Dragonlance

universo immaginario
(Reindirizzamento da I draghi degli abissi dei nani)

Dragonlance, saga letteraria fantasy di Margaret Weis e Tracy Hickman.

I draghi del crepuscolo d'autunno

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  • «Usciremo dalla cucina!» (Tanis Mezzelfo)
  • Era strano, ma gli stessi motivi per cui avrebbe spesso strangolato Tasslehoff erano gli stessi per cui adesso gli mancava: la sua inesauribile allegria, il suo sprezzo del pericolo, la sua prontezza nei casi d'emergenza. Tanis sorrise tristemente. Spero solo che questa non sia la sua ultima avventura, pensò.
  • Anche se disprezzato da tutte le altre razze di Krynn, per i kender lo hoopak era più di un semplice attrezzo o un'arma – era il loro simbolo. "Sulle strade nuove ci vuole un hoopak", recitava un detto molto diffuso tra i kender, sempre seguito da un altro detto: "Non esistono strade vecchie".
  • Sentirono la sua voce levarsi in un canto di viaggio kender:

Il tuo amore è una nave
ancorata al molo.
Leviamo le sue vele, siamo il suo equipaggio,
lustriamo i suoi boccaporti.
E sì, il nostro faro arde per lei;
e sì, le nostre coste sono calde;
la portiamo in porto,
ogni porto è buono nella bufera.

I marinai stanno sul molo,
i marinai fanno la fila
assetati come i nani lo son dell'oro
e i centauri del vino cattivo.

Poiché tutti i marinai l'amano
e corrono al suo ormeggio,
ed ogni uomo spera
di salirle a bordo. (Tasslehoff Burrfoot)

  • «Come posso essere certo di qualcosa, mezzelfo? Non sono neppure certo del mio prossimo respiro. La morte è l'unica grande certezza della vita, Tanis.» (Raistlin)
  • «Non ti affliggere, guerriero,» disse lei. «Il daino compie il suo scopo nella vita provvedendo al sostentamento del cacciatore, sia esso lupo o uomo. Noi non piangiamo per la perdita di coloro che muoiono compiendo il loro destino.» Per un attimo, a Tanis sembrò che gli occhi scuri della Guardiana della Foresta si soffermassero su Sturm mentre parlava, ed essi erano colmi di una così profonda tristezza che il cuore del mezzelfo si riempì di paura.
  • «Voglio quelle risposte. Sei più intelligente di tutti noi messi insieme, anche se...» Si interruppe. «Anche se sono perverso e depravato», disse Raistlin con brusca arroganza. «Sì, sono più intelligente di voi... di tutti voi! Un giorno tu - con la tua bellezza, la tua forza ed il tuo fascino - tu, e tutti voi, dovrete chiamarmi padrone!» (Tanis e Raistlin)
  • «Credi che siamo stati prescelti, Raistlin?» Il mago non esitò. «Sì. Così mi disse Par-Salian alle Torri della magia.» «Ma perché?» insistette Tanis. «Non siamo certo eroi! Sturm, forse...» Ah,» disse Raistlin. «Ma chi ci ha prescelti, e a quale scopo? Pensa a questo, Tanis Mezzelfo!» (Tanis e Raistlin)
  • «Non avevo mai conosciuto un elfo, molti non si fidano di loro, dicendo che agli elfi non importa nulla di Krynn e degli umani, ma credo che la mia gente sia in errore. Sono lieto di averti incontrato, Tanis di Qualinost. Ti considero un amico». (Riverwind)
  • «Tanis!» Tasslehoff si fermò, facendo quasi inciampare il mezzelfo. «C'è qualcosa qui sotto! Mi è passata vicino ai piedi!» «Tu cammina», borbottò Tanis, «e spera che non abbia fame!»
  • «Arrestate quell'albero! Lo accuso di avermi sottratto il sole!» (Fizban)
  • «[Gli elfi] Ci porteranno a Qualinost», disse lentamente Tanis, come se parlare gli causasse un grande dolore. «Non la vedo da molti anni. Non fui esiliato, come Flint ti potrà confermare, ma comunque ben pochi furono addolorati di vedermi partire. Avevi ragione, Riverwind: per gli uomini sono un mezzelfo, per gli elfi un mezzo umano.»
  • I compagni raccolsero in fretta le proprie cose e svegliarono Fizban... il quale si alzò e subito inciampò nella radice di un albero. «Grosso cretino!» esclamò, e picchiò l'albero con il bastone. «Avete visto? Ha cercato di farmi lo sgambetto!
  • «Trattandosi dell'unica cosa sensata da fare, naturalmente non la faremo.» (Tanis)
  • «Aveva ragione mio padre: diceva che i kender sono piccoli perché sono destinati a fare delle piccole cose. Diceva anche però che le grandi cose sono formate dall'unione di piccole cose, e che sono le piccole cose a fare la differenza» (Tas)
  • «Figli miei...» (Matafleur)
  • «La speranza è la negazione della realtà, è la carota appesa davanti al muso dell'asino per farlo camminare nel vano tentativo di raggiungerla...» (Raistlin)

I draghi della notte d'inverno

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  • La luce del bastone brillò sulla bella ossatura di un viso scheletrico ricoperto solo dalla pelle d'oro d'uno scintillio metallico. Anche gli occhi emanavano lo sfolgorio dell'oro. Raistlin non sembrò affatto preoccupato dell'espressione irata con cui i due amici lo osservavano. Era avvezzo all'idea che poche persone si sentissero a loro agio in sua presenza o desiderassero averlo attorno.
  • Il mago dalle Vesti Bianche aveva chiuso i leggeri cancelli della Torre [di Palanthas] con una chiave d'argento. Il Reggente allungò la mano bramando la chiave quando un mago dalle Vesti Nere apparve alla finestra di uno dei piani superiori. «I cancelli rimarranno chiusi e le sale rimarranno vuote fino al giorno in cui il Signore del Passato e del Presente ritornerà con il suo potere» gridò. Quindi si lanciò dalla finestra buttandosi ed andando a conficcarsi sulle punte del cancello; prima di morire, lanciò una maledizione contro la Torre.
  • «Io pensavo che fosse morto...» disse Tas, senza riuscire a credere ai propri occhi. «E allora non dovrebbe andare in giro a spaventare la gente!» affermò il vecchio arrabbiandosi. «Gliene dirò quattro. Ehi tu!» gridò. Tas allungò una mano tremante e tirò la manica delle veste del vecchio. «Io... io non sono sicuro, m... ma credo che tu sia Fizban.» (Tasslehoff Burrfoot e Fizban)
  • L'atteggiamento disinvolto e distratto dei kender nei confronti degli averi altrui si estendeva anche alle loro stesse proprietà. Non c'era niente che restasse troppo a lungo nella casa di un kender, a meno che non fosse inchiodato al pavimento. C'era sicuramente qualche vicino di casa che entrava, girava per le stanze, ammirava un determinato oggetto e, distrattamente, se ne usciva infilandoselo in tasca. Tra i kender un cimelio di famiglia era, per definizione, ciò che restava in una casa per più di tre settimane.
  • «Non aver timore, Cavaliere. La tua spada è al sicuro, così come lo sono le vite di coloro che tu ci affidi....se alcuna vita è sicura... Addio, amici miei,» disse in un sibilo, con un bagliore nei suoi strani occhi a clessidra. «E sarà un lungo addio. È destino che alcuni di noi non si incontrino di nuovo in questo mondo!» (Raistlin)
  • «Le cose non saranno più le stesse tra di noi, non è vero?» chiese, calmo, il mezzelfo. Raistlin lo fissò per un istante e Tanis colse un fugace lampo di rimpianto negli occhi del mago, un desiderio di fiducia e amicizia e di ritorno ai giorni della loro gioventù. «No, ma questo è il prezzo che ho pagato». «Prezzo a chi, e per cosa?» «Non posso darti una risposta, Tanis, perché neppure io la conosco». (Tanis e Raistlin)
  • Raistlin, quasi inconsciamente, si protese verso di lei allungando la mano tremante come per accarezzare quei meravigliosi capelli che sembravano avere una vita propria, tanto erano folti, luminosi e vigorosi. Poi, vedendo la sua stessa carne che avvizziva, ritirò rapidamente la mano e sprofondò nella poltrona, con un sorriso amaro sulle labbra. Perché quello che Laurana non sapeva, non poteva sapere, era che, mentre la guardava, egli vedeva l'unica bellezza intatta che avrebbe mai visto in tutta la sua vita.
  • «Il Mezzelfo viene da me per consigli non perché io so leggere nel futuro. Non posso farlo. Io non sono un veggente. Tanis viene da me perché io sono capace di pensare, che è una cosa che molti di questi altri sciocchi sembrano incapaci di fare.» (Raistlin Majere)
  • «Prima il kender ci procura l'accusa di aver incitato una sommossa e poi sparisce. Adesso, il cavaliere ci fa buttare in prigione. La prossima volta ricordami di andare dietro al mago. Almeno lo so che quello è pazzo!» (Flint)
  • «L'ho sempre saputo che saremmo giunti a questo prima o poi,» disse il cavaliere lentamente. «Preferisco morire piuttosto di mettermi sotto la tua protezione, Raistlin.» (Sturm Brightblade)
  • «Ricordatevi che anche se i nostri corpi sono svegli, le nostre menti dormono. La morte esiste solo nei nostri sogni – a meno che noi non crediamo che esista realmente.» «E allora perché non possiamo svegliarci?» gridò Tanis furioso. «Perché Lorac crede molto fortemente nel sogno mentre voi non ne siete convinti. Quando anche voi sarete assolutamente certi, senza ulteriori dubbi o incertezze, che si tratta effettivamente di un sogno, allora ritornerete alla realtà.» «Se tutto quello che dici è vero,» ribatté Tanis, «e tu sei convinto che sia un sogno, allora perché tu non ti svegli?» «Forse» disse Raistlin con un sorriso «non voglio.» «Non capisco!» urlò Tanis amareggiato.» «Dovrai capire prima o poi,» predisse cupamente Raistlin, «o altrimenti morirai. Nel qual caso non avrà importanza.» (Raistlin e Tanis durante l'incubo di Silvanesti)
  • «Se rinneghiamo l'amore che ci viene dato, se ci rifiutiamo di donare amore perché temiamo il dolore della sua perdita, allora le nostre vite saranno vuote, la nostra perdita più grande.» (Tanis Mezzelfo)
  • «Ho preso l'argento fuso dai reconditi anfratti nel cuore del Monumento del Drago d'Argento. Con il braccio d'argento che gli dei mi hanno donato ho forgiato l'arma di cui racconta la leggenda. E ve la porto – La porto a tutte le genti di Krynn – perché possiamo unirci e sconfiggere il grando male che minaccia di avvolgerci per sempre nelle tenebre. Vi porto... La Dragonlance.» (Theros Ironfield)
  • «È come invitare i nemici a prendere il tè!» (Flint, parlando della paradossale struttura della Torre del Sommo Chierico)
  • Alla fine [Tas] trovò una serie di arnesi da scasso che spettavano di diritto a un kender - «Perché insultare la funzione di una porta chiudendola a chiave?» è una delle espressioni favorite dei kender.
  • Per tutta la vita [Sturm] aveva seguito il Codice e la Misura. Il Codice – Est Sularus Oth Mithas, il mio onore è la mia vita – sì, il Codice era tutto ciò che gli rimaneva. La Misura non aveva più alcun valore, aveva fallito. La Misura, rigida ed inflessibile, aveva rinchiuso i cavalieri come in un involucro d'acciaio più pesante della loro stessa armatura. I cavalieri, che combattevano per la loro sopravvivenza, isolati, si erano attaccati disperatamente alla Misura senza comprendere che era un'àncora che li trascinava verso il basso.
  • E io perché sono diverso? si chiese Sturm. Ma egli conosceva la risposta e il borbottio del nano gli faceva da contrappunto. Era diverso a causa del nano, del kender, del mezzelfo. Gli avevano insegnato a guardare il mondo con altri occhi. Occhi a mandorla, occhietti piccini ed anche occhi a clessidra. I Cavalieri come Derek vedevano il mondo senza sfumature, in bianco e nero. Sturm aveva visto il mondo in tutti i suoi splendidi colori luminosi, in tutto il suo piatto grigiore.
  • Sturm si riprese con uno sforzo sovrumano. Tutto il resto era scomparso; i suoi ideali, le sue speranze, i suoi sogni. L'Ordine dei Cavalieri si stava sgretolando. La Misura era ormai insufficiente. Tutto nella sua vita era privo di significato. Ma la sua morte non avrebbe dovuto esserlo: avrebbe fatto guadagnare tempo prezioso a Laurana. Gliel'avrebbe fatto guadagnare al prezzo della sua vita, che era tutto quello che gli restava. E sarebbe morto secondo il Codice, perché era l'unico ideale a cui poteva aggrapparsi.
  • Il sole di Sturm andò in frantumi.
  • «Ringrazia il cielo che riusciamo ancora a provare pietà e orrore per la morte di un nemico. Il giorno in cui non ci importerà più niente dei nostri nemici sarà il giorno in cui perderemo questa battaglia.» (Laurana)
  • «Nessuno gnomo, vivo o morto, finisce mai una frase in vita sua.» (Fizban)

I draghi dell'alba di primavera

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  • «Io non prevedo il futuro. Vedo soltanto il presente mentre diventa passato.» (Astinus di Palanthas)
  • La pioggia luccicò sulla sua pelle dal colore metallico, i suoi occhi a clessidra scintillarono dorati attraverso la tenebra della tempesta...
  • «Diglielo, Caramon» bisbigliò Raistlin. Gli occhi del mago non lasciarono mai quelli di suo fratello. Le pupille a clessidra si dilatarono, la loro luce dorata guizzò minacciosa. «Di' a Tanis quello che sono capace di fare. Te ne ricordi, perciò dillo. È nei nostri pensieri tutte le volte che ci guardiamo, non è vero, mio caro fratello?»
  • «Adesso abbiamo una possibilità.... Adesso abbiamo una possibilità.» (Flint Fireforge)
  • «Ti ho mai raccontato di quella volta che ho trovato un mammuth lanoso dorato?» (Tas)
  • «Non così in fretta! Rallenta questo affare!» urlò [Tasslehoff] a Flint. «Sei passato davanti a tutti... perfino a Laurana!» Niente sarebbe piaciuto di più al nano che poter rallentare il drago. L'ultima picchiata aveva lanciato le redini alla sua portata e adesso le stava tirando con tutte le sue forze, gridando: «Uuùf, bestione, uuùf!» Il che, a quanto ricordava vagamente, avrebbe dovuto funzionare con i cavalli. Ma non funzionava con i draghi.
  • Ai kender piacevano le nuove esperienze -e questa era sicuramente una delle più eccitanti- ma Tas desiderò che il suolo non si precipitasse loro incontro così velocemente!
  • «Non voltare la schiena a me così come l'hai voltata al mondo» ringhiò Raistlin. (Raistlin ad Astinus di Palanthas)
  • Astinus smise di parlare, sgomento, rendendosi conto di ciò che aveva detto, di ciò che aveva fatto.
  • «So chi sei» mormorò Raistlin con il respiro morente. «Adesso ti conosco e ti imploro.... vieni in mio aiuto, come sei venuto in aiuto nella Torre e a Silvanesti! Il nostro patto è concluso! Salvami, e salverai te stesso!»
  • Astinus fissò per dei lunghi momenti il corpo esanime inondato dalla vivida luminosità purpurea delle due lune. Quindi, a testa china, lo storico lasciò la biblioteca, ora silenziosa, chiudendo a chiave la porta alle sue spalle, con le mani che gli tremavano. Tornato nel suo studio, lo storico rimase seduto per ore, fissando l'oscurità senza vederla.
  • «E io ho fatto tutta questa strada di corsa, quasi ammazzandomi, per scappare da una Torre!» (Flint Fireforge)
  • «Io sono il Signore del Passato e del Presente; la mia venuta è stata predetta. Per me le porte si apriranno» (Raistlin)
  • Poi Raistlin si fermò e si guardò intorno.
    «Sono a casa», disse.
    La pace discese su Palanthas, il sole lenì la paura.

Il destino dei gemelli

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  • «Porta al grande Par-Salian i miei saluti... apprendista.» (Raistlin a Dalamar)
  • «Me so come sono. Me so che me non bella, come signora distesa qui. Ma lui non chiama me "creatura"! Lui chiama me "piccolina". "Piccolina"», ripeté. (Bupu a Par-Salian)
  • E poi il Tempio stesso andò in frantumi, le mura andarono in pezzi. I marmi si squarciarono. I diversi piani esplosero uno dopo l'altro, come i petali d'una rosa che si dischiudono alla luce del mattino... una rosa, questa, che sarebbe morta al calare della notte. Il kender seguì con lo sguardo quel terribile processo fino a quando vide la torre stessa del Tempio spaccarsi in due e crollare al suolo con uno schianto più devastante di un terremoto.
    Incapace di muoversi, protetto dai potenti incantesimi delle tenebre lanciati da un mago malefico morto da tempo, Tas rimase nel laboratorio di Fistandantilus con lo sguardo sollevato sul firmamento.
    E vide che dal cielo cominciava a piovere fuoco.

La guerra dei gemelli

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  • Se a ogni kender sulla faccia di Krynn fosse stato chiesto di citare i Posti Che Mi Piacerebbe Visitare Di Più, il piano di esistenza in cui dimorava la Regina delle Tenebre si sarebbe piazzato almeno al terzo posto in qualsivoglia lista.
  • Rannicchiandosi accanto al corpo del suo rivale, il mago vestito di nero che era uscito vincitore dalla battaglia fissò l'ematite nella sua mano. Poi bisbigliò in preda all'orrore: «Chi sono io?»
  • Caramon si ritrovò a pensare a quella strana espressione sul volto di suo fratello quando lui aveva fatto il nome di Dama Crysania. Caramon l'avrebbe definita l'espressione indignata di un amante, se l'avesse vista sulla faccia di qualunque altro uomo. Ma suo fratello Raistlin era capace di una simile emozione? Ad Istar Caramon aveva deciso che Raistlin non lo era, e che era stato completamente divorato dal male. Ma adesso il suo gemello pareva diverso, assai più simile al vecchio Raistlin, il fratello al cui fianco aveva combattuto tante volte in passato, la vita dell'uno affidata all'altro. Ciò che Raistlin aveva detto a Caramon su Tas era sensato. Così, dopotutto, non aveva ucciso il kender. E malgrado talvolta si fosse mostrato irritabile, Raistlin era sempre stato immancabilmente gentile con Crysania. Forse...
  • Orme di passi sulla sabbia che mi guidano... Sollevando lo sguardo vedo il patibolo, la figura incappucciata con la testa sul ceppo, la figura incappucciata del boia, la lama affilata dell'ascia che luccica al sole ardente. L'ascia cade, la testa recisa della vittima rotola sulla piattaforma di legno, il cappuccio vola via... «La mia testa!» bisbiglió Raistlin con voce febbricitante, torcendosi le mani sottili in preda all'angoscia. Il boia, ridendo, si toglie il cappuccio, rivelando... «La mia faccia!» mormorò Raistlin mentre la paura gli si diffondeva per tutto il corpo come un tumore maligno, facendolo sudare e rabbrividire alternativamente. Stringendosi la testa, cercò di bandire le visioni maligne che infestavano continuamente i suoi sogni, notte dopo notte, e si attardavano turbando anche le sue ore di veglia, trasformando in cenere nella sua bocca tutto ciò che mangiava o beveva. Ma non volevano andarsene. «Maestro del Passato e del Presente!» Raistlin scoppiò in una vuota risata: una risata amara, beffarda. «Non sono maestro di nulla! Tutta questa potenza, e sono in trappola. In trappola! Condannato a seguire le sue orme, sapendo che ogni istante che passa è già  passato prima! Vedo gente che non ho mai visto, eppure la conosco! Sento l'eco delle mie parole prima ancora di pronunciarle! Questa faccia!» Si premette le guance con le mani. «Questa faccia! La sua faccia! Non la mia! Non la mia! Chi sono io? Sono il mio stesso boia!» (Raistlin)
  • «Dovrei ammazzarti, dannato bastardo!» ringhiò, con voce soffocata. «E per cosa mai, questa volta, fratello mio?» chiese Raistlin con voce irritata, continuando a leggere il libro degli incantesimi che stava studiando. «Ho assassinato un altro dei tuoi beneamati kender?» (Caramon e Raistlin)
  • «Ah!» Caramon scoppiò a ridere. «Non dimenticherò mai quella volta, quando il tuo vecchio maestro ci ha sorpresi a cucinare con gli ingredienti del suo incantesimo! Ho pensato che ti avrebbe rivoltato come un guanto!» (Caramon, parlando con Raistlin)
  • L'arcimago rimase silenzioso per un momento, fissando la notte che era fredda ma rischiarata dalla luce di Lunitari e dalle stelle. Solinari, al tramonto, era soltanto un graffio argenteo sul cielo. Cosa più importante per Raistlin, era la luna che lui soltanto poteva vedere. Nuitari, la Luna Nera, era piena e rotonda, un buco di tenebra fra le stelle.
  • Ritirato il braccio dalla morsa di suo fratello, il mago raggiunse a grandi passi l'ingresso della tenda. Qui, esitò. Girando a metà la testa incappucciata, parlò a bassa voce, le sue parole erano esasperate, eppure velate da una certa tristezza: «Tu non mi hai mai capito, Caramon.»
  • Appoggiando la testa sul petto di Caramon, sentendo il battito lento e costante del cuore del suo gemello, Raistlin esalò un lungo e tremulo sospiro. Poi chiuse gli occhi per proteggersi dall'oscurità e si mise a singhiozzare come un bambino.
  • Alla fine i nani dei fossi avevano lasciato cadere le inutili picche per combattere come meglio sapevano fare: con le unghie e coi denti. «Questo non risulta dai documenti storici» mormorò Raistlin fra sé, fissando quei piccoli, miserevoli corpi, accigliandosi. I suoi occhi lampeggiarono. «Forse,» mormorò, «questo significa che il tempo è stato alterato?» Rimase immobile a riflettere per lunghi momenti. Poi d'un tratto capì. Nessuno vide il volto di Raistlin, nascosto com'era dal cappuccio, altrimenti avrebbe notato un improvviso, rapido spasimo di rabbia e di dolore. «No,» disse fra sé con amarezza, «il penoso sacrificio di queste povere creature è stato lasciato fuori dai libri di storia non perché non sia successo. È stato lasciato fuori semplicemente perché...» Si interruppe per qualche istante, fissando con espressione cupa quei piccoli corpi frantumati, «...perché non importava a nessuno.»
  • Un'antica leggenda di Krynn narrava di un uomo che, un giorno, aveva commesso un crimine così orrendo che gli stessi dei si erano riuniti per infliggergli la punizione. Quando annunciarono che, d'ora in avanti, l'uomo avrebbe avuto la capacità di vedere nel futuro, l'uomo rise, convinto di aver battuto in astuzia gli dei. L'uomo, però, era poi morto di una morte atroce, qualcosa che Caramon non era mai riuscito a capire. Ora, invece, aveva capito, e l'anima gli faceva male. Davvero, non si sarebbe potuta infliggere punizione peggiore a un mortale: infatti, vedendo il futuro e sapendo cosa accadrà, l'uomo viene privato del suo dono più grande, la speranza.

La sfida dei gemelli

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  • Era lì: la conferma delle sue paure, il sigillo della sua condanna. Una nuova costellazione nel cielo.
    Una clessidra...
  • «Forse non si tratta di saggezza, quanto della capacità di vedere le cose da ogni lato, e non da uno soltanto.» (Elistan a Tanis)
  • «Vi ho chiamati qui tutti insieme,» ripeté Dalamar, con lo sguardo sul fuoco. Poi sollevò gli occhi guardando direttamente Tanis. «Lei è venuto fin qui affrontando qualche piccola scomodità. Ma io ci sono venuto sapendo che avrei patito il tormento che tutti quelli della mia fede patiscono, calcando questo suolo sacro. Ma è d'importanza assoluta che io parli a voi tutti, insieme. Sapevo che Elistan non poteva venire da me. Sapevo che Tanis Mezzelfo non sarebbe venuto da me. E così, non avevo altra scelta se non quella di...»
    «Procedi,» lo sollecitò Astinus con la sua voce fredda e profonda. «Il mondo scorre mentre noi sediamo qui. Ci hai convocati qui tutti insieme. Questo è stabilito. Per quale ragione?».
    Dalamar rimase silenzioso per un momento, il suo sguardo tornò di nuovo al fuoco. Quando parlò, continuò a fissarlo.
    «I nostri peggiori timori si sono realizzati,» disse con voce sommessa. «Lui ha avuto successo.».
  • «Cosa? Stai impallidendo, mago. Il tuo fragile corpo trema, le tue mani sono scosse da un tremito. I tuoi occhi si spalancano per la paura. Pròstrati davanti a me! Implora il mio perdono!...» «Mia Regina...» «Cosa? Non sei ancora in ginocchio?» «Mia Regina... tocca a te muovere.» (Raistlin Majere e Takhisis)
  • «Lasciami andare, fratello mio», disse Raistlin. E malgrado non l'avesse colpito col pugnale, gli tolse lo stesso il sangue; glielo tolse non dalla carne, ma dall'anima. Rapido e preciso, recise l'ultimo legame spirituale che esisteva ancora tra i gemelli. Caramon sussultò leggermente per il dolore fulmineo e lancinante che avvertì al cuore. Ma il dolore non durò. Il legame era troncato. Finalmente libero, Caramon lasciò il braccio di suo fratello senza dire una parola.
  • Vuoto... vuoto. Non c'era nulla dentro di lui? Sì... c'era qualcosa. Non molto, ma pur sempre qualcosa. La sua anima gli tese la mano. E la sua stessa mano rispose, protendendosi a toccare la pelle coperta di vesciche di Crysania.
  • Raistlin liberò lentamente il Bastone, quasi cadde ma si risollevò barcollando, mettendosi dritto senza nessun aiuto, da solo.
  • «Addio, Crysania... voglio dire, Re... Reverenda Figlia,» disse Tas con una vocina sottile sottile, sentendosi d'un tratto solo, e corto. «Mi... mi dispiace di aver combinato tanti pasticci...»
    Ma Dama Crysania lo interruppe. Voltando le spalle a Caramon, allungò la mano e gli lisciò il ciuffo. «La maggior parte di noi cammina nella luce e nell'ombra, Tasslehoff,» disse, «ma ci sono pochissimi prescelti che percorrono questo mondo portando la propria luce per illuminare sia il giorno sia la notte.»
    «Davvero? Devono affaticarsi terribilmente, trascinandosi appresso una luce del genere! Si tratta di una torcia? Non può essere una candela. La cera gli si fonderebbe addosso, sgocciolandogli dentro le scarpe e... senti... pensi che potrò incontrare qualcuno del genere?» chiese Tas, con vivo interesse.
    «Tu sei qualcuno del genere,» rispose Dama Crysania. «E non credo che dovrai mai preoccuparti che la cera ti coli nelle scarpe. Addio, Tasslehoff Burrfoot. Non c'è bisogno che chieda la benedizione di Paladine su di te, perché so che sei uno dei suoi più intimi amici...»
  • Dalamar si voltò e chiamò a sé uno dei guardiani. Al suo ordine, quegli occhi disincarnati galleggiarono fino a lui. «Prendi questa chiave,» gli disse Dalamar, «e tienila con te per tutta l'eternità. Non consegnarla a nessuno, neppure a me. E da questo momento in avanti, il tuo posto è a guardia di questa porta. Nessuno deve entrare, e che la morte sia rapida per coloro che lo tenteranno.»
    Gli occhi del guardiano si chiusero per assentire. Mentre Dalamar ridiscendeva le scale, vide gli occhi, riaperti, incorniciati dalla porta, che rivolgevano alla notte il loro gelido bagliore.
    L'elfo scuro annuì fra sé, soddisfatto, e proseguì per la sua strada.

La seconda generazione

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  • Alzandosi lentamente in piedi [Palin] si guardò intorno e scoprì di trovarsi in una terra sconosciuta, piatta e desertica, priva di caratteristiche di qualsiasi tipo. Il panorama del tutto spoglio e desertico si stendeva interminabile fin dove arrivava lo sguardo. Perplesso, si rese conto di non essere mai stato in quel luogo prima di allora, e di trovarlo tuttavia familiare. Il suolo aveva uno strano colore.... una sorta di rosa spento uguale a quello che caratterizzava il cielo... e nel contemplare quella tonalità lui rammentò di colpo le parole di suo padre: sembrava che fosse il tramonto, o che da qualche parte in lontananza stesse ardendo un incendio... «L'Abisso» mormorò, aggrappandosi con la mano tremante al bastone per sostenersi.
  • «Ma che razza di mago sei?» borbottò Tanin, fermo sul molo e intento a osservare la nave che si allontanava. «Avresti dovuto sapere fin dall'inizio che in tutto questo c'era qualcosa di strano.» «Io?» ribatté Palin. «Tanto per cominciare, sei stato tu quello che ci ha coinvolti tutti in questa storia!»
  • «Le avventure cominciano sempre in posti come questo» (Tanin Majere)
  • «Vuoi scommettere?» (Dougan Redhammer)
  • «Palin deve imparare a riconoscere il valore degli altri e a rispettarli per quello che sanno, anche se non sono pronti di mente quanto lo è lui» aveva detto Caramon a Tika, ricordando con rincrescimento il proprio gemello che non aveva mai imparato quella lezione. «Al tempo stesso Sturm e Tanin devono imparare a rispettarlo e a rendersi conto che non possono risolvere ogni problema semplicemente menando colpi con la spada. Soprattutto, quei tre devono imparare a dipendere l'uno dall'altro!» aveva esclamato, scuotendo la testa. (Caramon, parlando dei suoi tre figli)
  • I due ragazzi più grandi [Tanin e Sturm] avevano deciso privatamente (di certo senza farne parola con il padre) che quel viaggio sarebbe dovuto servire a fare "un vero uomo" del loro studioso fratello. La loro opinione di ciò che costituiva la "virilità" di un uomo non collimava però con quella di Palin, al quale sembrava che "agire da uomo" significasse soltanto sopportare i pidocchi, il cibo scadente, birra ancora peggiore e la compagnia di donne di dubbia reputazione...
  • «Re?» ripeté Gilthas, stupefatto, fissando Alhana con espressione incredula. «Portavoce del Sole e delle Stelle...io? No, non puoi parlare sul serio. Io.... io non voglio essere re!»
  • «Alleviamo i nostri figli perché poi ci lascino, Tanis» affermò Dalamar, in tono quieto. «Sono parole di Caramon» osservò Tanis, stupito, sollevando il capo di scatto. «Sì, lui me le ha dette dopo che Palin si è sottoposto alla Prova. "I nostri figli ci vengono dati soltanto per breve tempo, nel quale dobbiamo loro insegnare a vivere autonomamente, perché non saremo sempre lì ad assisterli."» «Sagge parole» ricordando l'amico, Tanis abbozzò un sorriso pieno di affetto. «Però Caramon non è stato capace di seguire la propria massima di vita, non quando si è trattato di suo figlio.»
  • «La luce di Paladine rischiara, non acceca.» (Alhana al senatore Rashas)
  • «Padre» insistette Gil [Gilthas] in tono serio, «non sto ingannando me stesso e so che non sarò in grado di fare molto per cambiare le cose. So che Rashas intende usarmi per i suoi scopi malvagi e per il momento non vedo il modo di impedirglielo. Ricordi però quello che diceva lo zio Tas quando raccontava la storia del salvataggio del nano dei fossi dal drago rosso? "Sono le piccole cose che fanno la differenza che conta". Se nelle piccole cose riuscirò a operare contro Rashas....» Alleviamo i nostri figli perché ci lascino. Tanis aveva fatto proprio questo senza neppure rendersene conto. (Gilthas a suo padre Tanis)

I draghi dell'estate di fuoco

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  • «Se vuoi posso aiutarti a mette ordine nelle tue cose», si offrì magnanimamente Tas. «Sono davvero bravo a trovare e a ordinare... è stupefacente quello che la gente riesce a trovare quando fruga nelle mie sacche, perfino cose che non sapeva di aver perso!» (Tasslehoff a Usha)
  • Avendo viaggiato in compagnia di Raistlin, il kender aveva ormai abbastanza esperienza in fatto di magia da sapere che se un mago di rango inferiore tentava di leggere un incantesimo che non era adatto a lui rischiava di impazzire all'istante. «È una misura di sicurezza» sottolineò quindi, nel caso che Palin non lo sapesse. «Raistlin me lo ha spiegato una volta in cui mi ha tolto di mano un suo libro d'incantesimi. Lui è stato terribilmente gentile, in quanto ha affermato che non voleva avere per le mani un kender pazzo, ed io gli ho risposto che era estremamente cortese da parte sua ma che non mi sarebbe dispiaciuto impazzire, al che Raistlin ha ribattuto che a lui sarebbe dispiaciuto ed ha aggiunto qualcosa sul fatto che avrebbe preferito piuttosto essere picchiato da venti orchi muniti di bastone... anche se a questo riguardo potrei sbagliarmi.»
  • La tenda si sollevò in mezzo ad una pioggia di polvere che quasi soffocò il kender, e un momento più tardi Palin udì quella minacciosa parola che in genere è l'ultima che coloro che hanno sfortuna di viaggiare con un kender sentono prima di perdere la vita. «Ooops!»
  • Sul pianerottolo c'era in attesa una figura avvolta in vesti nere, scura sullo sfondo della notte; alla vista di Caramon la figura gettò indietro il cappuccio che le nascondeva il capo e la luce che fiottava dalla soglia della locanda brillò sulla pelle dorata e sugli occhi a forma di clessidra. «Raist!» esclamò Caramon, barcollando leggermente. Raistlin fissò a lungo il fratello, ma non accennò a muoversi da dove si trovava per varcare la soglia. «Caramon» disse infine in tono sommesso, dando l'impressione che il suo cuore sanguinasse nel pronunciare quel nome. «Caramon, puoi... puoi...» Un accesso di tosse lo assalì all'improvviso, ma lui si sforzò di finire comunque la frase: «...puoi perdonare...» Caramon protese la mano per trarre il fratello oltre la soglia.
    «La tua camera è pronta ad accoglierti, Raist, lo è sempre stata» replicò.
  • «Se avessi saputo come sarebbe andata a finire avresti fatto scelte diverse, Raist?» domandò Caramon. «No» rispose Raistlin, con una sfumatura dell'irritabilità di un tempo, «perché in quel caso non sarei stato io a scegliere.»
  • «Tu hai il diritto di conoscere la verità: non ho più la mia magia, nipote, mi è stata tolta. È la condizione che sono stato costretto ad accettare per poter tornare su questo piano dell'esistenza.» «E tu non volevi tornare, lo hai fatto per causa mia. Zio...» «Non mi compatire» ringhiò Raistlin, mentre i suoi occhi dorati si facevano più intensi e roventi del sole. Sconcertato, Palin tacque.
    «Lo considero un complimento, un segno che lei [Takhisis] mi teme ancora» proseguì Raistlin, mentre la sua ira si placava.
  • Nell'udire quell'urlo, che probabilmente era stato sentito fino a Solace, i ladri lasciarono cadere i boccali e afferrarono le armi mentre il loro attuale capo, un furfante noto come Mike il Vedovo in quanto le sue mogli avevano l'inspiegabile tendenza a morire, correva verso la porta seguito da sei dei suoi uomini.
  • «Andate via», ordinò Raistlin. «Uscite tutti.» Per quanto sommessa, la sua voce arrivò fino negli angoli più bui, si insinuò fra le travi del tetto, si posò come fumo su tutta la stanza. «Andare via?» si azzardò a protestare il Vedovo, con una flebile risata. «Noi? Questo non mi sembra giusto, Maestro. Perché non vai via tu? Questa è la nostra Corporazione...» Raistlin si accigliò e socchiuse gli occhi dorati con aria minacciosa, facendo scivolare la mano verso una sacca che portava alla cintura. Sally Dale afferrò il Vedovo e prese quindi a scuoterlo fino a fargli tremare le ossa. «Stolto!» esclamò. «Questo è Raistlin! Raistlin Majere! Il mago che ha combattuto contro la Regina delle Tenebre in persona! Se volesse potrebbe far saltare in aria questa stanza e noi con essa.» Il Vedovo continuò ad esitare, adocchiando Raistlin, che da parte sua rimase del tutto calmo e staccò la sacca dalla cintura, aprendola lentamente...
    La sala si svuotò all'istante in quanto i ladri si precipitarono tutti verso la porta, le finestre ed ogni immaginabile nascondiglio.
  • «Non esiste magia abbastanza potente da poter bandire dal mio cuore la consapevolezza di essere stato amato. Neppure la morte potrebbe riuscirci» aggiunse in tono sommesso, quasi tra sé. (Raistlin Majere)
  • «Smilzo! Smilzo!» prese a cantilenare il kender, saltellando intorno allo stordito locandiere. «Ha paura di mangiare quello che cucina! Lo chiamano Bill l'Intossicatore!» (Tas)
  • «Oh, lui se la caverà benone», le garantì Tas. «Dopo tutto, è un dio.» «Cosa?» esclamò Usha, con un sussulto. «È un dio» ripeté con disinvoltura Tas, affrettandosi a seguire lei e Palin. «Reorx. Vedi, io lo so perché frequento parecchio gli dei. Paladine ed io siamo grandi amici, e la Regina delle Tenebre mi era così affezionata che voleva che rimanessi con lei nell'Abisso. E adesso conosco anche Reorx, che in realtà è Dougan. Abbiamo fatto una bella chiacchierata, prima che qualcuno lo colpisse alla testa con una pentola da stufato.»
  • «Se i kender fossero dei di certo il mondo sarebbe un posto interessante, anche se nessuno di noi riuscirebbe più a trovare nulla». (Astinus di Palanthas)
  • «Accontenta di nuovo la mia curiosità. Vorresti chiederle perdono?» «No» ribatté Raistlin, freddo. «Perché dovrei? Ha avuto quello che voleva ed io quello che mi spettava. Siamo pari.» «Quindi non ti scuseresti con lei, non le chiederesti perdono... allora cosa le diresti?»
    Raistlin rimase in silenzio per un lungo momento. Adesso si era di nuovo voltato verso gli scaffali di libri e stava fissando le ombre che li ammantavano come se stesse guardando un tempo che non si sarebbe mai verificato. «Volevo dirle che a volte, durante il mio lungo sonno, ho sognato di lei» mormorò.
    (Astinus e Raistlin Majere)
  • «Tu sarai sempre il mio insegnante» dichiarò [Dalamar]. «Come puoi vedere, studio quotidianamente la lezione che mi hai impartito.» «Pare che tu ne abbia tratto profitto» ribatté con freddezza Raistlin, tamburellando lievemente con la mano destra sul piano del tavolo. «Io ti ammiravo» proseguì Dalamar, in tono sommesso, «e lo faccio ancora.» Con un gesto brusco della mano richiuse poi la veste in modo da nascondere le ferite e aggiunse: «E ti odierò per sempre. Addio, Majere» proseguì quindi, rivolto al giovane mago. «Possano gli dei della magia impartirti la loro benedizione.»
  • «Immagino che tu abbia pagato Caramon, vero?» «Lo farò la prossima volta che passerò di là». (Flint e Tasslehoff)
  • Nel cielo notturno, al di sopra di Ansalon, splende ora una nuova stella, una stella rossa, che resta sempre fissa e immutevole a indicare che anche nell'Era dei Mortali gli uomini non sono del tutto soli.

L'alba del male

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  • «E perché voglio che un giorno i grassi locandieri si inchinino davanti a me.» (Raistlin Majere)
  • Quale demone si annidava in Raistlin e lo spingeva a questa competizione costante, e peraltro unilaterale, con Caramon, che ne era beatamente ignaro? D'un tratto Raistlin ricordò una storia che Tasslehoff gli aveva raccontato e che parlava di un nano imbattutosi in un drago rosso addormentato. Il nano aveva attaccato il drago dormiente con l'ascia e con la spada, tempestandolo di colpi per ore fino a sfinirsi senza però che il drago si svegliasse; sbadigliando, alla fine l'enorme creatura si era girata nel sonno e aveva schiacciato il nano. Raistlin provava un'intensa comprensione per quel nano perché aveva l'impressione di essere impegnato in una costante battaglia con il suo gemello che si limitava a rotolargli addosso e a schiacciarlo.
  • «L'anima di un mago viene forgiata nel crogiulo della magia», disse. «Se sceglierai volontariamente di entrare nel fuoco le fiamme ti potrebbero distruggere, ma se sopravviverai ad esse ogni colpo di martello servirà a modellare il tuo essere, ogni goccia d'acqua che ti verrà strappata servirà a temprare e rinforzare la tua anima. Riesci a capirlo?» (Antimodes dalla Veste Bianca)
  • «La magia viene dall'interno», aveva affermato il Maestro Theobald, «Comincia al centro del vostro essere e scorre verso l'esterno. Le parole intercettano la magia che fluisce dal cuore verso il cervello e da lì alla bocca, e nel pronunciarle voi date alla magia forma e sostanza, attivando l'incantesimo. Parole pronunciate da una bocca vuota servono invece soltanto a muovere le labbra»
  • «Noi maghi riconosciamo che nel mondo ci dev'essere un equilibrio», aveva cercato di spiegargli. «L'oscurità segue la luce del giorno, ed entrambe sono necessarie perché noi si continui ad esistere; allo stesso modo il Conclave rispetta sia l'oscurità sia la luce, chiedendo in cambio che tutti i maghi rispettino le sue leggi, che sono state elaborate nel corso dei secoli per proteggere la magia e quanti la praticano. La fedeltà di ogni mago deve andare innanzitutto alla magia, e poi a qualsiasi altra cosa.» (Raistlin)
  • «I kender sono i veri innocenti di questo mondo, ci ricordano che consumiamo una quantità di tempo e di energia preoccupandoci di cose che in realtà non sono importanti.» (Par-Salian)
  • «La magia è nel sangue, scorre dal cuore, e ogni volta che la usi una parte di te se ne va con essa. Soltando quando sarai pronto a donare qualcosa di te senza ricevere nulla in cambio sarai in grado di utilizzarla.» (Theobald Beckman)
  • «Io lo farò. Nella mia vita nulla ha importanza tranne questo momento, il solo che esista per me: sono nato in questo momento, e se dovessi fallire esso sarà anche quello della mia morte.» (Raistlin Majere)
  • L'aspirante mago Raistlin Majere è convocato alla Torre della Grande Stregoneria di Wayreth perché si presenti davanti al Conclave dei Maghi nel settimo giorno del settimo mese, il settimo minuto della settima ora. Nel tempo e nel luogo fissati sarà messo alla prova dai suoi superiori per essere incluso fra le file di coloro che sono stati dotati di talento dai tre dèi: Solinari, Lunitari e Nuitari.
  • «Non ci si può nascondere dal pericolo, la morte fluttua nell'aria, striscia attraverso le finestre, viene trasmessa dalla stretta di mano di uno sconosciuto. Se cessiamo di vivere per paura della morte, allora siamo già morti.» (Raistlin)
  • Ormai da tempo Raistlin aveva rinunciato alla speranza che un giorno nel guardarsi allo specchio si sarebbe visto come l'immagine del proprio avvenente gemello: con i suoi lineamenti fini, gli occhi grandi e i morbidi capelli rossicci che gli scendevano fino alle spalle, Raistlin sarebbe stato senza dubbio il più avvenente dei due se non fosse stato per i suoi occhi, che trattenevano troppo a lungo lo sguardo degli altri, vedevano troppo e troppo in profondità, e contenevano sempre una vaga espressione di disprezzo, dovuta al fatto che lui vedeva con chiarezza le menzogne, gli artifici e le assurdità delle persone e ne era al tempo stesso divertito e disgustato.
  • «Esiste una differenza fra saggezza e intelligenza, fratello mio, ed è possibile avere l'una ma non l'altra». (Raistlin)
  • «Voi tutti pensate di conoscere mio fratello», disse fra sé Caramon, rivolgendosi silenziosamente ad una fila di volti. «Tu, Maestro Theobald, e tu, Jon Farnish, e anche tu, Sturm Brightblade, e tutti voi altri lo definite "Astuto" e "Subdolo", dite che è freddo, calcolatore e insensibile, e credete di conoscerlo. Io lo conosco», pensò, con occhi ora colmi di lacrime. «Sono il solo a conoscerlo davvero». (Caramon Majere)
  • Raistlin non aveva difficoltà a vedere i fatali difetti presenti negli esseri mortali, vedeva la loro avidità, i loro pregiudizi, la loro credulità, la loro perfidia e la loro bassezza d'animo, tutte pecche per le quali li disprezzava, e in quel momento comprese che avrebbe potuto sfruttare quelle pecche per i propri fini, quali che potessero essere, operando il bene o il male con il suo potere, a seconda di quello che avesse scelto.
  • Tasslehoff continuò intanto a descrivere le meraviglie di Kendermore, dipingendo il quadro di una contea libera dove il concetto di proprietà privata e di beni personali era del tutto sconosciuto, in toni così vividi che tutti coloro che sedevano al tavolo votarono con risolutezza di non recarsi mai laggiù.
  • A quel punto fu necessario riferire la storia della sfortunata gita in barca, che tutti cercarono di raccontare parlando contemporaneamente.
    «Io ho trovato la barca...» cominciò Tasslehoff.
    «Caramon, quel grosso idiota, si è alzato in piedi mentre eravamo a bordo...».
    «Stavo soltanto cercando di prendere un pesce, Flint...».
    «Ed hai rovesciato quella dannata barca, facendoci bagnare tutti fino alle ossa...».
    «Caramon è andato a fondo come un sasso... lo so perché ho lanciato una quantità di sassi nell'acqua e tutti sono sempre andati a fondo proprio come lui, senza neppure una bolla...».
    «Ero preoccupato per Raist...».
    «Io ero perfettamente in grado di provvedere a me stesso, fratello. Sotto la barca rovesciata c'era una sacca d'aria e non correvo il minimo pericolo, tranne quello di avere un imbecille per fratello. Cercare di prendere un pesce a mani nude...».
  • «Non è possibile che i draghi siano fasulli nelle storie dei kender e vere in quelle dei nani, mio vecchio amico!» rise Tanis. «E perché no?» ribatté Flint, in tono iroso. «Hai mai conosciuto un kender che dicesse una sola parola di vero? E hai mai conosciuto un nano che mentisse?». Il nano si mostrò quindi estremamente compiaciuto di quella sua argomentazione, che gli pareva del tutto coerente sotto l'effetto della birra che aveva ingurgitato.
  • «Chi vuole gli dèi o ne ha bisogno?» rise lei con noncuranza, spingendosi indietro i capelli ricciuti. «Io no di certo. Nessuna forza divina controlla la mia vita e a me piace così perché sono io a scegliere il mio destino. Non sono schiava di nessun uomo, quindi perché dovrei essere schiava di un dio e permettere a qualche prete o a qualche chierico di dirmi come devo vivere?» (Kitiara Uth Matar)
  • Flint aveva cercato di insegnare al kender che bussare alla porta era in genere considerato fra i popoli civili un modo per annunciare la propria presenza e chiedere di poter entrare, precisando che bisognava aspettare con pazienza alla porta fino a quando chi abitava in casa rispondeva venendo ad aprire la porta. Tasslehoff, però, semplicemente non era in grado di capire quel concetto perché bussare alla porta non era una cosa che i kender fossero soliti fare nelle loro terre, dove generalmente la porta di casa era spalancata e veniva chiusa solo in caso di maltempo.
  • Se un kender in visita entrava in una casa e scopriva che gli occupanti erano impegnati a fare qualcosa a cui lui non era particolarmente interessato, poteva restare seduto in salotto ad aspettare che gli abitanti della casa si facessero vedere oppure poteva andarsene tranquillamente... dopo aver ovviamente prelevato dalla dimora ogni oggetto che gli sembrava interessante. Alcune persone poco informate di Ansalon sostenevano che quest'usanza dipendeva dal fatto che i kender non avevano serrature alla porta, ma questo non era vero perché la porta di ogni abitazione kender aveva delle serrature, in genere numerose e di svariati tipi. Esse venivano usate soltanto quando era in corso una festa, perché in quelle occasioni non si bussava alla porta ma gli ospiti dovevano riuscire a forzare le serrature per poter entrare, in quanto quella era la principale forma di divertimento della serata.
  • Raistlin stava comunque già aspettando l'arrivo del kender perché lo aveva sentito strillare con voce affannosa il suo nome quando ancora si trovava a sei porte di distanza e aveva anche sentito i vicini reagire chiedendo con voce irosa a Tasslehoff se sapeva che ora era e lui rispondere fornendo loro l'ora esatta. «Sono stati loro a chiedermelo!» dichiarò Tasslehoff in tono indignato, nell'entrare in casa. «Se non volevano saperlo perché stavano gridando in quel modo? Ti garantisco che a volte non capisco gli umani», concluse con un sospiro.
  • «Tu stesso sei sempre stato solito dire che coloro che percorrono i sentieri della notte devono sapere come vedere il buio.» (Antimodes della Veste Bianca)
  • «La lama deve passare attraverso il fuoco, altrimenti un giorno si spezzerà». (Par-Salian)
  • Tornerei ai giorni della mia giovinezza? si chiese Raistlin. Allora il mio corpo sembrava fragile, ma era forte rispetto a questo insieme di ossa e di carne in cui sono adesso racchiuso, tenuto unito soltanto dalla mia volontà. Tornerei indietro? Allora quando guardavo qualcosa di bello esso mi appariva tale, mentre adesso nel contemplare la bellezza la vedo annegata, gonfia e sfigurata, trascinata verso valle dal fiume del tempo. Tornerei indietro? Allora noi eravamo gemelli, insieme nel grembo materno e dopo la nascita, anche se fisicamente separati. Adesso i cordoni di seta della fratellanza pendono tagliati in mezzo a noi e non si rinsalderanno più. Tornerei indietro? Chiudendo il volume su cui aveva stilato le sue preziose annotazioni, Raistlin prese la penna e scrisse sulla copertina:
    Io, Magus
    E con un rapido, deciso tratto sottolineò quelle due parole.
  • Infrango il silenzio adesso perché voglio che i fatti siano conosciuti: se devo essere giudicato da quanti mi seguiranno, chiedo di essere almeno giudicato sulla base della verità. (Raistlin Majere, in una lettera ad Astinus di Palanthas)

I fratelli in armi

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  • Quelli erano sogni ad occhi aperti, ma del resto i giovani sono fatti di sogni.
  • L'arcimago [Par-Salian] avvertì lo sguardo di quegli occhi dorati e dalle pupille a forma di clessidra, lo sentì posarsi su di lui e pungergli la carne come se la punta della spada da lui forgiata gli fosse stata passata sulla pelle. Quegli occhi dorati, con la loro vista maledetta, non rivelavano nulla dei pensieri che si celavano dietro ad essi.
  • Tu conosci la verità, vero, Maestro Antimodes? pensò fra sé. Ti hanno permesso di guardare? Mi hai visto uccidere il mio gemello, o quella che è risultata essere la sua immagine illusoria? Non che questo abbia importanza, perché la consapevolezza che ho dentro di me di essere capace di commettere un atto tanto orribile equivale al crimine stesso. Io ti faccio inorridire, vero? Non mi tratti più come eri solito fare, adesso non sono più la tua preziosa scoperta, il tuo allievo tanto dotato di talento che sei orgoglioso di presentare agli altri. Mi ammiri, ma con riluttanza; mi compatisci, ma io non ti piaccio.
  • [...] Era evidente che la parola utilizzata apparteneva al linguaggio della magia. Nella Torre lui [Raistlin] aveva trascorso un'ora provando ogni parola della lingua arcana della magia che gli venisse in mente e che potesse somigliare anche remotamente a "shark", ma con sua crescente frustrazione aveva avuto nei suoi tentativi la stessa fortuna di quel soldato da tempo morto e dimenticato. «Elem shardish», scandì, una frase standard che significava "Per mio ordine" e che era utilizzata per attivare la magia in più di un manufatto. A quanto pareva, però, questo particolare manufatto faceva eccezione alla regola, dato che il cristallo trattenuto in un dorato artiglio di drago rimase scuro e passivo. Accigliandosi, Raistlin abbassò lo sguardo sulla frase successiva che aveva annotato nella sua lista, "Sharcum pas edislus", che era un altro comando magico piuttosto comune dall'approssimativo significato di "Fa' ciò che ti dico" e che ottenne gli stessi risultati di quello precedente: il cristallo rimase spento, tranne per il bagliore strappato a esso da un raggio di sole che si riflesse sulla sua superficie. Imperterrito, Raistlin continuò con la sua lista, che comprendeva frasi che andavano da "Omus sharpuk derli" ("Così sia") a "Schirkit muan", il cui significato era "Obbediscimi". «Uh, Lunitari's idish, shirak, damen du!» esclamò infine, perdendo la pazienza di fronte a quegli esiti infruttuosi. Immediatamente dal cristallo che sormontava il bastone scaturì una luce limpida e intensa. Stupefatto, Raistlin rimase a fissare quel chiarore cercando di ricordare le parole esatte che aveva pronunciato, poi raccolse la penna con mano tremante, lo sguardo diviso fra quella meravigliosa luce magica e il foglio che aveva davanti, e scrisse la frase, "Uh, Lunitari's idish, shirak, damen du!" e la sua traduzione: "Oh, per l'amore della dea, illuminati, dannazione a te!" E constatò che quella era la risposta.
  • Kitiara giaceva avvolta nelle coperte, con le braccia sotto la testa e lo sguardo rovente fisso sulla luna rossa che pareva ridere di lei, e in cuor suo sapeva benissimo il perché di quella risata celeste. «Una caccia allo snipe», ringhiò ad alta voce, parlando a se stessa a denti stretti per l'ira. «È una dannata caccia allo snipe!»
  • «Io sono Horkin, il Maestro Horkin per te, Rosso». «Il mio nome è...» cominciò Raistlin, in tono secco. «Non m'importa qual è il tuo nome, Rosso», lo prevenne però Horkin, sollevando una mano in un gesto di avvertimento. «Non voglio neppure conoscerlo. Se sopravviverai alle prime tre o quattro battaglie forse mi prenderò la briga di scoprire quale esso sia ma non prima. Un tempo avevo l'abitudine di imparare i nomi ma poi ho scoperto che è soltanto una dannata perdita di tempo perché non appena comincio a conoscere uno sputabudella lui mi muore fra le mani, quindi adesso non mi prendo più questo fastidio perché mi ingombra la mente con una serie di informazioni inutili.»
  • Raistlin rimase a lungo in silenzio, con la pioggia che gli batteva sulla veste fradicia e gli martellava sulla testa, grondando dai capelli prematuramente incanutiti dalla terribile Prova a cui si era sottoposto e scorrendo lungo le mani snelle e agili la cui pelle splendeva di un bagliore dorato, un altro marchio lasciato su di lui dalla Prova. Sì, l'aveva superata, ma di stretta misura e anche se non ricordava tutto quello che era successo sapeva in cuor suo di essere andato molto vicino al fallimento. Scrutando attraverso le cortine di pioggia indugiò a contemplare Caramon, Scrounger e quegli altri uomini di cui non conosceva ancora il nome: i suoi compagni. D'un tratto si sentì molto umile e si trovò a guardare Horkin con nuovo rispetto nel rendersi conto di aver appreso di più da quest'uomo rozzo e ignorante, del genere che aveva visto nelle fiere intenti a esibirsi estraendosi monete dal naso, di quanto avesse imparato in tutti i suoi anni di studio.

Il mistero di Mereklar

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  • «Oh, lascialo venire, Raist», disse il guerriero. «Ci farà compagnia. Lo sai che ci annoiamo, a parlare soltanto fra noi.» «Lo so che mi annoio a parlare solo con te, fratello mio, ma non penso che la situazione migliorerà, prendendo con noi un kender.» (Raistlin e Caramon a proposito di Earwig)
  • Ma la gente li aveva presi come animali da compagnia, o forse erano stati i gatti a prendere la gente come animali da compagnia, a volte è difficile distinguere le due cose. (Shavas)
  • «Il soldato ne parlava con uno dei suoi colleghi. L'uomo assassinato, non aveva il cuore!» «Beato lui», disse il mago. (Earwig e Raistlin)

I draghi degli abissi dei nani

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  • Raistlin avanzò nel cerchio dei delegati, il cappuccio calato in avanti a coprire la testa.
    «Ha cominciato a nevicare», annunciò.
    «Gli piace portare cattive notizie?» borbottò Sturm.
    «Cosa ci fa lui qui?» chiese Flint.
    «Gli ho chiesto io di venire, e gli ho detto a che ora doveva presentarsi», replicò Tanis. «Mi chiedo perché sia giunto in ritardo».
    «Per poter fare un’entrata a effetto», opinò Sturm.
  • Raistlin intanto continuò ad avanzare fino a fermarsi vicino al fuoco. Il giovane mago si stava muovendo lentamente, prendendosela con calma, ben consapevole che tutti gli sguardi erano appuntati su di lui, anche se ben pochi di essi esprimevano sentimenti amichevoli. Peraltro, non gli importava minimamente di essere universalmente detestato, e a volte Tanis si trovava a pensare che Raistlin si crogiolasse addirittura in quello stato di cose.
  • «Non è una cosa malvagia, è magia», precisò Caramon, pur sapendo che stava sprecando il fiato, perché nella mente del Cavaliere di Solamnia quei due termini erano sinonimi.
  • «I Theiwar ci avevano preso di mira», annaspò Sturm, con il respiro affannoso. «Avevano preso di mira Raistlin», puntualizzò Tanis. «Ho detto che i Theiwar sono malvagi», sbuffò Flint, «ma non ho mai asserito che siano privi di buon senso».
  • «Cosa è stato? sussultò [Tika]. «Probabilmente un goblin», replicò in tono assonnato Tas, che nel frattempo si era sdraiato per dormire. «Fai tu il primo turno di guardia». Tika emise uno strillo soffocato e afferrò la spada. «Non ti preoccupare», aggiunse Tas sbadigliando e tirandosi la coperta sopra la testa. «I goblin non attaccano quasi mai di notte. Lo fanno solo spettri e ghoul». Il senso di rassicurazione che Tika stava cominciando a provare si dissolse sul nascere.
  • Il mago non parve trovare nulla da ribattere, cosa di cui Sturm fu grato, perché le conversazioni con Raistlin avevano sempre l'effetto di sconvolgerlo, lasciandogli la sensazione che tutte le sue idee pure relative al mondo fossero in effetti annerite e contaminate.
  • «Adoro le grotte. Non si sa mai cosa si può trovare all'interno. Ti ho mai raccontato di quella volta che sono entrato in una grotta e dentro c'erano due orchi che stavano giocando al lancio del coltello? All'inizio, volevano smembrarmi e mangiarmi, a cominciare dalle dita dei piedi. Non lo sapevo, ma pare che le dita dei piedi dei kender siano considerate una prelibatezza dagli orchi. Comunque, io ho detto loro che ero davvero molto bravo a giocare nel lancio del coltello, migliore di tutti e due, e ho scommesso con loro che se avessi vinto non mi avrebbero mangiato. Naturalmente, si sono sentiti obbligati a giocare perché avevano scommesso, quindi mi hanno dato un coltello che avrei dovuto lanciare. Io però l'ho usato per trafiggerli alle ginocchia, in modo che non mi potessero inseguire, e ho evitato di essere mangiato. Sai giocare al lancio del coltello, Tika, nel caso che in quella grotta ci siano degli orchi e vogliano mangiarci?» (Tasslehoff)
  • «Co...cosa è stato?», chiese Tika, con voce tremante. «Credo sia stato uno Stalag Mite», disse Tas, dopo un attimo di riflessione. «Un che cosa?» sussurrò Tika. «Uno Stalag Mite», ribadì Tas, in tono solenne. «Ho sentito delle storie al riguardo. Vivono nelle grotte, sono enormi e feroci. Mi spiace dovertelo dire, Tika, ma farai meglio a prepararti al peggio. Quel suono che abbiamo sentito era probabilmente uno Stalag Mite che stava divorando Caramon». «No!» esclamò selvaggiamente Tika. «Non ti credo...» Interrompendosi, fissò il kender a occhi socchiusi. «Aspetta un momento, Io non ho mai sentito parlare di uno Stalag Mite». «Dovresti proprio viaggiare un po' di più, Tika». «Volevi dire stalagmite!» esclamò Tika, così infuriata che per poco non scagliò la torcia contro il kender. «È quello che ho detto» ribatté Tas, che appariva offeso. «Gli Stalag Mite si trovano soltanto nelle caverne». «Una stalagmite è una formazione di roccia che si trova nelle caverne, razza di pomolo di porta! Cosa ti è preso, per spaventarmi in quel modo?» infuriò Tika, asciugandosi il sudore dalla fronte. «Ne sei certa?» domandò Tas, riluttante a rinunciare all'idea del feroce Stalag Mite divoratore di uomini. «Sì, ne sono certa», ribadì Tika, sempre più irritata. (Tas e Tika)
  • «Forse Caramon non è stato divorato da una formazione rocciosa, ma lui e suo fratello potrebbero comunque essere nei guai e aver bisogno del nostro aiuto. Non sarebbe meraviglioso se proprio noi, tu ed io, salvassimo Caramon e Raistlin? Allora ci rispetterebbero, smetterebbero di tirarmi la coda o di colpirmi la mano, quando tutto quello che voglio fare è toccare quel vecchio, stupido bastone». (Tasslehoff)
  • Lo spettro si fece ancora più vicino, e all'improvviso la luce del bastone divampò, facendosi di un candore abbagliante che quasi accecò Raistlin, costringendolo a ripararsi gli occhi con la mano libera. Lo spettro si arrestò. Poi risuonò una voce, arida come un osso e morbida come la cenere, proveniente da una bocca invisibile. «Il Maestro mi ha chiesto di riferirti questo messaggio, Raistlin Majere. Hai trovato quello che cerchi».
  • Raistlin aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotto da Tasslehoff, che fece irruzione nella stanza, le parole che gli si affastellavano sulle labbra per l'eccitazione. «Salve, Raistlin! Siamo venuti a salvarvi, ma suppongo che non ne abbiate bisogno. Caramon credeva che fossimo draconici, e per poco non ci ha infilzati. Accidenti, quello è un drago? È morto? Poveretto! Posso toccarlo?»
  • «Lo prometto», assentì prontamente Tas. Tika lo conosceva bene, e sapeva che di solito le promesse gli scivolavano di dosso come sabbia, facili da scrollare via. «Devi giurarlo su ogni oggetto che hai nelle tue sacche», ordinò in tono severo. «Che possano diventare scarafaggi e strisciare via nella notte, se infrangerai il giuramento». Tas sgranò gli occhi di fronte a quella terribile prospettiva.
  • [Tas] sapeva che avrebbe dovuto svegliare qualcuno, ma poi pensò a tutte le cose meravigliose che aveva nelle sue sacche, immaginò che si mutassero in scarafaggi e scappassero via, e non seppe più che fare. Sedutosi di nuovo accanto a Sturm, cercò di escogitare il modo di aggirare la promessa fatta.
  • «Aspetta un momento», intervenne Riverwind. «Prima che ci racconti la tua storia, sai dirci dove è il kender? Tasslehoff è sano e salvo?». «Suppongo lo sia quanto più è possibile.» (Riverwind e Tika)
  • «L'elmo che si è messo in testa era maledetto, o magico, o qualcosa del genere. Non l'ho capito, e Raistlin non ne ha voluto parlare». (Tika)
  • Alla fine, tormentandosi la barba, Arman chiese loro se avevano qualche domanda da fargli. «Si», rispose Caramon, tenendo sollevata sulla testa una delle pesanti testate di letto che stava mettendo in posizione sul pavimento. «Quando si cena?».
  • «Cos'ha Caramon?» chiese [Tanis], sedendo accanto al nano e accettando un po' del suo cibo. «Prima d'ora non lo avevo mai visto rifiutare un pasto». «Il kender gli ha detto che questa è carne di verme». Tanis sputò il pezzo di carne che aveva in bocca. «È carne secca di manzo», spiegò Flint, con una risatina. «Lo hai detto a Caramon?» «No», replicò il nano, con un astuto sorriso. «Perdere un po' di peso gli farà solo bene». (Tanis e Flint)
  • I pensieri di Tasslehoff erano meno facili da esporre in maniera coerente, dato che somigliavano di più al volo di un'ape ubriaca che errasse di fiore in fiore. Essi si articolavano più o meno in questo modo:
    «Non c'è bisogno che Caramon mi tenga tanto stretto (Indignazione) Perché non cadrò di certo fuori. Oh! Guarda là! (Eccitazione) Darò un'occhiata più da vicino. No, credo di no (Rimpianto) Ecco che se ne va. Guarda là! Altri nani! Salve, nani! Mi chiamo Tasslehoff Burrfoot. Quella era una rapa? (Eccitazione) Arman, era una rapa, quella che ti hanno tirato contro? Di certo ha un colore strano, per essere una rapa (Curiosità) Non avevo mai visto una rapa nera, prima d'ora. Ti dispiace se la guardo meglio? Ecco, non c'è bisogno che tu sia così scontroso (Offesa) Non ti ha colpito così forte. Ehi, ragazzi! Guardate quello! (Eccitazione) ...».
  • Raistlin stava pensando alle cose strane che gli erano successe a Skullcap. Come aveva fatto a orientarsi in un posto in cui non era mai stato? Perché aveva chiamato Caramon con un nome sconosciuto, che peraltro non gli era del tutto ignoto? Perché gli spettri lo avevano protetto? Non ne aveva idea, e tuttavia nel profondo del suo animo aveva la tormentosa sensazione di conoscere la risposta a quelle domande. Era una sensazione sgradevole, che lo metteva a disagio e lo irritava, come quando si ha bisogno di ricordare qualcosa di vitale importanza, si ha l'impressione di averla in mente, da qualche parte, eppure non si riesce a rammentarla.
  • Flint sorprese il kender nell'atto di cercare di staccare dal muro una grossa ascia da guerra da orco.
    «Mettila giù!» ordinò con fervore. «Che altro hai ficcato nelle tue sacche...».
    «Non ho sacche» gli fece notare Tas, in tono triste. «Ho dovuto metterle giù per indossare l'armatura da nano».
    «Nelle tasche, allora», farfugliò Flint. «Se scopro che hai rubato qualcosa...»
    «Non ho mai rubato in vita mia!» protestò Tas. «Rubare è sbagliato!».
    «D'accordo», si corresse Flint, con un profondo respiro. «Diciamo che se scopro che hai "preso a prestito" qualcosa, o raccolto qualcosa che qualcuno ha "lasciato cadere"...»
    «Rubare ai morti è estremamente sbagliato» dichiarò Tas, in tono solenne. «Provoca perfino delle maledizioni»
    «Vuoi lasciarmi finire la frase?» ruggì Flint.
    «Si, Flint», annuì sottomesso, «Che cosa volevi dire?»
    «L'ho dimenticato», ringhiò Flint, «Vieni con me».
  • Flint stava per avviarsi di nuovo giù per le scale quando si guardò intorno e si rese conto di essere solo, cosa che destò in lui un senso di panico. Aveva dimenticato le regole base da osservare quando si viaggiava con un kender. Regola numero uno: mai permettere che un kender si sentisse annoiato. Regola numero due: mai perdere di vista un kender annoiato.
  • Si sentiva vagamente in colpa per aver mandato il kender a incontrare quello spettro, o ghoul, o chissà che altro era la cosa che sosteneva di essere Kharas, ma placò in fretta la propria coscienza ricordando a se stesso che il kender aveva un notevole talento per la sopravvivenza. «Riesce soltanto a far ammazzare le altre persone», borbottò. «Semmai, dovrei essere preoccupato per il fantasma». (Flint)
  • «Ho incontrato un mammuth lanoso dorato, Flint! Mi ha mostrato la via per andarcene da qui.», disse.
    «Basta con i mammuth lanosi», ingiunse Flint, fissandolo con irritazione. «Basta adesso e anche in futuro».
    «Cosa?» Tasslehoff era confuso. «Non ho detto mammuth lanoso dorato, perché non esistono i mammuth lanosi dorati. Ho incontrato un... un mammuth lanoso dorato». Si premette le mani sulla bocca.
    «Perché ho detto questo? Non ho visto un mammuth lanoso. Si trattava di un mammuth lanoso dorato». Tas si assestò un colpo alla testa, sperando di scrollarsi il cervello.
    «Era grosso, era dorato, aveva le ali e la coda, ed era un... mammuth lanoso». Per quando ci provasse e si sforzasse, non riusciva a dire la parola d... mammuth lanoso.

I draghi del Signore del Tempo

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  • «Invoco Solinari, Dio della Luna d'Argento. Invoco Lunitari, Dea della Luna Rossa. Invoco Nuitari, Dio della Luna Oscura. Siate testimoni del mio giuramento. Giuro sulla magia, che per noi tutti è sacra, che quanto sto dicendo è la verità. Se sto mentendo, o dei, privatemi della vostra benedizione, lasciate che le parole della magia sfuggano alla mia mente! Che i componenti dei miei incantesimi si mutino in polvere! Che le mie pergamene brucino! Che la mano mi venga recisa dal polso». (Ladonna)
  • «Cominci a diventare una seccatura, vecchio», mormorò, senza curarsi minimamente che Fistandantilus potesse sentirlo. (Raistlin)
  • «Io ho la magia» ripeté, ad alta voce, consapevole che quell'affermazione corrispondeva alla verità. Acquistando una forza sempre maggiore, continuò: «Le parole possono anche essere state tue, ma la voce era la mia, sono stati i miei occhi a leggere le rune, la mia mano ha sparso i petali di rosa che inducono il sonno e scagliato il letale fuoco magico. Io detengo la chiave, conosco me stesso, le mie debolezze e il mio valore, conosco l'Oscurità e la Luce. Sono stati la mia forza, il mio potere, la mia saggezza a dominare questo Globo dei Draghi». Nel trarre un profondo respiro, sentì la vita pervadergli i polmoni, il suo battito farsi forte e vitale. Per un momento, la maledizione insita nei suoi occhi si dissipò, e lui cessò di vedere ogni cosa avvizzire per il trascorrere del tempo. Invece, vide se stesso. «Per tutta la mia vita ho avuto paura, e a causa di questa paura sono diventato una tua vittima», affermò. Ora poteva vedere il suo nemico come un'ombra di se stesso, proiettata al di là dello spazio e del tempo, e strinse con salda sicurezza le sue mani. «Non ho più paura. Il nostro patto è infranto. Recido il legame». (Raistlin e Fistandantilus)
  • «Mentre giacevo morente, mi hai detto: "Così finisce il tuo viaggio, mio vecchio amico". Ti riferivi al tuo vecchio amico, Fistandantilus, che aveva creato per te la Sfera del Tempo. Guarda nei miei occhi, signore, guarda nelle pupille a forma di clessidra che sono il mio costante tormento, e dimmi: vedi il tuo "vecchio amico"?». «No», affermò Astinus, dopo un momento, e con una scrollata di spalle aggiunse «Quindi hai vinto tu». «Ho vinto» confermò Raistlin, orgoglioso. (Astinus di Palanthas e Raistlin)
  • «Iolanthe, ti presento Raistlin Majere». Raistlin Majere, ripeté fra sé Iolanthe. Questo è un nome che ho già sentito... Poi ricordò. E fissò il giovane mago.
    Per Nuitari! Raistlin Majere era il fratello di Kitiara!
  • «La gente ti chiama Raist?» «No», rispose Raistlin secco. C'era stata una sola persona che lo avesse mai chiamato così. (Raistlin e la kender Marigold)
  • Naturalmente, Raistlin avrebbe potuto fare da solo, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Se permetteva a Caramon di preparargli la sua bevanda, non lo faceva, come supponevano i suoi amici, per sfoggiare il proprio ascendente sul suo gemello o per umiliarlo, ma perché quel semplice gesto faceva riaffiorare preziosi ricordi relativi a entrambi, ricordi degli anni in cui avevano percorso strade strane e pericolose, proteggendosi le spalle a vicenda, ciascuno dipendente dall'altro per avere compagnia e protezione.
  • Raistlin finiva sempre per ammettere che il tè preparato da suo fratello era meraviglioso, il che era vero. Per quanto ci provasse, lui non era mai riuscito a duplicare la ricetta di Caramon, e anche se La sua mente scientifica rifiutava di accettare il fatto che amore e cura potessero fare la differenza nella preparazione di un semplice tè, doveva riconoscere di non essere riuscito a trovare altra spiegazione.
  • Raistlin sorrise. Se non altro, nel mondo c'erano alcune cose che non cambiavano mai, cosa che gli dava uno strano senso di conforto.
  • «Ciò che ci unisce è l'amore per la magia. E l'amore per il potere che essa ci può fruttare. Entrambi abbiamo sacrificato comodità e sicurezza per la magia, e siamo tutti e due disposti a sacrificare ancora di più. Ho ragione?» (Iolanthe a Raistlin)
  • «Voi kender "trovate" sempre qualcosa», borbottò Maelstrom, «e per lo più sono cose che sarebbe meglio lasciare in un canale di scolo».
  • «Ho incontrato ogni sorta di uomini e di donne, Majere, ma mai nessuno come te», dichiarò Talent, scuotendo il capo con aria meravigliata. «Non so se abbracciarti o tagliarti la gola». (Talent Orren)
  • «Immagino che prima di rivolgerti al male, eri un tempo un bambino felice e spensierato…» «Immagini male.» (Talent Orren e Raistlin)
  • «[...] Per non parlare del fatto che hai messo a rischio la tua vita. E per che cosa, poi? Cosa ci hai guadagnato?». «La mia libertà», rispose Raistlin.
    «La libertà di finire ammazzato», commentò Iolanthe, levando gli occhi al cielo. «Giuro sulle tre lune che proprio non ti capisco, Raistlin Majere». (Iolanthe e Raistlin)
  • «Takhisis odia i kender, ci mette allo stesso livello degli elfi, il che è terribilmente lusinghiero per noi kender, anche se forse non lo è per gli elfi. Quindi, Raist, come puoi vedere, l'Oscurità non ci sta cambiando. Noi stiamo cambiando l'Oscurità.» (Marigold Featherwinkle)
  • Era lieto di aver tenuto il cappuccio abbassato a coprirgli il volto, perché in quel momento la sua mente stava vacillando e barcollando come un ubriaco. Era stato così certo che Caramon fosse morto, se ne era convinto, se lo era ripetuto ogni mattina, ogni notte… Chiuse gli occhi per impedire che la stanza cominciasse a ruotargli intorno, e serrò le mani intorno ai braccioli della sedia per cercare di ritrovare il controllo. Cosa m'importa se Caramon è vivo o morto?, si chiese, affondando le dita nel legno. Per me è lo stesso. Solo che non lo era. Da qualche parte, nel profondo del suo essere, una parte debole e molto disprezzata di lui, una parte che aveva a lungo tentato di soffocare, desiderava piangere di gioia.
  • Laurana aveva mostrato nei suoi [di Raistlin] confronti un po' di timore quasi reverenziale, ma si era fidata di lui. Raistlin non ne sapeva il motivo, sapeva soltanto che lei era parsa vedere in lui qualcosa che gli altri non riuscivano a scorgere, qualcosa di invisibile persino a se stesso.
  • «Cosa ne pensi?» chiese Kitiara, guardando verso Lord Soth. «È pericoloso», dichiarò il cavaliere non-morto. «Chi? Raistlin?» rise Kitiara, sorpresa e divertita. «Lui sarà la tua rovina», aggiunse Soth, fissando Raistlin. (Kitiara e Lord Soth)
  • «Dei della magia», disse, «ho promesso che vi avrei dedicato la mia vita, che vi avrei sempre serviti. Oggi, mantengo la mia promessa». (Raistlin)
  • La speranza continua a vivere. Per quanti sbagli possiamo fare, indipendentemente dai noti errori e fraintendimenti, dell'angoscia, dal dolore e dalle perdite, da quanto possa essere profonda l'oscurità, nonostante tutto la speranza vive.
  • «Non ti sono mai piaciuto, e non ti sei mai fidato di me, ma sei stato buono con me», disse Raistlin. «Non ti posso salvare la vita, ma posso attenuare la tua sofferenza, dandoti tempo per gli addii». (Raistlin, al morente Flint)
  • «Tu!» sussultò [Kitiara]. «Lo stolto monumentale», confermò Raistlin.
  • «Solo uno di noi due può essere il Maestro». (Fistandantilus)
  • L'Oscurità era cambiata, ma aveva cambiato anche lui.
    Un fratello perso.
    Raistlin guardò nel futuro e vide la fine. Vide l'amore e il perdono di una sorella, e suo fratello finalmente redento.
    Un fratello ritrovato.

I draghi della Luna evanescente

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  • «Allora perché la sua anima non se n'è andata con le altre?» replicò Sargonnas. «Perché indugia qui, se non per sfruttare la nostra debolezza?» «Perché rimani qui, Raistlin Majere», chiese severamente Paladine, «quand'eri libero di progredire?». «Perché mi manca metà di me stesso», ribatté Raistlin, e si girò verso il dio, incontrando il suo sguardo. «Insieme, mio fratello e io siamo entrati in questo mondo, e insieme lo lasceremo. Abbiamo camminato divisi per gran parte delle nostre vite. È stata colpa mia. Se posso evitarlo, non saremo separati nella morte.»
  • «Peccato che non te ne sia accorto prima», ruggì Sargonnas in direzione di Zivilyn. Poi il dio minotauro puntò lo sguardo su Raistlin. «Supponiamo che questo maledetto kender sia vivo. Perché mai recitava una formula magica? Voi stregoni non mi siete mai piaciuti, ma almeno avevate abbastanza buon senso da impedire ai kender di usare la magia. Per me, questa tua storia puzza come il pesce di ieri.»
  • Ripensandoci, dovette ammettere con se stesso che c'erano stati momenti in cui il mago [Raistlin] non era certo stato amichevole nei suoi confronti. E restava il fatto che Raistlin aveva veramente ucciso gli gnomi. O per lo meno, ne aveva ucciso uno per avere aggiustato il Congegno per Viaggiare nel Tempo. Quello stesso congegno, anche se non quello stesso gnomo. Raistlin indossava vesti nere come le aveva indossate allora e sebbene Tasslehoff trovasse a volte Conundrum estremamente irritante, non voleva vederlo morto. Così, per il bene dello gnomo, decise di stare zitto e di non balzare addosso a Raistlin. (Tasslehoff)
  • «Ho sentito raccontare di una ragazza elfica che portava l'armatura», protestò un altro, un tipo apparentemente polemico. «Mio nonno cantava una canzone su di lei. Erano i tempi della Guerra della Lancia.» «Bah! Tuo nonno era un vecchio ubriacone», esclamò un terzo. «Non era mai andato da nessuna parte. È vissuto e morto nei bar di Flotsam.» «Eppure ha ragione», affermò una delle mogli dei mercanti. «Nel corso della grande guerra ci fu una ragazza elfica che combatté valorosamente. Si chiamava Loony-tarry.» «Lunitari era la vecchia dea della magia, mia cara», la corresse un'amica, dandole un colpetto con il gomito. «Quella che se n'è andata lasciandoci alla mercé di questi draghi immensi e mostruosi.» «No, sono sicura di no», replicò l'altra, offesa. «Era Loony-tarry e uccise una di quelle bestiacce con uno strumento di origine gnomica, una specie di lancia, che la donna conficcò nella gola della bestia. Quanto vorrei che ne arrivasse un'altra e riservasse lo stesso servizio a questi nuovi draghi.»
  • «Hai commesso un errore, mia regina», continuò Soth, parlando alle ombre, dove sapeva che lei si nascondeva, in attesa. «Hai usato la mia rabbia per tenermi in pugno e mi hai trascinato qui per potermi usare ancora. Ma mi hai lasciato solo troppo a lungo. Mi hai lasciato nel silenzio nel quale potevo sentire ancora la voce della mia amata moglie. Mi hai lasciato nell'oscurità che è divenuta la mia luce, poiché potevo vedere ancora una volta il volto della mia sposa. Potevo vedere me stesso e ciò che vedevo era un uomo consumato dalla paura. È stato allora che ti ho vista per quella che sei.
    Ho combattuto per te, Regina Takhisis. Credevo che la tua causa fosse la mia. Il silenzio mi ha insegnato che eri tu a nutrire la mia paura, innalzando intorno a me un anello di fuoco che non sarei mai riuscito a superare. Ora il fuoco si è spento, mia regina. Intorno a me ci sono solo ceneri.»
  • «Mi inginocchio nel sangue della mia sposa e nel sangue di tutti coloro che sono morti perché avevo paura. La imploro di perdonarmi per il male che le ho causato. Imploro il perdono di tutti quanti.» «Non può esserci perdono», ribatté Mina in tono duro. «Che siate maledetto. L'Unica Dea getterà la vostra anima nell'oscurità del tormento e del dolore infiniti. È questo quello che volete?» «La morte è ciò che voglio», disse Lord Soth. Infilò una mano sotto la corazza ed estrasse una rosa. Era morta da anni, ma il colore non era sbiadito. La rosa era rossa come le labbra, rossa come il sangue della donna che aveva amato. «Se la morte porta tormento, l'accetto come mia giusta punizione.» Lord Soth vide Mina riflessa nel fuoco della sua anima. «La tua dea non mi ha più in pugno. Non ho più paura.»
  • «Quando dico "lei", non intendo Mina», spiegò il minotauro. «Intendo l'Unica Dea. Non hai mai pensato di scoprire il suo nome?» «Il nome dell'Unica Dea?» Gerard era viepiù seccato da quella conversazione. «No. In tutta onestà, non me ne è mai importato un fico...» «Takhisis», annunciò Galdar. «... secco», concluse Gerard, e ammutolì. A cavallo sulla strada, al buio, pensava: è tutto logico. È tutto così dannatamente, orribilmente, mostruosamente logico. Non c'era bisogno di chiedergli se credesse al minotauro. Nel suo intimo, Gerard aveva sempre sospettato la verità.
  • Cosa aveva sperato? Che il Solamnico gli provasse che sbagliava? «Bah!» grugnì Galdar. «È prigioniero nella stessa rete di tutti noi. E non c'è via di uscita. Né ora, né mai. Nemmeno nella morte.»
  • «Ho pensato molto a quello che hai detto nella grotta del potente Skie», dichiarò lentamente Razor. «Sul fatto che nessuna delle calamità che hanno colpito questo mondo sarebbe successa se non fosse stato per Takhisis. Odiavo e detestavo Paladine e gli altri cosiddetti dei della luce. Maledicevo il suo nome, e se avevo la possibilità di uccidere uno dei suoi campioni, la coglievo e me ne gloriavo. Aspettavo con ansia il giorno in cui la nostra regina avrebbe dominato incontrastata.
    Ora quel giorno è arrivato, e me ne dispiaccio. Lei non ha alcun affetto per noi.» Razor fece una pausa, poi aggiunse: «Ti vedo sorridere, Argento. Pensi che "affetto" sia la parola sbagliata. Sono d'accordo. I seguaci della Regina Scura non sono famosi per essere individui amorevoli. Rispetto. Ecco la parola adatta. Takhisis non ha rispetto per coloro che la servono. Li usa finché non le sono più utili, e poi li getta via. No, non intendo più servire Takhisis». (Il drago Azzurro Razor a Mirror)
  • Perché non vedevano come stavano realmente le cose? Che cosa li accecava? Takhisis. Questa è opera sua, pensò Gilthas. Ora che è libera di governare il mondo, si è impossessata del dolce elisir dell'amore, lo ha mescolato con il veleno e lo ha offerto sia alla madre che al figlio. L'amore di Silvanoshei per Mina è divenuto un'ossessione. L'amore di Alhana per il figlio le annebbia la mente. Come possiamo combattere tutto ciò? Come possiamo combattere una dea quando anche l'amore – la nostra arma migliore contro di lei – è contaminato?
  • Nelle leggende dei minotauri, Kaz era l'eroe, che salvava la vita a Huma più e più volte e, alla fine, Huma era sempre umilmente grato al valoroso minotauro, che accettava i suoi ringraziamenti con dignità condiscendente. Galdar aveva sempre creduto a queste leggende, ma ora cominciava a pensarla diversamente. Forse, in realtà, Kaz aveva combattuto con Huma perché gli voleva bene, proprio come lui ne voleva a Mina.
  • Galdar sapeva cosa Mina aveva in mente, e l'amava per questo, anche se il cuore gli doleva solo a pensarci. Inginocchiandosi accanto all'altare, giurò che, se ci fosse stato un modo per fermarla, non l'avrebbe lasciata andare in battaglia da sola.
  • Che cosa faremo Palin e io se Razor decide di cambiare partito? si chiese. Un drago cieco e uno stregone morto contro una dea. Be', se non altro, forse a Takhisis verrà il mal di pancia dalle risate. (Il drago d'Argento Mirror)
  • Razor si alzò. Con i sensi rimasti, Mirror percepì il movimento al suo fianco. La mano dell'Azzurro si posò sulla sua spalla, forse per l'ultima volta. «Ho sempre odiato quelli della tua razza, Argento. Me ne rammarico, perché ho scoperto che abbiamo più cose in comune di quanto non pensassi.» «Siamo draghi», dichiarò Mirror, con semplicità. «Draghi di Krynn.» «Sì», convenne Razor. «Se solo ce ne fossimo ricordati prima.»
  • Apparve Dalamar, materializzandosi dal fumo dei teschi bruciati. «Non avresti dovuto farlo, Palin. Non avresti dovuto interferire. La tua anima verrà condannata all'oblio. All'oscurità eterna.» «Quale sarà la ricompensa per i tuoi servigi?» gli domandò Palin. «La tua vita? No», si rispose alla domanda, «non ti interessa la vita. È la magia che vuoi». «La magia è vita», replicò Dalamar. «La magia è amore. La magia è famiglia. La magia è moglie. La magia è figlia.» All'interno del tempio, il corpo di Palin sedeva sulla panca, fissava senza vederle le fiamme delle candele che ondeggiavano, timorose e impotenti, spinte dai venti di tempesta che soffiavano nella stanza. «Che peccato», mormorò, mentre il suo spirito iniziò a rifluire, come acqua che si allontana dalla riva, «che solo alla fine abbia scoperto ciò che avrei dovuto sapere fin dall'inizio». «L'oscurità eterna», echeggiò Dalamar. «No», mormorò Palin, «perché oltre le nubi, splende il sole».
  • Il drago d'argento avrebbe potuto liberarsi di quella debole forma umana e assumere il suo vero aspetto. Anche da cieco, avrebbe potuto difendersi dall'attacco della folla. Stese le braccia, che sarebbero divenute le ali d'argento, e sollevò la testa. Sentì il cuore riempirsi di gioia, anche se il pericolo incombeva su di lui. In un istante sarebbe stato nuovamente se stesso, l'argento delle sue squame avrebbe brillato nell'oscurità e avrebbe cavalcato i venti della tempesta.
  • [Takhisis] urlò di rabbia, ma con una voce, non con cinque; ed era la voce di una mortale. Il fuoco dei suoi occhi, che un tempo aveva bruciato il sole, si ridusse al guizzo della candela che può essere spento con un soffio. Il peso di carne e ossa la trascinò giù dall'etere. I tonfi del cuore le risuonavano violenti nelle orecchie; ognuno le diceva che, un giorno, i battiti sarebbero cessati, e sarebbe venuta la morte. Doveva respirare, per non soffocare. Doveva applicarsi a tirare un respiro dopo l'altro. Sentiva i morsi della fame che non aveva mai conosciuto, e tutti gli altri dolori di quel corpo debole e fragile. Lei, che aveva percorso i cieli e vagato fra le stelle, fissò con disgusto i due piedi su cui ora era costretta ad arrancare.
  • «Un giorno conoscerai il dolore della morte. Anzi, peggio, fratello» – Takhisis fece un sorriso cupo, sprezzante, mentre le ombre le velavano gli occhi – «conoscerai il dolore della vita». (Takhisis a Paladine)
  • «Sei sicuro, Tas?» domandò Gerard, guardando il kender con tranquilla solennità. Tas annuì. «"Troppi hanno sacrificato troppo...", così ha detto Mirror. Ci ho pensato quando ho superato il confine del mondo: se muoio qui, dove non devo, tutto morirà con me. E poi, sai cos'è successo, Gerard? Ho avuto paura! Non avevo mai avuto paura, prima.» Scosse la testa. «Non così.»
  • [Gerard] posò la mano sulla spalla di Tas. «Mirror aveva ragione. Tu sei saggio, forse la persona più saggia che io conosca, e certamente la più coraggiosa. Ti onoro, Tasslehoff Burrfoot.» Estraendo la spada, Gerard offrì al kender il saluto che un vero Cavaliere riserva a un altro. Un momento glorioso. «Addio», concluse Tasslehoff. «Possano le tue borse non essere mai vuote.»
  • Fra le braccia, Raistlin teneva un corpo, avvolto in lenzuola bianche. «La tua anima è libera», disse Solinari in tono gelido. «Il tuo gemello ti aspetta. Hai promesso di lasciare questo mondo. Devi mantenere la promessa.» «Non ho nessuna intenzione di restare qui», replicò Raistlin. «Mio fratello mi aspetta, così come i compagni di un tempo.» «Ti hanno perdonato?» «O io ho perdonato loro», ribatté Raistlin in tono tranquillo. «È una questione fra amici e non vi riguarda.» Abbassò lo sguardo sul corpo che teneva in braccio. «Ma questa sì.» Raistlin depose il corpo del nipote ai piedi degli dei. Quindi, buttato indietro il cappuccio, li affrontò. «Chiedo a tutti voi un ultimo favore», disse. «Ridate la vita a Palin. Ridatelo alla sua famiglia.» (Raistlin a Solinari, Lunitari e Nuitari).
  • Raistlin, inginocchiato accanto al corpo del nipote, sollevò il lenzuolo bianco. Palin aprì gli occhi e si guardò intorno confuso, poi posò lo sguardo sullo zio: la sua confusione aumentò. «Zio!» esclamò. Sedutosi, si allungò per prendere la mano dell'uomo. Le sue dita, la sua carne, le sue ossa e il suo sangue nella mano di Raistlin, che era la mano eterea del morto.
  • «Grazie», disse Palin, sollevando il capo per guardare gli dei che lo circondavano radiosi. «Grazie, zio.» Tacque, quindi aggiunse: «Una volta prevedesti che sarei diventato il più grande mago di tutta Krynn. Non penso che accadrà mai». «Avevamo molto da imparare, nipote», replicò Raistlin, «su ciò che era veramente importante. Addio. Mio fratello e i nostri amici mi aspettano», disse sorridendo. «Tanis è come sempre impaziente di andare.» Palin vide davanti a sé un fiume di anime, un fiume che scorreva placidamente, lentamente, tra le rive degli esseri viventi. Il sole splendeva sul fiume, la luce stellare scintillava nelle sue impenetrabili profondità. Le anime dei morti guardavano davanti a loro verso un mare le cui onde lambivano le sponde dell'eternità, un mare che li avrebbe portati verso nuove terre. In piedi sulla riva, in attesa del suo gemello, c'era Caramon Majere. Raistlin raggiunse il fratello. Entrambi sollevarono la mano in segno di saluto, quindi entrarono nel fiume e si lasciarono trasportare dalle acque argentee, che fluivano nel mare infinito.
  • Un elfo in abiti da viaggio, sporchi e sgualciti, si mise accanto a Gilthas. Non aprì bocca, ma restò a guardare in rispettoso silenzio, mentre le ceneri di Goldmoon e Riverwind venivano trasportate all'interno. «Addio, amici fedeli», mormorò. Gilthas si girò verso di lui. «Sono felice di avere l'opportunità di parlarvi, Èli...» iniziò. L'elfo lo zittì. «Non mi chiamo più così.» «E come dobbiamo chiamarvi, signore?» domandò Gilthas. «Ho avuto così tanti nomi», disse l'elfo. «Èli fra gli elfi, Paladine fra gli umani. Persino Fizban. E quello, devo ammetterlo, era il mio preferito. Ora non mi serve più nessuno di essi. Ho scelto un nuovo nome.» «Cioè?» chiese Gilthas. «Valthonis», rispose l'elfo. «"L'esule"?» si stupì Gilthas, confuso. All'improvviso capì. Cercò di parlare ma, con voce rotta, non riuscì a dire nient'altro che: «Allora condividerete il nostro destino». (Paladine e Gilthas)
  • In risposta, l'elfo [Valthonis] alzò lo sguardo verso il cielo notturno. «Un tempo in cielo c'era una stella rossa. Te la ricordi?» «Sì, signore.» «Cercala ora. La vedi?» «No, signore», affermò Gerard, esplorando con gli occhi la volta celeste. «Che cosa le è accaduto?» «Il fuoco della fucina si è estinto. Flint ha spento la fiamma, perché sapeva che non era più necessaria.» «Allora Tasslehoff l'ha trovato», commentò Gerard. «Tasslehoff l'ha trovato. Lui, Flint e i loro compagni sono nuovamente insieme», spiegò l'elfo. «Flint, Tanis, Tasslehoff, Tika, Sturm, Goldmoon e Riverwind. Aspettano solo Raistlin, che li raggiungerà presto, perché Caramon, il suo gemello, non se ne andrà senza di lui.» «Dove sono diretti, signore?» chiese Gerard. «Al prossimo stadio del viaggio delle anime», disse l'elfo. «Buona fortuna», mormorò Gerard. Lasciò la Tomba degli Ultimi Eroi, salutò l'elfo e, infilata la chiave in tasca, si diresse verso la taverna dell'Ultima Dimora. La calda luce che splendeva dalle finestre illuminava la via.

La leggenda di Huma

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  • Huma... I suoi baffi non erano imponenti quanto quelli di Bennett o del Grande Guerriero, ma c'era una certa dignità nelle venature di grigio che li striavano insieme al resto dei capelli. Il suo volto era di una morbidezza sorprendente, al punto che, spesso, gli altri commentavano la sua giovinezza, anche se evitavano di farlo quando lui poteva udirli.

Bibliografia

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  • Margaret Weis e Tracy Hickman, I draghi del crepuscolo d'autunno, traduzione di Stefano Negrini, Arnoldo Mondadori, Milano 1994. ISBN 8804380985
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, I draghi della notte d'inverno, traduzione di Stefano Negrini, Armenia, Milano 1989. ISBN 8834410165
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, I draghi dell'alba di primavera, traduzione di Gian Paolo Cossato e Sandro Sandrelli, Armenia, Milano, 1989. ISBN 8834410173
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, Il destino dei gemelli, traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli, Armenia, Milano, 2001. ISBN 9788834413494
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, La guerra dei gemelli, traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli, Armenia, Milano, 2001. ISBN 9788834413494
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, La sfida dei gemelli, traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli, Armenia, Milano, 2001. ISBN 978883441349
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, La seconda generazione, traduzione di Tarquino A., Armenia, Milano, 1995. ISBN 9788834406298
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, I draghi dell'estate di fuoco, traduzione di Annarita Guarnieri, Armenia, Milano. ISBN 9788834408384
  • Margaret Weis e Don Perrin, L'Alba del Male, traduzione di Annarita Guarnieri, Armenia, Milano, 1998. ISBN 9788834409244
  • Margaret Weis e Don Perrin, I fratelli in armi, traduzione di Annarita Guarnieri, Armenia, Milano, 2003. ISBN 9788834411674
  • Kevin Stein, Il mistero di Mereklar, traduzione di Elena Colombetta, Armenia, Milano, 2003 ISBN 9788834420522
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, I draghi degli abissi dei nani, traduzione di Annarita Guarnieri, Armenia, Milano, 2006. ISBN 9788834419632
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, I draghi del Signore del Tempo, traduzione di Annarita Guarnieri, Armenia, Milano, 2010. ISBN 9788834424919
  • Margaret Weis e Tracy Hickman, I draghi della Luna evanescente, traduzione di Arnone C. e Panelli L., Armenia, Milano, 2003. ISBN 9788834415061
  • Richard A. Knaak, La leggenda di Huma, traduzione di Cossato G. P. - Sandrelli S., Armenia, Milano, 2007. ISBN 978-88-344-1989-2

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