Amico Ricci (storico dell'arte)
storico dell'arte italiano (1794-1862), Consigliere di Stato dello Stato pontificio
Amico Ricci Petrocchini, o Petruccini o Petruchini (1794 – 1862), storico dell'arte italiano.
Storia dell'architettura in Italia dal secolo IV al XVIII
modifica- Le norme apostoliche volevano che la chiesa rappresentasse la nave di S. Pietro. Ora lo spazio centrale della basilica offriva appunto l'immagine di questa nave o navata di cui il nome presentemente conserva. Gli spazi laterali mantenevano fra i due sessi quella separazione considerata nei tempi primitivi necessaria nelle chiese tanto quanto nelle corti di giustizia. Porzione della navata, divisa dal rimanente per un tramezzo, poteva venire riserbata ai cantori che salmeggiavano le lodi del Signore, e fornita di sedili per uso dei diaconi. L'altare su cui si celebrava il santo sacrifizio sorgeva naturalmente all'estremità della navata nel centro di quell'area trasversale che per la sua direzione rispetto alla navata stessa si presentava come arco di trionfo e così si chiamava. Nell'abside centrale era facile innalzare una sedia, dominante, e l'altare ed i sedili per i ministri. Quivi in luogo del magistrato sedeva il Vescovo del quale così il nome come la dignità traevano seco il debito di vegliare a tutto quanto lo circondava; mentre il clero allineato a destra e a sinistra rappresentava gli assessori del Magistrato. (vol I, cap. II, p. 30)
- Finché i Cristiani esercitarono il loro culto nelle catacombe, [la croce cristiana] non vi comparve se non con molto riserbo; imperocché avrebbe potuto riuscire imprudente incominciare l'istruzione dei neofiti coll'offrire ai loro sguardi un simbolo che avevano per indegno ed obbrobrioso. Fu invece arte salutevole prepararli insensibilmente a comprendere i grandi misteri della passione di G. C.; e la Croce col divino suo peso più che di culto pubblico fu fatta subietto d'individuale adorazione; ma che però l'adorassero, non può più porsi in dubbio [...]. (vol I, cap. II, p. 33)
- La basilica vaticana nel modo come la lasciò Costantino non si conservò quanto meritava una fabbrica, per costruir la quale si erano impiegate infinite ricchezze. Alla poca solidità attribuiva Zosimo[1] la rovina alla quale sollecitamente soggiacquero gli edifizii costantiniani: ma alla basilica di S. Pietro si sarebbe forse potuto recare un qualche riparo, se la sempre crescente devozione dei fedeli, dei Pontefici, e dei principi non avesse piuttosto fatto preferire di creare un nuovo tempio, il quale non potesse esser pareggiato da verun altro in vastità, ricchezza e magnificenza. (vol I, cap. II, p. 39)
- Correndo l'anno 1385 governava Ferrara Niccolò II d'Este, a cagion della gotta detto il Zoppo. Conosciuto egli il mal vezzo del popolo di sommuoversi ogniqualvolta l'andava mungendo con balzelli e gabelle, e come non era mai sazio di accumulare denaro, pensò ancora che, continuando come aveva incominciato, la casa dove abitava, benché fosse forte e ben garantita, sarebbe forse stata inefficace a salvarlo da qualche attentato. Così affidandone la direzione a Bartolino[2] deliberò di fondare un castello che la città dominando la tenesse a lui soggetta. Fra i mezzi che erano comuni a tutte le offese o difese di queste costruzioni, fé ricorso al nuovo ritrovato delle artiglierie. E Ferrara fu tra le prime città d'Italia ch'ebbe a vedere queste nuove micidiali macchine, onde le vite degli uomini si mietono con tanta maggiore prontezza e quantità di prima. (vol. II, cap. XV, p. 299)
- Alternava [...] Bramante l'esercizio dell'arte collo studio che faceva sullo stile di Bramantino, per cui meglio che studiasse può dirsi che meditasse sull'arte. Ed il primo saggio che dava a Milano del profitto che ne traeva era il disegno della sagrestia di S. Satiro. Diè ad essa la forma di un tempietto ottagono. Tutto in esso spira lusso, finezza e desiderio di piacere. [...]. Non evvi parte di questo piccolo edifizio che non sia ridotta al maggior finimento, per cui sono giustissime le lodi del Vasari, del Milizia e di quanti altri ne fecero menzione. Ed aggiungiamo che fra quante opere da Bramante furono fatte in Milano o nello Stato, ne' dieci anni che vi dimorò, non avvenne alcuna che superi questa in leggiadria ed eleganza. (vol. II, cap. XIX, pp. 627-628)
- [...] il Peruzzi sebbene nello esercizio di ambedue le arti [della pittura e architettura] avesse mai sempre goduta molta stima non sapeva però applicare ad esse la conveniente diversità e spezialità d'artificii; ond'è che eziandio nelle sue più lodate opere architettoniche si rivelava sempre la mano e l'opera del pittore. (vol III, cap. XX, p. 52)
- [...] non può revocarsi in dubbio, che il Peruzzi fosse uno fra gli architetti ed i pittori dei suoi tempi, il cui ingegno splende per una tal quale grandiosità e larghezza di stile. Salvo Michelangelo, non troviamo chi con lui abbia potuto competere; anzi affermiamo francamente che superò l'altro evitando alcune licenze, che al solo Michelangelo potevano perdonarsi per le ragioni altrove discorse. Conservò egli quella purità ed eleganza propria dello stile di transizione, la quale si andò perdendo dai suoi coetanei studiando l'antico, e traducendolo in guisa che quelli che diversamente da lui operarono, aprirono insensibilmente la strada al capriccioso ed al bizzarro che venne in gran voga, spenti che furono i maestri, de' quali ora ragioniamo. (vol III, cap. XX, p. 53)
- Il concetto del palazzo Farnese più si considera, più la maraviglia si accresce all'aspetto delle sue forme gigantesche, e veramente magnifiche. Non poteva esso attuarsi che a Roma, e doveva nascer gemello con San Pietro, edifizii ambedue i quali spiegano chiaramente lo spirito del loro secolo, e l'entusiasmo di emulare Roma antica nelle fabbriche moderne. (vol III, cap. XX, p. 55)
- [sul Palazzo Strozzi di Firenze] Mettendo questa [cornice corinzia] a confronto con l'apparente nudità delle pareti andavamo noi stessi dicendo: come può avvenire che tale contrasto non produca tanto disaccordo dalle pareti da dovere piuttosto derivarne un difetto che incitare anche noi a far eco alla fama che gode uno degli edifici più magnifici che possieda l'Italia? La risposta giunge spontanea facendoci a considerare che la bellezza non sta nella copia e ricchezza degli ornamenti, ma nelle giuste proporzioni coll'insieme. Può benissimo esistere una cornice d'ordine corintio sulla faccia del palazzo Strozzi, le cui parti grandiose, la severità delle sue tinte, la larghezza delle aperture, la forma delle bozze che ornano il grand'arco della porta, e sorreggono ancora la scabrosità delle angolature, accordano a questo palazzo un insieme di vastità e di magnificenza che si associa col fine che gli antichi concedevano all'ordine corintio; il cornicione poteva esso innalzarsi senza temere che fosse ciò attribuito a difetto dell'architetto. (vol. III, cap. XXII, p. 205)
- Il Cronaca studiando il classicismo romano non dimenticò mai i precetti del Brunelleschi, e fu sempre uno dei più felici suoi imitatori. (vol. III, cap. XXII, p. 205)
- Giulio, detto Romano dalla città nella quale nacque, col frequentare la scuola del Sanzio era giunto ad imitare talmente il maestro che le opere dell'uno si scambiavano con quelle dell'altro; né Raffaello si restò talvolta da permettere che il pennello di lui compisse alcune opere che senza di ciò sarebbero state imperfette, tanti erano gl'incarichi ai quali doveva soddisfare. (vol. III, cap. XXVI, p. 468)
- [...] la numerosa serie dei mausolei innalzati ai dogi che sono vissuti nel secolo XVII non ci presenta che montagne di marmi e di marmi preziosissimi dove l'architettura e la scultura insieme hanno fatta prova di superarsi in tutto quanto può esservi al mondo d'immaginoso, di strano, di bizzarro e di capriccioso.
L'esempio più espressivo di questo lusso stemperato si ha nel monumento innalzato nel 1669 al Doge Giovanni Pesaro in S. Maria dei Frari. Il Longhena incaricato del disegno si lasciò trascinare a stranezze ghiribizzose al punto di concedere che le cariatidi diventassero tipo essenzialissimo del monumento. E le profuse egli in un'opera funerale che è delle più ricche e insieme delle più scorrette che abbia Venezia. Se la storia non lo accertasse, niuno certamente direbbe che di questo solenne e barocco mausoleo fosse autore chi aveva pochi anni prima disegnato l'altro in S. Giorgio Maggiore a Domenico Morosini famoso capitano di mare nella guerra contro Ruggero di Sicilia, tale e tanta è l'opposizione che regna fra la pesantezza dell'uno ed il concepimento tutto palladiano dell'altro. (vol. III, cap. XXXI, p. 645)
Note
modificaBibliografia
modifica- Amico Ricci, Storia dell'architettura in Italia dal secolo IV al XVIII, vol. I, Pei tipi della Regio-Ducal Camera, Modena, 1857.
- Amico Ricci, Storia dell'architettura in Italia dal secolo IV al XVIII, vol. II, Pei tipi della Regio-Ducal Camera, Modena, 1858.
- Amico Ricci, Storia dell'architettura in Italia dal secolo IV al XVIII, vol. III, R. tipi governativi, Modena, 1860.
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