più nel milieu sociale in cui al momento si trova e dal quale probabilmente si emanciperà. (1988, p. xxii)
  • Per quanto concerne la tecnica compositiva, ho soppresso sperimentalmente la suddivisione per atti, perché ho creduto di capire che le nostre labili capacità d'illusione possono essere disturbate dagli intervalli, durante i quali lo spettatore ha agio di meditare e quindi liberarsi dall'influsso suggestivo dell'autore-ipnotista. Il mio dramma dura circa sei quarti d'ora e se si possono ascoltare conferenze, prediche o dibattiti che durino tanto o anche più, mi sono convinto che un lavoro teatrale non dovrebbe stancare in un'ora e mezzo. (1988, p. xxiv)
  • [...] ho voluto una sola scenografia, tanto perché i personaggi germoglino con l'ambiente quanto per tagliar corto con i fatti scenografici. Disponendo di un solo scenario si può inoltre ben pretendere che sia realistico. Eppure non c'è niente di più introvabile di una stanza che ricordi all'incirca una stanza, nonostante i pittori sappiano tranquillamente rendere un vulcano che sputa fiamme o una cascata. Concesso pure che le pareti debbano essere fatte di tela, potrebbe essere anche arrivata l'ora di piantarla con l'abitudine di dipingerci su mensole e utensili da cucina. Abbiamo così tante convenzioni sulla scena cui dobbiamo credere che ci potremmo pure risparmiare la fatica di credere alle pentole pitturate. Ho piazzato il fondale e il tavolo di traverso per far sì che gli attori recitino di faccia e di mezzo profilo quando si fronteggiano seduti al tavolo – e proprio nell'opera Aida ho visto un fondale obliquo guidare l'occhio verso prospettive ignote, cosa che apparentemente non derivava da spirito di contraddizione verso la stancante rettilineità. (1988, pp. xxvi-xxvii)
  • Se potessimo inoltre rinunciare all'orchestra visibile con le sue luci che disturbano e le facce verso il pubblico; se la platea fosse sopraelevata in modo tale che l'occhio dello spettatore mettesse a fuoco più in su delle ginocchia delle interpreti; se potessimo eliminare i palchi di lato (di proscenio) coi loro pancioni che ridacchiano stupidi e le signore beone, se avessimo inoltre buio completo in sala per tutta la durata della rappresentazione e, primo ed ultimo, avessimo una piccola scena e una piccola sala, forse sorgerebbe una drammaturgia nuova e il teatro potrebbe, se non altro, ritornare ad essere un'istituzione in cui si divertono le persone istruite. In attesa di questo teatro, possiamo sempre scrivere opere da conservare nei cassetti, per il repertorio di domani. (1988, p. xxviii)

Citazioni

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  • Non si abbassi, contessina, ascolti il mio consiglio. Nessuno crederà che ella abbia voluto abbassarsi di sua volontà, la gente dirà sempre che è caduta. (Jean: 1988, p. 13) [a Julie]
  • Julie: [...] Adesso mi viene in mente un sogno che mi torna spesso. Sto seduta in alto in cima a una colonna, e non vedo nessuna possibilità di scendere giù. Ho le vertigini se guardo di sotto, devo scendere giù assolutamente, ma non ho il coraggio di gettarmi. Non ho un appiglio cui sostenermi, vorrei poter cadere, ma non cado. E sento che non sarò tranquilla, non avrò pace, finché non sarò giù, in basso, ma se fossi in basso vorrei andare ancora più giù, ancora più sotto, sotto terra. Ha mai provato qualcosa di simile?
    Jean: No. Io sogno che sto disteso sotto un albero alto, in una buia foresta. E vorrei salire sulla cima, per guardare il paesaggio chiaro, illuminato dal sole, e saccheggiare il nido dove sono le uova d'oro. E mi arrampico, mi arrampico, ma il tronco è così grosso e liscio, e il primo ramo è così lontano. Ma so che se solo ci arrivassi, a quel primo ramo, dopo arrivare fino alla cima sarebbe facile come salire una scala. Non l'ho ancora raggiunto ma lo raggiungerò, magari soltanto in sogno. (1988, p. 14)
  • Lo sa lei come si vede il mondo dal basso? No, lei non lo sa. Agli sparvieri, ai falchi di rado gli si vede il dorso: volano troppo alti. (Jean: 1988, p. 16) [a Julie]
  • Lei era per me il simbolo di come non esiste speranza di uscire dalla cerchia in cui sono nato. (Jean: 1988, p. 18) [a Julie]
  • Splendida castellana damigella | più chiara nel mio cielo che una stella | trallalà trallalà || Tenerla voglio sempre al cuore | per esserle fedele servitore | trallalà trallalà || Dal suo amore raccoglier l'indizio | prestarle giorno e notte il mio servizio | trallalà trallalà || Da mane a sera da sera a mattina | voglio sol la mia cara signorina | trallalà trallalà. (Coro di servi: 1988, p. 19) [canzoni dalle opere teatrali]
  • Sempre nuove facce, nuove lingue, non c'è mai un momento di tempo per pensieri o malinconie, lì non c'è bisogno di cercarsi delle occupazioni, il lavoro lì viene da sé. Giorno e notte viene il campanello, il treno fischia, gli omnibus vengono e vanno, e le monete d'oro corrono. Questa è vita. [Jean, affermando il desiderio di voler aprire un albergo] (1988, p. 21)
  • Julie: [...] ma solo una domanda: per un'impresa così occorre un grosso capitale... ce l'ha lei?
    Jean: (mastica il sigaro) Io? Ma è chiaro. Ho la mia capacità professionale, ho la mia eccezionale esperienza, ho il mio talento per le lingue. Non è un capitale questo?
    Julie: Sí, ma non ci compra neanche il biglietto del treno con quello! (1988, pp. 22-23)
  • Julie: [...] un servo rimane un servo.
    Jean: E una puttana rimane una puttana. (1988, p. 24)
  • Jean: Il lago di Como è un imbuto pieno di pioggia, e lì le arance le ho viste solo dai fruttivendoli, ma è buono come luogo di soggiorno, perché ci sono molte ville, che si affittano alle coppiette, ed è un'industria molto lucrosa. Sa perché? Perché il contratto d'affitto vien fatto per sei mesi e dopo tre settimane se ne vanno.
    Julie: (ingenua) Perché dopo tre settimane?
    Jean: Perché litigano. Chiaro! Ma il fitto devono comunque pagarlo. E si riaffitta. E gli affari vanno a gonfie vele. Perché di amore ce n'è sempre: anche se poi non dura. (1988, p. 30)
  • Kristin: [...] Io, per conto mio non ci resto a servire persone che si comportano in modo indecente! No? Così ci si trascina nel fango, dico io.
    Jean: Sí, ma non è una consolazione scoprire che loro non sono neanche un pochettino meglio di noi?
    Kristin: No, questo non mi pare! Se non sono migliori allora che gusto ha darsi tanto da fare per elevarsi un po'. (1988, p. 34)
  • Maledico il momento in cui l'ho vista, maledico il momento in cui fui concepita nel grembo di mia madre! (1988, p. 37)
  • Jean: [...] c'è una differenza tra noi.
    Julie: Perché lei è un uomo e io sono una donna? Che differenza è?
    Jean: La stessa differenza che passa fra un uomo e una donna! (1988, p. 42)
  • Jean: Lei, suo padre non l'ha mai amato, contessina Julie?
    Julie: Sì, immensamente, ma credo di averlo anche odiato. Inconsciamente, penso. Ma è stato lui che mi ha educata a disprezzare il mio sesso e che ha fatto di me una mezza donna e un mezzo uomo! Di chi è la colpa di tutto questo? Di mio padre, di mia madre? O mia? Ma cos'ho di mio, io? Non ho niente di mio! Non ho neanche un pensiero che non mi venga da mio padre, non una passione, che non mi venga da mia madre, e poi quest'ultima idea... che tutti gli uomini sono eguali... l'ho avuta dal mio fidanzato, e per questo dico che è un farabutto. (1988, pp. 42-43)
  • Ah, sono così stanca, non posso fare più niente. Non posso pentirmi, non posso fuggire, non posso restare, non posso vivere, non posso morire. (Julie: 1988, p. 43)
  • Amavo mio padre, ma presi le parti di mia madre, perché non conoscevo le circostanze. Avevo appreso da lei a odiare e diffidare degli uomini – lei odiava gli uomini. Ed io giurai che non sarei mai stata schiava di nessun uomo. (Julie: 1982)
  • Ce ne sono ancora di barriere, fra noi, finché resteremo in questa casa – c'è il passato, c'è il conte – e non ho mai trovato nessuno che rispetti quanto lui – mi basta vedere i suoi guanti su una sedia e mi sento piccolo – mi basta sentire il campanello di sopra, e do uno scarto come un cavallo che prende paura – e adesso che vedo i suoi stivali, lì, rigidi e fieri, sento la schiena che s'incurva! (Jean: 1982)
  • Ma per me ho sempre avuto abbastanza rispetto da--- [...] -da non abbassarmi sotto la mia condizione! Provati a dire che la cuoca del conte è andata collo stalliere o col garzone dei maiali! Provati! (Kristin: 1982)

Dopo dieci anni trascorsi in provincia sono di nuovo nella mia città natale, a tavola con i vecchi amici.

Citazioni

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  • [...] ogni parola si ritorce contro di noi [...]. (cap. I, p. 25)
  • Così, a poco a poco, rimasi da solo, rinviato esclusivamente ai superficiali contatti cui mi costringeva il mio lavoro e che per lo più tenevo per telefono. Non voglio negare che l'inizio fosse difficile e che il vuoto che si chiudeva attorno a me esigesse di essere colmato. Troncando i rapporti con gli altri, mi sembrò dapprima di perdere forza, ma contemporaneamente il mio Io iniziò come a coagularsi, addensarsi attorno a un nucleo, dove tutte le mie esperienze si raccoglievano, si fondevano e divenivano nutrimento per la mia anima. Inoltre, mi abituai a trasformare tutto ciò che vedevo e sentivo, ogni cosa in casa, per la strada, nella natura, e mettendo in relazione ogni mia percezione con il lavoro che stavo svolgendo, sentivo che il mio capitale cresceva, e gli studi che facevo in solitudine risultavano di maggior valore di quelli che avevo fatto sugli uomini nella vita di società. (cap. II, p. 34)
  • [...] non possedere nulla è un aspetto della libertà. Non possedere nulla, non desiderare nulla, significa rendersi irraggiungibili ai colpi più duri della sorte. Ma, allo stesso tempo, avere abbastanza denaro, e dunque sentire che si può se si vuole, è una gioia, perché significa indipendenza, un altro aspetto della libertà. (cap. II, p. 35)
  • Nei sogni si rispecchia il mio intimo, perciò posso servirmene come di uno specchio per la barba: vedere quello che faccio, evitando di tagliarmi. (cap. II, p. 45)
  • [...] con le astuzie si inganna solo sé stessi. (cap. II, p. 57)
  • Alla fine è questa la solitudine: avvolgersi nella seta della propria anima, farsi crisalide e aspettare la metamorfosi, perché questa arriva sempre. Nel frattempo si vive delle proprie esperienze e telepaticamente si vivono le vite degli altri. Morte e resurrezione; una nuova educazione per un futuro sconosciuto.
    Alla fine si è l'unico padrone di sé stessi. Nessun pensiero d'estraneo controlla i miei, nessuna idea o capriccio altrui limita i miei. L'anima inizia adesso a crescere in una libertà di nuova acquisizione, e si prova un'inaudita pace all'interno, una quieta gioia, un sentimento di sicurezza e senso di responsabilità. (cap. III, p. 59)
  • La prima cosa che si ottiene con la solitudine è la resa dei conti con sé stessi e il passato. È un lavoro lungo, tutta un'educazione a vincere sé stessi. Ma lo studio più fertile è proprio il conoscere sé stessi, se è possibile. A volte si può certamente ricorrere allo specchio, in particolare uno specchio a mano, altrimenti non si può sapere come si appare di schiena. (cap. III, pp. 61-62)
  • Ma la solitudine, allo stesso tempo, rende emotivi, e mentre prima con la brutalità mi ero armato contro la sofferenza, adesso divenivo più sensibile alle pene degli altri, facile preda delle influenze esterne, anche se non di quelle cattive. Queste infatti, mi spaventavano solamente, e mi facevano ritirare ancora di più all'indietro. (cap. III, p. 63)
  • Al mattino, dopo una serata sobria e una notte di buon sonno, quando mi alzo dal letto, la vita stessa è un godimento positivo. È come risorgere dai morti. Tutte le facoltà dello spirito sono rinnovate e le forze che derivano dal sonno sono raddoppiate. È come se sentissi di poter cambiare il mondo, condurre i destini delle nazioni, dichiarare guerre, detronizzare dinastie. Quando poi leggo il giornale e nelle notizie dall'estero vedo ciò che è cambiato nella storia del mondo, mi sento proprio al centro del presente, dove il mondo si trova in questo istante. Io sono un "contemporaneo", e lo sento come se nel mio piccolo avessi partecipato a creare questo presente con il mio apporto nel passato. Quindi leggo del mio paese, infine della mia città.
    Rispetto a ieri, la storia del mondo è andata avanti. Le leggi sono cambiate, sono state aperte vie commerciali, sono state sconvolte successioni al trono, rinnovate costituzioni. Della gente è morta, della gente è nata, della gente si è sposata.
    Rispetto a ieri, il mondo è cambiato; con un nuovo sole e un nuovo giorno sono arrivate le novità e io stesso mi sento rinnovato. (cap. III, pp. 71-72)
  • [...] il non credente è sterile, il suo spirito è così pastorizzato che non vi cresce nulla; egli è la negazione, il meno, un'entità immaginaria, il rovescio, il saprofita che non vive di sé stesso ma delle radici di ciò che sta crescendo; egli manca di un'esistenza autonoma, perché per negare ha bisogno di un positivo da negare. (cap. III, p. 80)
  • [...] so che la fede è solo uno stato dell'anima e non una speculazione e so che questo stato è per me salutare ed educativo (cap. III, p. 81)
  • Siamo tutti nemici, e amici solo quando conviene lottare assieme. (cap. V, p. 106)
  • [...] la bellezza segue sempre la ricchezza [...]. (cap. V, p. 108)
  • Davanti al proprio figlio si cerca di far vedere il proprio lato bello, e perciò si proiettano i migliori riflessi di sé sul viso morbido del bambino, che si ama come una versione migliore di sé stessi. (cap. V, p. 115)
  • [...] il giovane adolescente è brutto, con le sue sproporzioni nei tratti, quell'orribile mescolanza di superuomo infantile e di vita animalesca che si sveglia, con accenni a passioni e conflitti, terrore dell'ignoto, rimorso per le cose ormai compiute; e quell'eterna e indomabile smorfia di fronte a ogni cosa; odio per tutto ciò che sta sopra e opprime, di conseguenza odio per i più vecchi, i più fortunati; sfiducia verso una vita che ha da poco trasformato un bambino indifeso in un rapace. (cap. V, pp. 115-116)

Incipit de La sala rossa

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Maggio era appena cominciato e il piccolo giardino pubblico, su al Mosebacke, non era stato ancora riaperto dopo la chiusura invernale. Ma i bucaneve, che erano riusciti a emergere dallo strato di foglie morte dell'anno precedente, stavano già per lasciare il posto ai delicati fiori di croco, e i lillà aspettavano solo il vento del sud per rifiorire.

[Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

  1. Da La stanza rossa. Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 185. ISBN 9788858024416
  2. a b Da La signorina Julie, traduzione a cura di Luciano Codignola, Adelphi, 1982.
  3. Da Inferno; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  4. Citato in Matteo Rampini, Pensare come un mago, Ponte alle Grazie, 2006, p. 11. ISBN 8879288369

Bibliografia

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  • August Strindberg, Dall'Italia, a cura di Bruno Berni, Biblioteca del Vascello, Roma, 1993.
  • August Strindberg, Gli isolani di Hemsö, traduzione di Mario Gabrieli, Sansoni Editore, Firenze, 1966.
  • August Strindberg, La signorina Julie – Teatro Naturalistico II, introduzione e traduzione di Luciano Codignola, Adelphi, 1982. ISBN 88-459-0508-X
  • August Strindberg, La contessina Julie, traduzione di Gherardo Guerreri, nota introduttiva di Carlo Repetti, Einaudi, Torino, 1988. ISBN 88-06-59963-1
  • August Strindberg, Solo, a cura di Andrea Petricca, Salerno Editrice, Padova, 1992. ISBN 88-8402-085-9.

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