Guerra al terrorismo
operazioni militari contro il terrorismo
Citazioni sulla guerra al terrorismo, anche chiamata guerra al terrore o guerra globale al terrorismo.
Citazioni
modifica- I numeri parlano chiaro: i morti per terrorismo sono stati 725 nel 2002, 13.187 nel 2010, 32.727 nel 2014. È la prova che la guerra al terrore è fallita. (Rula Jebreal)
- Il terrorismo non solo non è stato debellato ma è cresciuto e si è moltiplicato. E, del resto, molti misero in guardia -inascoltati - che non si combatte comunque il terrorismo con guerre contro paesi sovrani. Il terrorismo non ha territorio. È stupido bombardare un territorio perché il terrorismo è in casa nostra. Finirà che ci dovremo bombardare da soli. (Michail Gorbačëv)
- La definizione di "guerra al terrorismo" non è accurata. Dovremmo chiamarla lotta contro estremisti ideologizzati che non credono nelle società libere e che talvolta usano il terrore come arma per cercare di stravolgere la coscienza del mondo libero. (George W. Bush)
- La vera guerra al terrorismo – che può essere vinta – non si conduce devastando ulteriormente le città e i villaggi semidistrutti dell'Iraq o dell'Afghanistan, ma cancellando i debiti dei Paesi poveri, aprendo i nostri ricchi mercati ai prodotti di base di questi paesi, finanziando l'istruzione per i 115 milioni di bambini attualmente privi di qualsiasi accesso alla scuola e conquistando, deliberando e attuando altri provvedimenti simili. (Zygmunt Bauman)
- Questa è una guerra che ridicolizza l'atomica. Soltanto un disegno comune di lavoro d'intelligence, un progetto unico di strategia confortata dallo studio incessante dell'uomo islamico e degli islamisti che ci odiano perché non hanno dimenticato il colonialismo, addirittura le crociate come s'è visto, solo una politica concertata con saggezza e prudenza, cartesianamente, e un approccio corretto con gli islamici, insomma il dialogo (ch'è ricerca del sentire altrui) possono farci vincere una guerra tutta nuova nella sua terribilità antica. (Igor Man)
- Sebbene gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano intrapreso azioni per combattere il terrorismo, esso non si è affatto ridotto, si è anzi esteso in tutte le direzioni. Segno che l'azione repressiva, anche quando è fatta nei modi giusti, non conducendo cioè guerre contro Stati (come è avvenuto nel caso afghano e in quello iracheno), non è sufficiente. (Michail Gorbačëv)
- È molto chiaro che la guerra al terrore è stata lanciata per rimodellare un mondo a portata di Stati uniti. L’ha detto Bush, l’ha detto Condoleezza Rice, l’ha detto il criminale di guerra recentemente scomparso Donald Rumsfeld… Non hanno usato la parola pretesto, ma l’evento del 9/11 è stato il punto di partenza per cambiare orientamento: non solo diamo la caccia a Bin Laden, ma vogliamo cambiare la struttura di quei paesi.
- Il modo in cui in l’Occidente ha abbandonato diritti umani fondamentali per la cosiddetta guerra al terrore è stato terribile. Oggi possono prendere chiunque e metterlo in prigione senza processo, si può fare nella maggior parte dei paesi europei e negli Stati uniti, dove Obama è andato oltre e ha affermato il diritto del presidente di ordinare l’esecuzione di ogni cittadino americano ritenuto una minaccia, un balzo indietro all’impero romano. Questa guerra è stata costosa per i diritti politici dei cittadini occidentali. E per quale sicurezza? Attacchi a Londra, in Francia, in Spagna, a Islamabad in Pakistan, a Mumbay in India… Gli attacchi terroristici sono aumentati, non diminuiti.
- Nessun vincitore. Tranne in Afghanistan, dove i talebani hanno vinto, e Al Qaeda con cui gli Stati uniti collaborano in Siria e in Libia. Ma gli Usa sono certamente i perdenti. E non si può dire che la gente del mondo islamico abbia vinto niente, continuano a soffrire sotto i più diversi regimi come in Siria, in Libia, in Yemen, in Iraq.
- Sconfitte, sofferenze, milioni di morti e miliardi buttati, e gli Usa si sentono ancora la parte dominante. E i paesi europei non hanno avuto niente di indipendente da dire, giusto qualche rara, leggera critica.
Citazioni in ordine temporale.
- La definizione data dall'amministrazione Bush alla sfida cui l'America deve far fronte è stata formulata in gran parte in termini pseudoreligiosi L'opinione pubblica ha sentito affermare ripetutamente che il terrorismo è un "male", il che è vero senza ombra di dubbio, e che di esso ne sono responsabili i "malfattori", il che è certo. Eppure, dietro a queste più che comprensibili espressioni di condanna, c'è un vuoto storico. È come se il terrorismo, quasi fosse un fenomeno astratto, fosse sospeso nello spazio cosmico, con spietati terroristi che agiscono sotto qualche influenza satanica non riconducibile ad alcuna specifica motivazione. (8 settembre 2002)
- L'assai ristretta e univoca definizione della minaccia terroristica proposta dall'amministrazione Bush rappresenta il rischio particolare di far sì che altre potenze estere non si lascino sfuggire l'occasione di utilizzare la parola "terrorismo" per sostenere i loro programmi, come stanno facendo il presidente Vladimir Putin in Russia, il Primo Ministro Ariel Sharon in Israele, il Primo Ministro Atal Bihari Vajpayee in India e il Presidente Jiang Zemin in Cina. Per ognuno di loro l'astratta definizione americana di sfida terroristica è diventata un espediente e un vantaggio al tempo stesso. Quando parlano con gli americani, Putin e Sharon difficilmente riescono a pronunciare una frase senza utilizzare la parola terrorismo, così da trasformare quella che è la lotta americana al terrorismo nella loro lotta contro quei particolari vicini di casa musulmani. (8 settembre 2002)
- Paradossalmente, l'America non è mai stata tanto potente nel mondo quanto lo è oggi, eppure la sua posizione politica globale non era mai precipitata tanto in basso. Perché? Dall' 11 settembre, una tragedia che ha comprensibilmente sconvolto e indignato gli americani, gli Stati Uniti hanno adottato, ai livelli più alti del governo, quella che è giusto definire una visione paranoica del mondo. (19 novembre 2003)
- Bisogna a tutti costi resistere alla tentazione di tuffarsi a capofitto nell' allettante immagine di un'America pronta a lanciare operazioni preventive, unilaterali, sulla base del sospetto che un paese possieda armi di distruzione di massa, poiché a questo si riduce attualmente l'intera dottrina americana. Senza una riforma radicale dei servizi d'intelligence, gli Stati Uniti, detto con grande semplicità, non hanno informazioni sufficienti per compiere un'azione preventiva con qualche credibilità. (19 novembre 2003)
- Può una potenza mondiale fornire una leadership globale costruita sull'ansia e sulla paura? La necessità di aprire un dibattito davvero serio non può essere negata "teologizzando" la minaccia di un "terrorismo", che è «usato da gente che odia le cose» mentre noi siamo «gente che ama le cose», per dirla con le parole del massimo portavoce dell'America. Il terrorismo è una tecnica per uccidere. Essa non può essere un nemico. È come se noi dicessimo che la Seconda guerra mondiale non è avvenuta contro i nazisti, bensì contro il blitzkrieg. Noi dobbiamo chiederci piuttosto chi sia il nemico, e qual è la ragione che lo spinge ad attaccarci. (19 novembre 2003)
- La «Guerra al terrorismo» ha dato vita in America a una cultura della paura. L'elevazione di queste tre parolette a mantra nazionale da parte dell'Amministrazione Bush, dopo i terribili eventi dell'11 settembre, ha avuto un effetto deleterio sulla democrazia americana, sulla psiche americana e sulla reputazione degli Stati Uniti nel mondo. L'utilizzo di questa formula ha di fatto pregiudicato la nostra capacità di affrontare in modo efficace le vere sfide che ci impongono i fanatici che potrebbero utilizzare il terrorismo contro di noi. (26 marzo 2007)
- In sé e per sé la formula è priva di significato: non definisce con precisione né un ambito geografico né il nostro presunto nemico. Il terrorismo non è un nemico, bensì una tecnica di guerra: è l'intimidazione politica attuata con l'uccisione di esseri umani disarmati. Può anche essere che l'indeterminatezza della frase sia stata intenzionalmente (o istintivamente) calcolata dai suoi sostenitori. Il costante riferimento a una «guerra al terrorismo» ha di fatto conseguito un obiettivo primario, quello di favorire l'affermarsi di una cultura della paura. La paura obnubila la ragione, intensifica le emozioni e rende più facile per i politici demagogici mobilitare l'opinione pubblica nell'interesse delle politiche che si prefiggono di perseguire. Senza quel legame psicologico instaurato tra lo shock dell'11 settembre e la presunta esistenza di armi irachene di distruzione di massa, la guerra in Iraq non avrebbe mai conseguito il supporto del Congresso di fatto ottenuto. (26 marzo 2007)
- L'atmosfera generata dalla "guerra al terrorismo" ha incoraggiato la vessazione legale e politica degli arabo-americani. La discriminazione sociale, per esempio quella nei confronti dei musulmani che viaggiano in aereo, è anch'essa una conseguenza collaterale involontaria: non deve stupire il fatto che il risentimento nei confronti degli Stati Uniti sia cresciuto perfino tra musulmani per altro non particolarmente interessati al Medio Oriente, mentre la reputazione dell'America di leader nel promuovere rapporti costruttivi interrazziali e interreligiosi ne ha gravemente sofferto. (26 marzo 2007)
- La cultura della paura ha alimentato l'intolleranza, il sospetto nei confronti degli stranieri, l'adozione di procedure legali che sono deleterie per i principi fondamentali della giustizia. Il principio secondo il quale si è innocenti fino a quando la colpevolezza non è dimostrata si è stemperato, se già non si è dissolto del tutto, e alcune persone - anche cittadini statunitensi - sono incarcerate per lunghi periodi senza un giusto processo. Non vi è alcuna prova sicura di cui si abbia testimonianza che un simile eccesso ha effettivamente scongiurato qualche significativo attentato terroristico, né che gli arresti di presunti terroristi di qualsivoglia tipo siano serviti a qualcosa. Un giorno gli americani si vergogneranno di tutto ciò. (26 marzo 2007)
- Un'alleanza globale dei moderati, inclusi quelli musulmani, impegnata in una campagna dichiarata volta a estirpare i network specificatamente terroristici e a porre fine ai conflitti politici che alimentano il terrorismo sarebbe stata molto più fruttuosa di una «guerra al terrorismo» contro il «fascismo islamico» proclamata demagogicamente e pressoché unilateralmente dagli Stati Uniti. (26 marzo 2007)
- Stiamo conducendo una guerra contro il terrorismo, ma abbiamo avuto la fortuna che non sia stato commesso alcun atto di terrorismo contro gli Stati Uniti dall'11 settembre. È in parte fortuna, in parte conseguenza del semi-isolamento dell'America e in parte il risultato, forse, di un buon lavoro di spionaggio e controspionaggio. Ma ben poco è dovuto alle conseguenze dell'auto-generatosi clima di terrore in questo paese, che ha prodotto reazioni ridicole, molte delle quali non sono certo servite a scoraggiare o prevenire il terrorismo. (4 settembre 2008)
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