Francesco Maria Piave

librettista e scrittore italiano

Francesco Maria Piave (1810 – 1876), librettista e scrittore italiano.

Francesco Maria Piave

Citazioni di Francesco Maria Piave

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  Per approfondire, vedi: Rigoletto e La traviata.
  • Questa è dunque la iniqua mercede | che serbaste al canuto guerriero? (da I due Foscari, III, 9)
  • Una volta un ciabattino | gran signore diventò. (da Crespino e la comare, I, 2[1])
  • Udite or tutti del mio cor gli affanni.[2] (Ernani: I, 2)
  • Siamo tutti una sola famiglia. (Coro: II, 5)
  • Oh de' verd'anni miei | sogni e bugiarde larve, | se troppo vi credei | l'incanto ora disparve. (Carlo: III, 1)

Citazioni su Francesco Maria Piave

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  • Autore del libretto [dell'Ernani] non è più il Solera, bensì Francesco Piave, un giovane veneziano fabbricatore di cattivi versi, ma dotato di un raro intuito teatrale. In grazia appunto di codesta dote egli poté divenire da quel giorno il più assiduo collaboratore del Verdi. Il Piave si raccomandava anche per una esemplare modestia e pieghevolezza di carattere, qualità che lo resero segnatamente caro al Maestro, il quale amò sempre di scegliere da sé medesimo gli argomenti dei suoi libretti, di suggerirne e sovente imporne anche le situazioni. (Gino Monaldi)
  • Dilettatosi di raffazzonare melodrammatiche scene, ebbe la fortuna di fermare l'attenzione di Giuseppe Verdi, e di diventare il suo prediletto poeta. Il Maestro del giorno si accontentò delle situazioni, che sempre sono nel Piave concitate, vive, d'immancabile effetto, e al rimanente pensò di supplir egli con la robusta ed appassionata sua musica. (Francesco Regli)
  • Se il Piave fosse addentro nelle bellezze della lingua, e sapesse far versi; se le sue rime non fossero così spesso bislacche e ridicole, come quando si fa a rimare stivali con cavalli, ecc., ecc., la critica non avrebbegli fatto sentire tante volte la potenza del suo flagello. (Francesco Regli)
  1. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 158.
  2. Umberto Saba in Scorciatoie e raccontini, dopo aver citato quelli che secondo lui sono i due versi più belli della letteratura italiana, afferma: «Dimenticavo un terzo, meno bello; ma, per quello che dice, più italiano ancora. Lo canta (preludendo alla cabaletta "Aragonese vergine") il «partigiano» Ernani; ed è – specialmente se il tenore ha una bella voce ed attacca bene – come lo spiegarsi al sole della bandiera nazionale: "Udite tutti del mio cor gli affanni."»

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