Giuseppina Strepponi
soprano italiano
Maria Clelia Giuseppa Strepponi, detta Giuseppina (1815 – 1897), soprano italiano, seconda moglie di Giuseppe Verdi.
Citazioni di Giuseppina Strepponi
modifica- Ho sentita annunziata la Barbieri, con l'aggiunta di Nini. S'ella ha trovato marito, non può disperar più nessuno di trovarlo.[1]
Citazioni su Giuseppina Strepponi
modifica- Colta ed amabile in società, non rapiva l'altrui attenzione solamente in Teatro, ma anche fuori di scena, tantoché il celebre Verdi la volle a sua moglie. Ella innamorava con lo spirito, e con quella peregrina valentìa, che la faceva sì grande nella Lucia, nei Puritani, nella Pia de' Tolomei, nell'Elisir, ed in qualsiasi Opera avesse parte. (Francesco Regli)
- La condizione di moglie del Verdi, somigliante per certi rispetti a quella del marito non regnante d'una regina, non era facile. Ma la signora Giuseppina v'era così ben disposta per l'indole e per le facoltà acquisite che credo non abbia mai fatto in quell'accompagnamento difficile neppure la più leggiera stonatura. La sua giusta alterezza non scese mai fino alla vanità, non si alzò mai fino all'orgoglio, e solo un osservatore senz'acume avrebbe potuto chiamare idolatria la riverenza visibilissima con cui si manifestava il suo grande amore per il marito. (Edmondo De Amicis)
- Sul suo viso, anche verso i settant'anni, erano rimaste quasi immutate le linee della prima bellezza; e il biondo ancora persistente nei suoi bei capelli brizzolati e il color rosato della carnagione le davano, a prima vista, un'apparenza giovanile; benché gli occhi chiari avessero un'espressione naturalmente severa, che contrastava alla giocondità del suo spirito. Nulla era rimasto in lei, e forse non era mai stato, di ciò che fa credere ad alcuni che si riconosca un'artista di teatro, anche molti anni dopo ch'essa ha lasciato le scene; e non ricordava mai, se non costretta, il suo passato artistico, come se appetto alla sua nuova gloria le paresse un troppo povero vanto l'antica. (Edmondo De Amicis)
Note
modifica- ↑ Da una lettera al suo impresario, 4 gennaio 1842; citata in Giulio Piccini (Jarro), Memorie d'un impresario fiorentino, Loescher e Seeber, Firenze, 1892, p. 155.
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