Calafuria (film)

film del 1943 diretto da Flavio Calzavara

Calafuria

Descrizione di questa immagine nella legenda seguente.

Gustav Diessl e Doris Duranti in una sequenza del film

Titolo originale

Calafuria

Paese Italia
Anno 1943
Genere drammatico
Regia Flavio Calzavara
Soggetto Delfino Cinelli
Sceneggiatura Flavio Calzavara, Delfino Cinelli
Interpreti e personaggi
Doppiatori originali

Calafuria, film italiano del 1943 con Doris Duranti e Gustav Diessl, regia di Flavio Calzavara.

  • Quella è la torre di Calafuria. "Calafuria" perché là il vento si placa e l'acqua sotto è quasi sempre tranquilla. Ma nei giorni di burrasca la punta di Calafuria è pericolosa, la corrente porta al largo e un risucchio tira al fondo, e non si ritorna. (Tommaso)

Citazioni su Calafuria

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  • Calafuria ha offerto a Doris Duranti il modo di apparire sotto vari aspetti e acconciature: da ragazza dei bassifondi, lentigginosa e sofferente, a finta ma graziosa collegiale; da orfana spaurita ad amante disperata; e sempre con accenti misurati se pur qualche volta troppo fermi ed estatici. [...] A Gustav Diessl, attore come sempre vigoroso e tetragono, hanno prestato una voce che la discrezione ci suggerisce di non definire. (Gino Visentini)
  • Dopo La trappola, eccoci a Calafuria. Là, una vicenda già tutta distesa per le esigenze di una sceneggiatura, e poi invece stranamente infoltita e fatta deviare da parte degli sceneggiatori, che non avrebbero dovuto sentirne alcun bisogno; qui, una vicenda assai folta di casi e di ambienti, che gli sceneggiatori dovevano forzatamente snellire. Snellire significa quasi sempre variare, ma questa volta la sceneggiatura, almeno come racconto di vicenda, appara plausibile e accurata, eccettuato il finale: nel romanzo Tommaso Bardelli muore in un ospedaletto, mi pare di Gradisca, dopo un'azione sul Carso; nel film il lieto fine calca toni e deforma situazioni, dopo averle frettolosamente predisposte. Ma questa figuretta di Marta è viva, è forse la migliore interpretazione di Doris Duranti; l'ambiente della villa Jackson è un ambiente; e quasi tutto il film è sorvegliato da una vigile cura, patinata sovente di toni un po' letterari, a evitare i quali sarebbe stata necessaria tutt'altra impostazione. Così, il film appare come una illustrazione di alcuni episodi del romanzo, tratteggiata da un disegnatore che ha saputo trarre partito da indovinati esterni, da pause un po' sospese, da morbidezze ora un po' torbide, ora allusive; e accanto alla Duranti è Gustav Diessl, sobrio e intelligente come sempre. (Mario Gromo)
  • Melodramma a lieto fine, dalle scenografie cariche di significati simbolici che sottolineano le psicologie dei personaggi. (il Morandini)
  • Ricavato da un romanzo di Delfino Cinelli, il film pretende di nobilitare il melodramma di fondo (un famoso pittore diviene l'amante d'una ragazza che potrà sposare, riunendosi a lei e al bambino nato nel frattempo, solo dopo essere stato ferito in guerra) indugiando in particolari descrittivi. (il Farinotti)
  • Spesso, in Calafuria, la macchina da presa va a posarsi sugli elementi animati e inanimati (mare, vestiti ecc.) che dovrebbero giocare un ruolo di contrappunto nell'indagine psicologica dei vari personaggi [...]. I vestiti laceri della ragazza, deposti per sempre nell'armadio dopo che l'illustre pittore l'ha raccolta nella sua casa, quei vicoli bui dalle mura sporche di mosche, le nature morte sui tavoli, le stampe pornografiche nei libri della biblioteca, sono elementi plastici che non aggiungono niente di nuovo alla vicenda e si introducono solo come attributi didascalici, quando non ce n'è più bisogno perché l'azione è già stata tutta commentata e scontata nelle situazioni precedenti e negli atteggiamenti dei personaggi. Provate, infatti, a toglierli tutti e il film [...] si capirà lo stesso. Manca, dunque, quella forza analitica, misteriosa, che, invece, l'uso appropriato di tali elementi avrebbe dovuto conferire all'opera. (Giuseppe De Santis)

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