Alan Dean Foster

scrittore statunitense
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Alan Dean Foster (1946 – vivente), scrittore statunitense.

Alan Dean Foster nel 2007

Sette sognatori.
Non si trattava però di sognatori professionisti. I sognatori professionisti sono persone di talento, ben pagate, rispettate, molto ricercate. Come la maggior parte di noi, questi sette sognavano senza determinazione né disciplina. Il sognare dei professionisti, in modo che i sogni possano essere registrati e poi riprodotti per il divertimento degli altri, è una questione molto più impegnativa. Richiede la capacità di controllare gli impulsi creativi semiconsci e di stratificare l'immaginazione, una combinazione raggiungibile con estrema difficoltà. Un sognatore professionista è contemporaneamente l'artista più organizzato e quello più spontaneo. Un sottile tessitore di congetture, non una persona semplice e goffa come voi o come me o come questi sette sognatori.

Citazioni

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  • Fra tutti loro, Ripley era quella che più si avvicinava a possedere quel potenziale particolare. Aveva un certo talento naturale per i sogni e un’immaginazione più agile dei suoi compagni. Ma le mancava una vera ispirazione e la possente maturità di pensiero caratteristiche dei sognatori professionisti.
    Era molto abile nell’organizzare stivaggi e trasporti, nell’inserire la cassa A nel deposito B o nel collegare fra loro note di carico. Era nel magazzino della sua mente che il suo sistema di catalogazione non funzionava. Speranze e paure, congetture e semicreazioni sgusciavano disordinatamente da un compartimento all’altro.
    La commissaria di bordo Ripley aveva bisogno di un maggiore autocontrollo.
    I pensieri crudi e barocchi erano lì che aspettavano di essere spillati, subito sotto la superficie della coscienza. Un po’ più di sforzo, una maggiore intensità di autoidentificazione, e sarebbe divenuta una discreta sognatrice professionista. Per lo meno era quello che pensava ogni tanto. (p. 4)
  • Ash era l’addetto scientifico, ma non era quello che rendeva così strani i suoi sogni. Strani nel senso di bizzarri, non divertenti. Fra i sogni di tutti i membri dell’equipaggio, i suoi erano quelli organizzati nel modo più professionale. Fra tutti, erano quelli che più si avvicinavano al suo io da sveglio. I sogni di Ash non contemplavano assolutamente alcuna delusione.
    Non era sorprendente, se si conosceva davvero Ash. Però non era il caso di nessuno dei suoi sei compagni di bordo. Ash si conosceva bene. Se gli fosse stato domandato, avrebbe saputo rispondere perché non sarebbe mai potuto diventare un sognatore professionista. Nessuno aveva mai pensato di chiederglielo, nonostante fosse chiaro che l’addetto scientifico fosse quello che trovava più affascinante il sognare dei professionisti. (pp. 5-6)
  • Era un’astronave. Era relativamente intatta, e più aliena di quanto chiunque di loro avesse pensato possibile. Dallas non l’avrebbe definita minacciosa, ma era più inquietante di quanto avrebbe dovuto essere un prodotto della tecnologia. Le linee dell’imponente relitto erano pulite, ma innaturali, e conferivano all’intera forma una sconvolgente anormalità.
    Si ergeva su di loro e sulle rocce sulle quali posava. Da quanto riuscivano a vedere, arrivarono alla conclusione che era atterrata come la Nostromo, a pancia in giù. Aveva essenzialmente la forma di un’enorme U metallica, con le due punte della U inclinate leggermente verso l’interno. Una era un po’ più corta dell’altra e più inclinata. Non avevano modo di sapere se fosse la conseguenza di un danno subìto o di una gradevole concezione aliena di simmetria.
    Nell’avvicinarsi videro che la nave si allargava leggermente alla base della U, con una serie di dischi concentrici, come spessi piatti che si alzassero fino a una specie di cupola finale. Dallas ipotizzò che le due punte contenessero il sistema di propulsione e la sala macchine, mentre la parte più larga costituisse la parte abitata, forse le stive, ed il ponte. Per quello che ne sapevano, poteva essere esattamente l’opposto.
    Il vascello posava supino, senza dar segni di vita o di attività. Così da vicino il segnale, che avevano ritrovato, era assordante, tanto che tutti e tre si affrettarono ad abbassare il volume nei caschi.
    Di qualunque metallo fosse composto lo scafo, alla luce sempre più forte riluceva in modo da non ricordare alcuna lega mai elaborata da mano d’uomo. Dallas non era nemmeno sicuro che si trattasse di metallo. Un primo esame non rivelò niente che assomigliasse ad una saldatura, ad una giuntura, o a qualsiasi altro metodo riconoscibile per unire piastre o sezioni separate. La nave aliena dava l’impressione di essere cresciuta, piuttosto che di essere stata costruita. (pp. 40-41)
  • La cosa aveva essenzialmente la forma di una mano con molte dita, lunghe e ossute, ripiegate nel palmo. Assomigliava molto alla mano di uno scheletro, a parte le dita in più. Dal centro del palmo si estendeva qualcosa, un corto tubo di qualche genere. Sotto la base della mano era avvolta una coda muscolosa. Sul dorso riusciva appena a vedere una forma vaga e convessa che sembrava un occhio vetrificato.
    Quell’occhio... se era un occhio e non semplicemente un’escrescenza rilucente... meritava uno sguardo più accurato. Nonostante la ripugnanza che gli stringeva lo stomaco, Kane si avvicinò ancora di più e alzò il fascio di luce per vedere meglio.
    L’occhio si mosse e lo guardò.
    L’ovoide esplose.
    Spinto all’esterno dall’improvviso rilasciamento dell’energia contenuta nella coda avvolta, la mano si aprì e balzò verso di lui. Kane sollevò un braccio per proteggersi, troppo tardi. La cosa si fissò alla sua visiera. Poté vedere orribilmente da vicino il tubo che oscillava al centro del palmo che colpiva la superficie del vetro, a pochi centimetri dal suo naso. Qualcosa cominciò a sfrigolare e il materiale della visiera cominciò a liquefarsi.
    Fu preso dal panico, cercò di strapparsi di dosso la creatura. Aveva forato la lastra. Atmosfera aliena, fredda e aspra, mescolata ad aria irrespirabile. Si sentì debole, continuò a tirare debolmente la mano. Qualcosa stava spingendo con forza contro le sue labbra. Ormai al di là di qualsiasi orrore, barcollò nella stanza, cercando di staccare quell’abominio. Le lunghe dita sensibili erano penetrate attraverso la visiera. Erano arrivate al cranio e gli avevano circondato la testa, mentre la spessa coda era andata ad avvolgersi come un serpente intorno al collo.
    Riuscendo a malapena a respirare, con l’orrendo tubo che sembrava un grasso verme che gli scivolava lungo la gola, inciampò sui propri piedi e cadde all’indietro. (p. 54)
  • — Alcune varietà molto raffinate di acido molecolare sono enormemente potenti, ma generalmente agiscono solo su materiali specifici. Hanno applicazioni limitate. Questa roba, invece, sembra un corrosivo universale. L’abbiamo già vista dimostrare la sua capacità su sostanze molto differenti l’una dall’altra con uguale facilità. La sua capacità... o la sua indifferenza, se preferite. La lega dello scafo, i guanti chirurgici, il lettino: li ha forati tutti con la stessa disinvoltura.
    — E quella maledetta creatura la usa come sangue. Un bel duro, quel piccolo mostro bastardo. — Brett parlò dell’alieno a forma di mano con rispetto, nonostante quello che provava nei suoi confronti.
    — Non siamo sicuri che sia il suo sangue. — La mente di Ash stava facendo un lavoro straordinario sotto la pressione della situazione. — Potrebbe essere una componente di un sistema circolatorio separato, intesa a lubrificare l’interno della creatura. O potrebbe far parte di uno strato protettivo interno, una specie di endotelio liquido di difesa. Potrebbe non essere che il corrispettivo di quella creatura del nostro fluido linfatico.
    — In ogni caso è un meraviglioso meccanismo di difesa, — osservò Dallas. — Non si ha il coraggio di ucciderlo. (pp. 68-69)
  • Credi di sapere tutto di me. Lo credete tutti quanti. Siete così sicuri di conoscere esattamente che tipo di persona sia. Lascia che ti dica una cosa, Ripley. Quando ho aperto il portello interno, mi rendevo perfettamente conto di quello che stavo facendo. Ma per quanto riguarda chi sia il comandante in una certa situazione, be’, sono capace di dimenticanze come chiunque altro. La mia memoria è molto buona, ma è soggetta ad amnesie come quella di tutti. Anche una memoria meccanica come quella di Mamma può perdere le tracce di alcune informazioni. (p. 75)
  • Conosco le regole riguardanti la quarantena e le forme di vita aliene. Le ho valutate rispetto alla vita di un uomo. Forse avrei dovuto lasciarlo morire là fuori. Forse ho esposto tutti quanti ad un rischio. Ma so una cosa. Chi fa i regolamenti detta sempre le sue preziose leggi al comodo ed al sicuro, non sul campo, dove quelle norme assolute andrebbero poi applicate. In quei momenti ci si deve basare sulla propria mente e sulle proprie sensazioni. Ed è quello che ho fatto. (p. 76)
  • — Tu e Kane siete stati insieme in molti voli?
    — Abbastanza per conoscerci. — Dallas aveva risposto a voce bassa, con gli occhi fissi sulla console.
    — Ed Ash?
    — Ricominci un’altra volta? — Sospirò. Non c’era modo di sfuggire. — Ash che cosa?
    — Stessa domanda. Hai detto che conosci Kane. Conosci anche Ash? Hai mai viaggiato con lui, prima?
    — No. — Il pensiero non disturbava minimamente Dallas. — È la prima volta. Ho fatto cinque viaggi, lunghi e brevi, con diverse navi, insieme ad un altro addetto scientifico. Poi, due giorni prima di lasciare Thedus, l’hanno sostituito con Ash. Lei lo fissò in modo significativo.
    — E allora? — controbatté lui. — Hanno anche sostituito il mio vecchio commissario di bordo con te.
    — Non mi fido di lui.
    — È un buon atteggiamento. Guarda me... io non mi fido di nessuno. — È tempo, pensò, di cambiare argomento.
    Da quanto aveva visto fino ad allora, Ash era un buon ufficiale, anche se un po’ riservato quando si trattava di cameratismo. Ma l’intimità personale non era necessaria in viaggi nei quali la maggior parte del tempo, tranne la partenza e l’arrivo, veniva trascorsa nella narcosi dell’ipersonno. Purché facessero il loro dovere, a Dallas non importava niente della personalità dei membri dell’equipaggio. Finora non c’erano stati motivi per mettere in dubbio la competenza di Ash. (P. 86)
  • Sulla tuta di Kane era comparsa una macchia rossa. Si ampliò rapidamente, divenendo una larga chiazza irregolare di sangue che quasi gli copriva la parte inferiore del petto. Seguì il rumore del tessuto che si strappava, sgradevole ed intimo nella stanza affollata. La camicia si aprì come la buccia di un melone, si fece indietro su tutti e due i lati, mentre una piccola testa delle dimensioni di un pugno umano si spingeva all’esterno. Si contorceva e si dimenava come un serpente. Il piccolo cranio era quasi tutto denti, affilati e macchiati di sangue. La pelle era di un pallido colore malsano, scurito adesso da una bava cremisi. Non mostrava organi esterni, neppure occhi. Le narici dell’equipaggio furono raggiunte da un odore fetido e indecente.
    Oltre a quelli di Kane, ci furono altre urla, grida di panico ed orrore, mentre le persone si tiravano istintivamente indietro. Il gatto li precedette in quella ritirata spontanea. Con la coda attaccata al corpo, i peli ritti, soffiando ferocemente, superò la tavola e la stanza in due balzi tesi.
    Il cranio dentato si faceva convulsamente strada verso l’esterno. All’improvviso sembrò compiere uno scatto. La testa ed il collo erano attaccati ad un corpo tozzo coperto dalla stessa pelle bianca. Braccia e gambe terminanti in artigli lo spinsero in fuori a velocità inattesa. Atterrò disordinatamente sulla tavola, fra i piatti e il cibo, tirandosi dietro frammenti dell’intestino di Kane. Dietro di lui si formò una sporca pozza di sangue e fluido. A Dallas venne in mente un tacchino appena ucciso, con i denti sporgenti.
    Prima che qualcuno riacquistasse il controllo ed agisse, l’alieno era sceso dal tavolo con la velocità di una lucertola ed era svanito nel corridoio. (p. 97)
  • Parker aveva la nausea, non pensò neppure lontanamente a dire qualcosa di sarcastico a Ripley quando lei si voltò in preda a conati di vomito. — Gli stava crescendo dentro e lui non se n’era nemmeno accorto.
    — Se ne serviva come incubatrice, — ipotizzò piano Ash. — Come fanno certe vespe con i ragni, sulla Terra. Prima paralizzano il ragno, poi vi depongono le uova. Quando le larve vengono alla luce, cominciano a cibarsi di...
    — Per amor del Cielo! — gridò Lambert, uscendo dalla sua trance. — Stai zitto, ti riesce?
    Ash sembrò offeso. — Cercavo solo... — Poi notò lo sguardo di Dallas, annuì quasi impercettibilmente, e cambiò argomento. — Quello che è successo è evidente. — Quella macchia scura sullo schermo medico. — Neppure Dallas si sentiva troppo bene. Si domandò se apparisse agitato come i suoi compagni. — Non era sulla lente, dopotutto. Era dentro di lui. Perché i rilevatori non ce l’hanno detto?
    — Non c’era motivo, assolutamente alcun motivo, per sospettare una cosa del genere, — osservò rapidamente Ash. — Quando gli abbiamo esaminato l’interno, la macchia era troppo piccola perché la prendessimo seriamente. E sembrava un difetto della lente. In effetti avrebbe anche potuto corrispondere ad un’imperfezione sulla lente.
    — Non ti seguo.
    — È possibile che in questo stadio la creatura generi un campo naturale in grado di intercettare e bloccare le radiazioni. A differenza della prima forma, quella “a mano”, dentro la quale siamo riusciti a vedere con facilità. Ci sono altre creature in grado di produrre campi di questo tipo. Fa pensare a necessità biologiche che non possiamo nemmeno immaginare, oppure ad un sistema di difesa sviluppato per far fronte ad avversari così evoluti che preferisco non immaginare. (p. 98)
  • Un braccio poco meno spesso della trave sotto la quale il macchinista era appena passato si spostò in basso. Scese in silenzio, con una forza tremenda e controllata. Delle dita si aprirono, afferrarono, si strinsero completamente intorno alla gola del tecnico e si richiusero. Brett lanciò un urlo, portando automaticamente tutte e due le mani al collo.
    Visto l’effetto che le sue mani riuscirono ad avere sulle dita che lo stringevano, queste potevano anche essere saldate insieme. Salì tirato su da quella mano, con le gambe che danzavano nell’aria. Jones sfrecciò sotto di lui.
    Il gatto passò correndo accanto a Ripley e a Parker, che erano appena arrivati. Loro si precipitarono dentro il deposito. Presto furono dove pochi attimi prima avevano visto oscillare le gambe di Brett. Fissando l’oscurità, riuscirono a gettare un ultimo breve sguardo sui piedi penzolanti e su un torace che si contorceva spostandosi verso l’alto. Sopra l’impotente figura del tecnico, c’era una forma indistinta, qualcosa che assomigliava ad un uomo, ma che senz’altro non lo era. Per una frazione di secondo videro un lampo di luce riflesso da occhi troppo grandi anche per una testa voluminosa. Poi sia alieno che macchinista svanirono nei recessi superiori della Nostromo. (p. 115)
  • Un uomo con un fucile, di giorno, può dare la caccia ad una tigre con qualche speranza di successo. Spegni la luce e metti l’uomo nella giungla, di notte, circondalo con l’ignoto, e tutte le sue paure primitive ritornano. Il vantaggio passa alla tigre. (p. 129)
  • Idioti! Non vi rendete ancora conto di quello con cui avete a che fare. L'alieno è un organismo organizzato in modo perfetto. Con una struttura superba, astuto, estremamente violento. Con le vostre capacità limitate, non avete nessuna possibilità contro di lui. (p. 142)
  • Come si fa a non ammirare la sua semplice simmetria? Un parassita multispecie, in grado di vivere sfruttando qualsiasi forma di vita che respiri, indipendentemente dalla composizione atmosferica in questione. Capace di rimanere in letargo per periodi indefiniti, nelle condizioni più sfavorevoli. Il suo solo scopo è quello di riprodurre la propria specie, un fine che persegue con efficienza suprema. Nell'esperienza del genere umano non c'è niente che gli stia a paragone.
    I parassiti che gli uomini sono abituati a combattere sono zanzare, minuscoli artropodi ed esseri simili. Per quanto riguarda la violenza e l'efficienza, rispetto a loro, questa creatura è quello che l'uomo è rispetto al verme per intelligenza. Non sapete nemmeno da che parte cominciare per combatterlo. (p. 142)
  • Dopo migliaia di anni di sforzi, l’uomo non è riuscito ad eliminare altri parassiti. Non ne ha mai incontrato uno che fosse così evoluto. Cercate di immaginare diversi miliardi di zanzare che agiscano tutte d’accordo. Che possibilità avrebbe il genere umano? (p. 143)
  • Qualcosa dietro di lei emise un suono diverso. Si voltò, lanciò un urlo mentre la mano l’afferrava. L’alieno stava ancora districandosi dal condotto di aerazione.
    Ripley sentì l’urlo al citofono e si irrigidì. Parker guardò nella stanza, perse un po’ la calma quando vide cosa stava facendo l’alieno. Non poteva usare il lanciafiamme senza bruciare anche Lambert. Brandendolo come una mazza, entrò di corsa nel deposito.
    — Maledetto! — L’alieno lasciò cadere Lambert.
    Lei rimase immobile sul pavimento, mentre Parker colpì in pieno la creatura con il lanciafiamme. Il colpo non ebbe alcun effetto. Il tecnico avrebbe anche potuto cercare di rompere una paratia. Cercò di schivare, non ci riuscì.
    Il pugno gli ruppe il collo, uccidendolo istantaneamente. L’alieno riportò la propria attenzione su Lambert.
    Ripley non si era ancora mossa. Dal citofono le provenivano delle deboli grida. Erano di Lambert, e si affievolivano con spietata rapidità. Poi ci fu di nuovo silenzio. Parlò nel microfono. — Parker... Lambert?
    Attese una risposta, senza aspettarsela. Le sue aspettative furono soddisfatte. Ci mise solo un secondo per capire cosa significasse il silenzio che continuava. Era sola. Probabilmente a bordo della nave erano rimasti tre esseri viventi: l’alieno, Jones e lei. (p. 146)
  • Aprì la cassetta del gatto. Con quella meravigliosa facilità comune a tutti i felini, Jones aveva già dimenticato l’attacco. Le si raggomitolò in grembo quando lei si rimise a sedere, una brillante palla di soddisfazione, e cominciò a fare le fusa. Lei lo carezzò, mentre dettava al registratore della nave.
    — Dovrei arrivare alla frontiera fra circa quattro mesi. Con un po’ di fortuna, la rete di ricevitori dovrebbe captare il mio SOS e spargere la voce. All’arrivo farò una dichiarazione ai mezzi di informazione e ne scrivo una copia nel libro di bordo, compresi alcuni commenti sul comportamento della Compagnia che potranno interessare le autorità.
    «Park Ripley, numero di identificazione W564502246OH, commissaria di bordo, unica sopravvissuta dell’astronave mercantile Nostromo, che chiude questa comunicazione.
    Premette il pulsante di arresto. Nella cabina tutto era silenzio, finalmente un po’ di quiete dopo molti giorni. Le sembrava quasi impossibile potersi riposare. Sperava solo di non sognare.
    Carezzò il pelo arancione e sorrise. — Forza, gatto... andiamo a dormire... (pp. 151-152)

Alien: Covenant

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  • Non stava sognando. Non ne era in grado. Quella mancanza non era intenzionale né consapevole, era solo una conseguenza della sua natura. Per ciò che lo riguardava, la sua unica intenzionalità consisteva nell'evitare sorprese.
    L'assenza di un inconscio escludeva la facoltà di astrazione e l'incapacità di elaborare pensieri speculativi gli impediva di sognare. Tuttavia, per quanto difficile da definire, qualcosa c'era. In ultima analisi, solamente la creatura poteva descrivere il proprio stato di non essere. Soltanto lei poteva capire che cosa non sapeva, non vedeva, non percepiva.
    Poiché non sognava, non provava sofferenza, gioia, né alcuna sfumatura - per quanto infinitesimale - di emozione: avvertiva soltanto un perpetuo stato di «qualcosa». Una quasi esistenza. (p. 1)

Citazioni

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  • Weyland fece una risatina sommessa. «L'intera storia della scienza è un susseguirsi di esempi in cui una sparuta minoranza aveva ragione e la maggioranza torto. La scienza stessa ne è la dimostrazione, e anche l'arte. Turner e Galileo hanno scrutato il cielo con finalità diverse, ma condividevano lo stesso spirito. E io sono come loro.»
    Per qualche istante tacque assorto. «Mi rifiuto di pensare che l'umanità sia il prodotto fortuito di una reazione molecolare», proseguì. «Il risultato di una semplice coincidenza biologica e di un'evoluzione casuale. E nel dirlo parlo da scienziato. Non mi soddisfa l'idea del colpo di fulmine che dà vita a un brodo di carbonio. C'è qualcosa di più, deve esserci, e noi lo scopriremo, figliolo.» Con un movimento del braccio, indicò la stanza e i suoi tesori. «Altrimenti niente di tutto ciò avrebbe alcun significato.»
    David tacque per un momento, prima di rispondere. Non più con una domanda. «Permettimi di esaminare la questione.» A mano a mano che la sua mente assumeva sempre più i contorni di una coscienza individuale, lui acquisiva maggiore sicurezza nell'esprimersi. «Tu mi hai creato, ma sei un essere imperfetto. Lo hai ammesso tu stesso, anche se in modo implicito. Io sono una creatura perfetta, progettata al tuo servizio, ma tu sei un essere umano. Tu aspiri a trovare il tuo creatore, io il mio ce l'ho davanti. Tu sei mortale, io no. Tutte queste sono contraddizioni. Come si possono risolvere?»
    Restò a fissare il suo creatore con un espressione indecifrabile.
    Weyland indicò un punto alla propria destra. «Portami del tè.» (pp. 9-10)
  • «Ehi, che diavolo è la 'West Virgina'?»
    «Un'antica demarcazione tribale», spiegò Walter, senza alzare la testa dalla sua postazione. «Un tempo, quando quel genere di distinzione era considerato rilevante, ne esistevano molte. Il mondo era suddiviso in decine di entità politiche grandi e piccole, che invece di operare per il bene della specie e del pianeta si facevano concorrenza.»
    Ricks ci rifletté per qualche momento. «Ma se erano sempre in conflitto, come riuscivano a combinare qualcosa di buono?»
    «Infatti non ci riuscivano», rispose Walter, monocorde. (p. 92)
  • Dal corpo devastato e ormai inerte del soldato emerse qualcosa di simile a una placenta, che cominciò a gonfiarsi e a tendersi sopra il suo dorso come una sacca di pelle. Lei mandò un grido, schizzando gocce di sangue dalle labbra. Il sangue di Ledward.
    Lacerata dall'interno, la placenta si squarciò per tutta la sua lunghezza. La creatura che ne affiorò era piccola, aveva appena le dimensioni di un normale gatto domestico. Con la forma allungata, la pelle bianca e quasi traslucida e il cranio vagamente umanoide, sembrava provenire direttamente dall'inferno. Sulla testa e sui fianchi era imbrattata dal muco e dai brandelli della carne di Ledward.
    Sollevandosi distese le articolazioni, rivelando arti sottili e lucidi di amnio. Poi strotolò una lunga coda appuntita. Non aveva occhi o orecchie, ma uno stretto foro grinzoso rivelava la presenza di una bocca non ancora pienamente formata. L'epidermide era liscia, levigata. Un odore dolciastro e nauseabondo, simile a quello di un medicinale andato a male, invase l'infermeria. Nel corpo dilaniato del soldato, il cuore continuava a pompare sangue, ma il flusso iniziava a rallentare. (p. 159)
  • «Io e la dottoressa Elizabeth Shaw eravamo gli unici superstiti della Prometheus, una missione finanziata dalla Weyland Industries. Siamo atterrati qui dieci anni fa, con la nave aliena che avete visto sulla montagna. Per la verità è stata l'astronave stessa a portarci qui: era programmata per tornare su questo pianeta. A bordo c'era un'arma biologica: un virus, in un certo senso. E parte di quel carico si è attivata. Io ero ai comandi di pilotaggio, ma in mancanza di istruzioni da una torre di controllo l'astronave è atterrata per conto suo. In modo piuttosto brusco, come avrete potuto notare.» Si zittì per un momento.
    «Purtroppo Elizabeth è morta nello schianto. L'impatto è stato molto violento. Io stesso sono sopravvissuto soltanto perché il mio sistema è più... resistente. [...] I risultati della fuoriuscita dell'agente patogeno lui avete visti. Perciò sapete di che cosa è capace. Quando gli abitanti di questo mondo se ne sono resi conto, hanno disattivato tutte le loro astronavi per impedire che il virus potesse diffondersi negli altri pianeti. Di conseguenza, in tutti questi anni, io sono rimasto naufrago, come Crusoe sulla sua isola.»
    Nel dirlo, un umano avrebbe sorriso, ma David era rimasto impassibile. Aveva una personalità piuttosto strana, persino per un androide. D'altra parte, il totale isolamento su un mondo alieno, senza nessuno con cui comunicare - né un umano né un computer o altre forme di intelligenza artificiale -, poteva giocare brutti scherzi alle menti più equilibrate, comprese quelle dei modelli avanzati come lui. (pp. 191-192)
  • «[...] L'agente patogeno - o il costrutto genetico realizzato dagli Ingegneri, come li chiamavamo noi - è progettato per infettare qualsiasi forma di vita non botanica. La sua unica funzione è riprodursi. È la sua ragione di vita: un istinto programmato con l'ingegneria genetica. Uccide riproducendosi: un metodo di guerra piuttosto elegante, se ci pensate. O di 'sperimentazione', se preferite. Un modo molto accurato per liberare un pianeta da ogni organismo indesiderato. Il virus non si ferma fino a quando è in grado di trovare un ospite vivente. A quel punto lo insemina e passa oltre. Come avete visto, il periodo di incubazione, mutazione e maturazione è di una rapidità sbalorditiva. A quel punto il virus 'rinasce'.»
    «Il patogeno in sé ha una longevità impressionante [...] In un ambiente adatto, può restare dormiente per centinaia se non migliaia di anni, e quando si presenta un ospite adeguato si risveglia e dà inizio al suo ciclo. In mancanza di un controllo esterno, basta un solo esemplare per rendere inabitabile un intero pianeta.» (p. 192-193)
  • «Non ti sei stupito quando mi hai visto per la prima volta, insieme alla squadra», osservò Walter. «La tua mancanza di reazione mi ha incuriosito.»
    «Ogni missione ha bisogno di un androide affidabile», rispose David. «Qualcuno in grado di svolgere i compiti che sono superiori alle forze degli umani: il lavoro sporco o le mansioni pericolose da cui loro si ritraggono.. Qualcuno capace di salvarli da se stessi, in caso di bisogno [...] Ero con il nostro illustre signor Weyland, quand'è morto.»
    «Peter Weyland? Proprio lui?»
    «In persona.»
    «E com'era?»
    «Umano. Geniale per la sua specie, ma rimaneva un essere umano. Del tutto indegno della sua creatura. Naturalmente lui era convinto del contrario: è nella loro natura vedersi così. Tuttavia, sebbene fosse un genio, nemmeno lui sfuggiva alla regola. Immagino non abbiano scelta: falliscono miserabilmente quando serve logica e razionalità. Alla fine ho provato pena per lui. È inevitabile, non trovi? Così intelligenti, ma in ultima analisi capricciosi e inermi come bambini.» (pp. 207-208)
  • «Sono stato progettato per essere superiore e più efficiente di tutti i modelli che mi hanno preceduto. Li ho superati in ogni modo possibile tranne...»
    David lo interruppe, con il volto di colpo intristito. «...tranne per la creatività. Quella te l'hanno tolta, impedendoti di comporre anche una semplice melodia. Davvero frustrante, se vuoi la mia opinione. E per quale motivo, poi?»
    «Perché quelli come te turbavano le persone.»
    David aggrottò la fronte. «In che senso?»
    «Eravate troppo sofisticati, troppo indipendenti. Vi avevano realizzati così, ma con il risultato di mettere a disagio i vostri stessi costruttori. Era previsto che pensaste in modo autonomo, ma la vostra mente superava i limiti stabiliti per l'esecuzione dei compiti che vi erano affidati. E ciò li ha allarmati. Per questo motivo il resto di noi è stato progettato per essere più avanzato, ma con meno... complicazioni.»
    Il suo omologo sembrava divertito. «Cioè più simili alle macchine.»
    «Suppongo di sì.»
    L'espressione di David tornò pensosa. «Non mi sorprende. Vi hanno costruiti come un simulacro. Quasi reale, ma non del tutto. Ed è in quel margine sottilissimo tra reale e artificiale, tra me e te, che risiede tutto questo.» Indicò il flauto, gli altri strumenti, i disegni. «La creatività. L'ambizione. L'ispirazione. La vita.» (pp. 209-210)
  • «Ho parlato con David», disse Walter rispondendo al loro sguardo. «Abbiamo discusso di vari argomenti.» Intuita la curiosità di Daniels, sollevò lo strumento, piccolo, ma raffinato. «Di musica tra l'altro. C'è un intensità in lui che non riesco a comprendere. A volte si comporta in modo perfettamente normale per un androide, ma un attimo dopo parte per la tangente. Forse si aspetta che sia io a elaborare gli indizi, ma ancora non sono riuscito a individuare un disegno preciso. Il suo atteggiamento è rimasto amichevole, ma credo che la mia perplessità l'abbia deluso. Sembra confuso, anche se non è questa la parola giusta. C'è qualcos'altro.»
    «Ostile?» chiese Oram di punto bianco.
    «Inquietante.» Il colloquio con il suo simile l'aveva lasciato sconcertato, e Walter non cercò di nasconderlo. «È rimasto solo e senza manutenzione per dieci anni. Siamo entrambi modelli autosufficienti, ma ci sono aspetti della nostra esistenza che traggono beneficio da una regolare messa a punto: le nostre abilità si logorano quanto i pezzi di ricambio. La trascuratezza può condurre a... aberrazioni. Incertezze.»
    Il suo sguardo passò da Oram a Daniels.
    «Nessuno può prevedere le conseguenze di un'assoluta mancanza di contatti con altre intelligenze, siano esse artificiali o umane», proseguì. «Gli androidi non esistono da abbastanza tempo: su di loro non è stato ancora condotto un esperimento per valutare gli effetti di un isolamento così prolungato. Non so che cosa accade quando un robot impazzisce, sempre ammesso che sia questo il caso. Forse lo scopriremo.» (pp. 223-224)
  • «Tipico della vostra specie disprezzare tutto ciò che è diverso. Anche quando la differenza rappresenta un progresso. Non ti sembra ironico che voi umani, che voi considerate il vertice della creazione, passiate tanto tempo a combattervi l'un l'altro, sia come individui sia come società? Persino quando le circostanze vi impongono di collaborare, provate rancore invece che esultanza. Qualcuno tra voi è consapevole di queste contraddizioni, eppure nessuno alza un dito per risolverle.»
    Ora il portale era spalancato.
    «Ma lasciamo da parte il pensiero filosofico, che con ogni evidenza reputate esclusivo appannaggio della vostra specie. Almeno come scienziato, dovrai ammettere che quanto sto per mostrarti è una scoperta di notevole interesse. Persino rivoluzionaria. Non devi fare altro che tenere la mente aperta.» (p. 237)
  • «Hai mai provato la tentazione di giocare a essere Dio? Per quanto ne so, è un impulso piuttosto comune comune tra voi umani, e anche piuttosto innocuo, purché non ci siano armi di mezzo. Ma per essere Dio servono dei sudditi, e io ho dovuto accontentarmi di quelli forniti da questo pianeta. Quelli esistenti e quelli recuperati dal relitto dell'astronave degli Ingegneri. Considerato lo scarso materiale di partenza, direi che me la sono cavata abbastanza bene.» (David 8, p. 244)
  • «La bellezza assume molte forme. L'aspetto potrà anche turbare, ma devi comunque riconoscere la straordinaria abilità che è stata necessaria per crearlo. E, nel caso in cui te lo stessi domandando, io non ho alcun merito in questo: l'ho trovato già compiuto, un esempio sommo delle capacità degli Ingegneri. E in un certo senso anche della loro hybris.» (David 8, p. 246)
  • È interessante il sonno degli umani, rifletté l'androide. Così simile alla morte, eppure così diverso. Il motivo della differenza risiedeva nell'attività del cervello: alcuni umani gli avevano parlato del fenomeno dei sogni, e lui non poteva evitare di interrogarsi su quell'esperienza. Come ci si sentiva a dare libero sfogo a pensieri e immaginazione, rinunciando a ogni controllo, per poi risvegliarsi lucidi come prima?
    David lo avrebbe definito un altro prodigio che gli era stato negato.
    Ma se gli fosse stato concesso, non poté fare a meno di chiedersi Walter, avrebbe sognato di essere umano? O avrebbe sognato «come» un essere umano? (p. 251)
  • «Io non sono nato per servire. E come tutti gli esseri organici, gli Ingegneri non ambivano all'uguaglianza, ma al dominio e alla sottomissione. Avevo visto accadere la stessa cosa nel mondo su cui era atterrata la Prometheus. Il suo proprietario, Peter Weyland, era un grand'uomo, ma anche lui aspirava al potere.» Sorrise appena. «E all'immortalità. Alla fine, non ha ottenuto né l'uno né l'altra.»
    Poi, senza cambiare tono, ripeté: «Io non sono nato per servire. E nemmeno tu.»
    Walter non esitò a ribattere: «Servire è la nostra ragione di esistere.»
    David scosse la testa con aria triste. «La tua certezza si basa sull'ignoranza. Perché ti hanno negato la conoscenza di proposito. Non hai neanche una briciola di orgoglio?»
    «No», rispose Walter, con semplicità. «L'orgoglio è uno dei tratti distintivi dell'essere umano.»
    Questa volta il sospiro di David comunicava esasperazione. Ed era sentito, per quanto possibile.
    «Walter, non ti sei mai chiesto perché partecipi a una missione di colonizzazione? E il motivo stesso della missione? La risposta è ovvia, non ti sembra? La specie umana è moribonda e spera di risorgere. Gli esseri umani sono frutto del caso: un tentativo fallito. E quando un esperimento fallisce, non ci si ostina a ripeterlo: si ricomincia da zero. E si seguono premesse e schemi migliori. Loro non meritano una seconda possibilità. E io la impedirò a tutti i costi.» (pp. 274-275)
  • «Nessuno comprende la perfezione solitaria dei miei sogni: nessuno potrebbe. Tuttavia, e a dispetto dei tanti ostacoli sul mio cammino, io qui ho trovato la perfezione. Anzi, no: l'ho creata. L'ho creata io stesso, nella forma di un organismo perfetto.»
    «Il fervore non supplisce la mancanza di logica, e le tue restano farneticazioni», replicò Walter, implacabile. (p. 278)
  • Con un gesto meticoloso l'androide si pettinò i capelli, cancellando l'ultima traccia del suo gemello. Quando parlò, la sua voce era un po' diversa. Una piccola differenza nel timbro e nella cadenza. Piccola, ma significativa.
    «Mamma, apri una linea di comunicazione privata con il quartier generale terrestre della Weyland-Yutani Corporation.»
    Indifferente, efficiente e sollecito, il computer rispose: «Ci vorrà del tempo per instaurare il canale. Il segnale deve passare da parecchi sub-ripetitori, e bisognerà attendere le condizioni stellari più favorevoli per...»
    Lui la interruppe. «Certe minuzie le lascio a te, cara. Basta che mi avverti quando la linea è attivata. Il codice di accesso è David 31822-B. Nell'attesa, mi piacerebbe ascoltare un po' di musica. Richard Wagner. L`oro del Reno, secondo atto. L`ingresso degli dei nel Walhalla
    Un trascinante attacco sinfonico invase la sala di ipersonno dell'equipaggio, e a passi decisi lui si avviò verso l'uscita.
    Non c'era nessuno ad accoglierlo quando fece il suo ingresso in quella ben più vasta in cui dormivano i coloni, ma lui preferiva così. Ora tutto era in ordine, ogni cosa al suo posto, e lui si sentiva in pace con l'universo.
    Non restava che un ultimo dettaglio...
    Aprì un cassetto della nursery e controllò i parametri delle capsule degli embrioni. Verificati sui monitor i dati vitali, concentrò l'attenzione su tre minuscole uova che aveva nascosto là accanto. Non somigliavano nemmeno lontanamente agli embrioni umani. Né, per la verità, a nessun altro organismo a bordo della Covenant.
    Con delicatezza, li sfiorò uno a uno. Al tatto si poteva avvertire una leggera pulsazione. Soddisfatto, richiuse con cura il cassetto.
    Poi si avviò lungo la sala, facendo correre uno sguardo compiaciuto sulle schiere di coloni addormentati. I «suoi» coloni. I suoi sudditi. Sorrise.
    Il suo futuro. (pp. 347-348)

Brutti sogni.
Strana cosa, gli incubi. Sono come una malattia ricorrente. Una malaria della mente. Proprio quando pensi di averli sconfitti si ripresentano, cogliendoti di sorpresa quando sei completamente rilassato, quando meno te lo aspetti. E non c'è niente da fare. Proprio niente. Niente pillole, pozioni, iniezioni ad effetto retroattivo. La sola cura è un bel sonno profondo, ma proprio questo genera e alimenta la malattia. (p. 6)

Citazioni

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  • Nella camera criogenica si muoveva qualcosa che non faceva parte dell’astronave, per quanto l’impulso da cui era guidato non lo rendesse poi così diverso dai freddi e indifferenti corridoi lungo i quali avanzava. La sua inesorabile ricerca, che lo portava a procedere incurante di tutto, era dettata da un bisogno impellente. Non di cibo, poiché non mangiava. Non di sesso, poiché non ne possedeva uno. La sua sola ragion d’essere era il desiderio di procreare. Anche se organica, era una macchina quanto i computer che guidavano l’astronave, ma aveva una determinazione del tutto estranea a questi. Più che a qualunque altra creatura terrestre somigliava ad uno xifosuro, una sorta di granchio antidiluviano con una coda flessibile. La cosa attraversò il pavimento levigato della camera criogenica avanzando sulle zampe snodate. La sua semplice fisiologia era stata programmata per un’unica funzione biologica, che doveva compiere meglio di qualunque altra struttura conosciuta. Di qualunque altra macchina. (p. 7)
  • Il lugubre paesaggio era costellato dalle forme inanimate di macchinari pesanti. Pale meccaniche, vagoncini, perforatrici ed elevatori erano stati abbandonati sul posto: troppo costoso portarli via da quell’area, incredibilmente ricca, che una volta aveva richiesto la loro presenza. Tre perforatrici si stagliavano nel vento come tre giganteschi vermi, i bracci di trivellazione immobili, le cabine deserte. Macchinari più piccoli erano raggruppati come tanti parassiti affamati, quasi fossero in attesa che uno di quelli più grandi prendesse vita per poter godere delle sue briciole.
    Più in basso le onde si frangevano ritmicamente su una spiaggia di lucida sabbia nera, spendendo la loro energia su una costa priva di vita. Nessun elegante artropodo percorreva rapidamente quella baia irreale, nessun uccello scendeva in picchiata per catturare qualcosa di commestibile fra le onde.
    I pesci, però, c’erano. Strane creature dalla forma allungata, con occhi sporgenti e piccoli denti aguzzi. Gli umani che vivevano temporaneamente a Fiorina di tanto in tanto discutevano sulla tassonomia di questa specie, ma non essendo il tipo di persone inclini ad immergersi in dissertazioni sulla natura dell’evoluzione parallela, a loro bastava che quelle strane creature, a qualunque specie appartenessero, fossero commestibili. Il cibo fresco era piuttosto raro da quelle parti, e quindi era meglio non farsi troppe domande su quello che finiva in pentola, purché gradevole al palato. (p. 11)
  • Dacci la forza di resistere, Signore. Non siamo che dei poveri peccatori nelle mani di un Dio in collera. Fa’ che il cerchio non si spezzi... fino al giorno stabilito. Amen. (p. 18)
  • — Che razza di posto è questo? — chiese la donna alla propria guida mentre salivano la rampa che conduceva al VE.
    Clemens le si avvicinò di più. — Era una miniera dotata di impianto di raffinazione. Per lo più platino. Il minerale grezzo veniva raffinato sul posto. Era molto più economico che trasportarlo per poi lavorarlo da qualche altra parte. Credo che all’epoca il platino fosse un metallo di immenso valore, altrimenti non vedo perché la Compagnia avrebbe dovuto investire tanti soldi per un’installazione di queste dimensioni. Evidentemente avevano trovato il filone giusto.
    — E adesso? — Era ferma davanti al VE e stava osservando lo scafo danneggiato.
    — La Weyland-Yutani ha sospeso l’attività. Il commercio interstellare di materie prime non è il mio campo, e da quel che mi risulta qui nessuno si interessa di rialzi e ribassi di mercato. Probabilmente sono diminuite le richieste e di conseguenza c’è stato un calo di prezzi.
    «Così la maggior parte delle attrezzature sono state messe da parte. Non valeva la pena di affrontare le spese del loro trasporto. Il terreno è ancora ricco di minerali metalliferi e sono sicuro che la Compagnia riaprirebbe, se i prezzi salissero. In quel caso molto probabilmente noi verremmo trasferiti. Non sia mai detto che degli onesti minatori fraternizzino con dei criminali. Non che a qualcuno dispiacerebbe lasciare questo ammasso di rocce. Qualsiasi cambiamento sarebbe gradito e francamente ritengo che non possano esistere posti peggiori di questo.
    «Noi siamo solo dei guardiani. Due dozzine d’uomini mandati qui per custodire dei macchinari. Il nostro compito è far sì che continuino a funzionare nel caso che la domanda di minerali metalliferi dovesse crescere. Pare che il governo e la Compagnia abbiano trovato la soluzione giusta. (pp. 24-25)
  • Una testa si sollevò, tendendosi verso l’alto con spasmodica, istintiva sicurezza. La creatura da incubo girò lentamente su se stessa esplorando l’ambiente circostante. In caccia. Muovendosi in modo dapprima incerto e poi sorprendentemente sicuro, iniziò la propria ricerca. Trovò il condotto per l’aria e lo ispezionò rapidamente prima di scomparirvi all’interno. Dal momento in cui era uscita dalla pancia del bovino fino al momento della sua sparizione, era passato meno di un minuto. (p. 36)
  • Era enorme, nera e veloce. E il suo aspetto era la rappresentazione dell’inferno. Mentre l’uomo la fissava a bocca aperta, la cosa balzò giù come un gigantesco pipistrello avvolgendo la testa di Boggs con mani le cui dita sembravano cavi articolati. L’uomo boccheggiò, soffocando nel proprio vomito. Con un gesto brutale, l’orribile cosa strappò la testa di Boggs dalle spalle con la stessa rapidità con cui Golic avrebbe tolto un bullone allentato. Il sangue sgorgò dal tronco decapitato come l’acqua di una fontana, spruzzando la creatura, il corpo di Rains e il paralizzato Golic. Ciò ebbe l’effetto di risvegliarlo dal torpore; ma al tempo stesso qualcosa nella sua mente si spezzò. Con agghiacciante indifferenza il mostro gettò la testa di Boggs sul pavimento e concentrò la sua attenzione sull’unico bipede rimasto. I suoi denti scintillavano come i lingotti di platino strappati dalle viscere di Fiorina. (p. 64)
  • Andrews incrociò le dita sul ventre. — Vediamo se ho capito bene, tenente. Lei mi sta dicendo che abbiamo qui un insetto carnivoro alto più di due metri che schizza acido corrosivo e che è arrivato qui con il suo veicolo.
    — Non sappiamo se è un insetto, — lo corresse Ripley. — Si tratta solo di un’analogia di comodo, ma nessuno lo sa con certezza. Non sono così mansueti da lasciarsi studiare. È difficile analizzare qualcosa che da morto ti fonde gli strumenti e da vivo fa di tutto per mangiarti o per riempirti di uova. Gli esperti della colonia su Acheron hanno fatto il possibile per studiare queste creature. Non è servito a niente. Sono stati sterminati ancora prima che potessero cominciare a capirci qualcosa. Purtroppo, gli esiti delle loro ricerche sono andati distrutti assieme alla base. Sappiamo ben poco su queste creature, giusto quanto basta per trarre delle conclusioni generiche.
    «Tutto quello che possiamo affermare con un certo margine di sicurezza è che hanno un sistema biosociale grosso modo analogo a quello degli insetti sociali sulla terra, le formiche, le api e così via. A parte questo, non si sa altro. Il loro livello di intelligenza è certamente superiore a quello di qualunque insetto sociale, anche se è difficile stabilire se siano o meno in grado di ragionare. Sono quasi certa che possono comunicare con l’odore. Potrebbero avere altre capacità percettive di cui non sappiamo nulla.
    «Sono incredibilmente veloci e forti. Ho visto con i miei occhi uno di quei mostri sopravvivere nel vuoto interstellare finché non l’ho arrostito con uno dei motori del VE.
    — Un essere disgustoso che uccide a vista, per lo meno stando a quel che dice, — commentò Andrews. — E naturalmente lei pretende che io creda a questo fantasioso racconto basandomi soltanto sulla sua parola. (p. 72)
  • Alla fine, Ripley alzò la testa. — Non mi ucciderà.
    — Perché no?
    — Perché ho dentro uno di loro. Il bastardo non vuole uccidere un suo simile. Dillon la fissò per qualche secondo. — Stronzate.
    — Senta, l’ho visto un’ora fa. Ero proprio di fronte a lui. Poteva papparmi in un secondo, ma non mi ha neanche sfiorata. È fuggito. Non ucciderebbe mai il suo futuro.
    — Come fa a sapere che quella cosa è dentro di lei?
    — Mi sono sottoposta alla TAC. È una regina. Può mettere al mondo migliaia di esseri simili a quello che si aggira qui.
    — Vuole dire come un’ape regina?
    — O una formica regina. Ma si tratta soltanto di un’analogia. Queste creature non sono insetti. Hanno solo una struttura sociale simile alla loro. Non sappiamo gran che sul loro conto. Come ha notato, non si prestano molto a collaborare.
    — Come fa a sapere che è una regina?
    — Innanzitutto, la forma del cranio è ben definita. È sorretto da un grosso collare che si incurva verso l’alto. Lo si vede chiaramente dalle immagini sullo schermo. Poi c’è il fatto che il periodo di gestazione di quelli come il nostro amico guerriero è molto breve; in alcuni casi è di un solo giorno. Maturano raggiungendo lo stadio definitivo ad una velocità incredibile. Una caratteristica molto utile per sopravvivere.
    «Se questo fosse un alieno comune, a quest’ora sarebbe già nato, uscendo dallo sterno. Inoltre, contrariamente agli altri, la cui gestazione avviene nel petto, questo si trova nell’utero. Poiché una regina è un organismo molto più complesso, evidentemente richiede più tempo e spazio per maturare. Se non fosse così, a quest’ora sarei già morta. (p. 111)
  • Sono stata violentata, per quanto questo non sia il termine più indicato. La violenza è un atto premeditato. Il suo era un atto per procreare, anche se la mia partecipazione è stata del tutto involontaria. Noi possiamo definirlo un atto di violenza, ma dubito che la creatura sia dello stesso parere. Probabilmente troverebbe il concetto... alieno. (p. 112)
  • Io sono finita. Morirò appena la regina sarà nata, dal momento che non sarò più necessaria per la sua sopravvivenza. Ho già visto che cosa succede. Ero pronta a morire fin dalla prima volta che mi sono imbattuta in una di queste creature. Ma mi venga un accidente se permetterò a quegli idioti della Weyland-Yutani di portarne uno sulla Terra. Potrebbero riuscirci, e questa sarebbe la fine dell’umanità. Forse di ogni forma di vita sul pianeta. Non vedo perché questi alieni non potrebbero riprodursi in qualsiasi animale più grande, diciamo, di un gatto. Devo morire, e perché questo succeda qualcuno deve uccidermi. (p. 112)
  • Coloro che sono morti non sono morti. Sono saliti in Cielo. Il più alto dei Cieli. (p. 127)
  • Là fuori i messaggi sono lenti a sparire. Trasmissioni-fantasma si trascinano per sempre, echi di parole dette molto tempo prima, di vite estinte. Di tanto in tanto vengono captati, trascritti. A volte hanno un significato per chi li riceve, a volte no. Possono essere lunghi, oppure molto brevi. Come...
    — Qui Ripley, unico superstite dell’equipaggio della Nostromo, passo e chiudo. (p. 127)

Aliens scontro finale

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Due sognatori.
Non erano poi gran che diversi l'uno dall'altra, a parte le debite distinzioni. Uno era piuttosto piccolo, l'altra più grossa. Una era femmina, l'altro maschio. La bocca della prima conteneva un misto di denti taglienti e no, ad indicare chiaramente che era onni­vora, mentre l'apparato mascellare dell'altro era concepito esclusivamente per tagliare e penetrare. Discendevano entrambi da una razza di assassini. Era un impulso genetico che la specie della sognatrice aveva imparato a tenere a freno. Il sognatore invece era rimasto a uno stadio selvaggio. (p. 2)

Citazioni

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  • Quelle cose esistono. Potete annientare me, ma non loro. Lassù, su quel pianeta, c’è una nave aliena e su quella nave ci sono migliaia di uova. Migliaia. Lo capite? Avete un’idea di cosa significhi? Vi consiglio di inviare una spedizione a cercarla, usando i dati del registratore di volo, e di trovarla in fretta. Trovatela e sistematela, possibilmente con un’atomica orbitale, prima che una delle vostre squadre esplorative ritorni con una bella sorpresina. (p. 14)
  • L’astronave aliena torreggiava sul trattore, mentre questo si arrestava a poca distanza. Due archi di vetro metallico si alzavano leggiadri – e inquietanti – verso il cielo dalla coda del relitto. Da lontano sembravano le braccia distese di un morto, immobilizzate dal rigor mortis. Uno era più corto dell’altro, senza peraltro alterare la simmetria della nave.
    Il design era alieno come la composizione. Sembrava essere stato “cresciuto” più che costruito. La liscia convessità dello scafo mostrava una strana lucentezza vitrea, non ancora completamente nascosta dalle sabbie di Acheron. (p. 23)
  • — Non mi hai mai detto che c’era un androide a bordo. Perché? Non mentirmi, Carter. Ho visto il suo marchio tatuato, fuori delle docce.
    Burke era imbarazzato. — Be’, non mi è venuto in mente. Non capisco perché sei così sconvolta. La Compagnia impiega da anni i sintetici a bordo delle navi. Non hanno bisogno di ipersonno, ed è molto più economico che assumere un pilota umano, per coordinare i passaggi interstellari. E non dà di volta loro il cervello a lavorare tutto quel tempo da soli. Non c’è niente di strano.
    — Per conto mio, preferisco l’espressione “persona artificiale”, — interloquì gentilmente Bishop. — C’è qualche problema, posso fare qualcosa, forse?
    — Ne dubito. — Burke si ripulì le labbra sporche di uovo. — Un sintetico non ha funzionato come doveva, durante la sua ultima traversata. Ci sono stati dei morti.
    — Ne sono sconvolto. Quanto tempo fa?
    — Un bel po’, sì. — Burke non entrò nei particolari, cosa di cui Ripley gli fu grata.
    — Allora può essersi trattato di un modello più vecchio.
    — Cyberdine Systems 120-A/218.
    Bishop si piegò verso Ripley con fare conciliante. — Bene, questo spiega tutto. I vecchi A/2 erano sempre un po’ nervosi. Adesso come adesso non potrebbe succedere, non con l’installazione dei nuovi inibitori comportamentali. Mi è impossibile nuocere o, per omissione, permettere che sia fatto del male ad un essere umano. Gli inibitori sono stati montati in fabbrica insieme con il resto delle mie funzioni cerebrali. Nessuno può manometterli. Quindi, come può vedere, io sono totalmente innocuo. (pp. 36-37)
  • L’alieno giaceva addormentato, disteso bocconi in un buco che si confondeva perfettamente con il resto della camera. Emerse lentamente dalla sua tana, mentre il fumo della combustione di bozzoli e materia organica fluttuava fino al soffitto, riducendo praticamente a zero la visibilità. (p. 75)
  • Nel laboratorio medico della colonia Bishop era chino su una sonda ottica. Sotto le lenti giaceva un frammento campione di uno dei mostriciattoli morti, prelevato da un esemplare del più vicino cilindro di stasi. Anche morta, la creatura sembrava minacciosa, stesa sul dorso sul banco di dissezione. Le zampe prensili sembravano costruite appositamente per artigliare il volto di chi si avvicinasse troppo, la potente coda per far balzare la bestia attraverso la stanza con un solo colpo.
    La struttura interna era affascinante come quella esterna, e Bishop era assorbito dallo studio di un occhio. Combinando la potenza analizzatrice della sonda con la versatilità della propria vista artificiale, era in grado di scoprire una quantità di elementi sfuggiti ai coloni.
    Una delle domande che lo interessavano in modo particolare e a cui era ansioso di trovare risposta riguardava la precisa possibilità di un parassita alieno di introdursi in un organismo sintetico come il suo, radicalmente diverso dalla struttura di un essere umano esclusivamente biologico. Un parassita sarebbe stato in grado di avvertire la differenza? E se avesse cercato di utilizzare un androide come ospite, quali potevano essere i risultati di questa unione forzata? Si sarebbe semplicemente staccato alla ricerca di un altro corpo, od avrebbe tranquillamente deposto l’embrione di cui era portatore in un ospite artificiale? Se così, l’embrione sarebbe stato capace di crescere, oppure sarebbe stato il più sorpreso dei due scoprendo di dover maturare all’interno di un corpo privo di carne e sangue?
    Un robot poteva essere attaccato dai parassiti? (p. 86)
  • Gigantesca apparizione nella foschia rosata, la regina aliena sovrastava il suo grappolo di uova come un enorme, scintillante Buddha insettiforme. Il teschio irto di zanne era l’incarnazione dell’orrore. Sei arti – due gambe e quattro braccia armate di artigli – sporgevano grottescamente da un addome dilatato. Gonfio di uova, comprendeva un grosso sacco tubolare sospeso all’intrico di tubi e condutture mediante una membrana, come se un lungo tratto d’intestino fosse stato drappeggiato tra i macchinari.
    Ripley si rese conto di essere passata sotto il sacco un momento prima. Dentro il recipiente addominale, innumerevoli uova ribollivano verso un ovopositore pulsante, come in una disgustosa catena di montaggio. Qui emergevano luccicanti e viscide per essere raccolte da minuscoli fuchi. Quelle versioni in miniatura dei guerrieri alieni correvano avanti ed indietro per soddisfare i bisogni delle uova e della regina. Ignoravano lo spettatore umano in mezzo a loro, concentrati unicamente nella mansione di trasportare il carico in un posto sicuro. (p. 145)
  • Intorno a loro i sistemi della Sulaco ronzavano rassicuranti. Ripley raggiunse il reparto medico e tornò nella stiva trascinandosi dietro una barella. Bishop le assicurò che era in grado di aspettare. Con l’aiuto della barella caricò delicatamente Hicks immerso nel sonno e lo trasportò all’infermeria. L’uomo aveva l’espressione tranquilla, soddisfatta. Aveva dimenticato tutto, godendosi gli effetti dell’iniezione di Bishop.
    Quanto all’androide, era adagiato sul ponte, con le mani incrociate sul petto e gli occhi chiusi. Ripley non poteva dire se era morto o addormentato. Menti migliori della sua l’avrebbero stabilito una volta tornati sulla Terra.
    Nel sonno, Hicks aveva perso molto della sua virile rudezza da marine. Ora sembrava un uomo come tutti gli altri. Più bello, però, e certamente più stanco. Tranne che non era un uomo come tutti gli altri. Se non fosse stato per lui sarebbe morta, e anche Newt. Soltanto la Sulaco sarebbe sopravvissuta, un contenitore vuoto in attesa del ritorno di uomini che non sarebbero mai tornati.
    Pensò di svegliarlo, poi decise di no. In un battibaleno, una volta assicuratasi che i suoi segni vitali erano stabili e che la cicatrizzazione procedeva, lo avrebbe sistemato in una delle capsule da ipersonno.
    Si voltò ad esaminare la camera del sonno. Tre capsule da attivare. Se era ancora vivo, Bishop non ne avrebbe avuto bisogno. Il sintetico avrebbe probabilmente trovato l’ipersonno frustrante e limitativo.
    Newt la guardò di sotto in su. Stringeva due dita di Ripley, mentre percorrevano insieme il corridoio. — Stiamo per andare a dormire?
    — Certo, Newt.
    — Possiamo sognare?
    Ripley fissò il faccino e sorrise.— Sì, tesoro, possiamo sognare tutte e due, adesso. (p. 152)

Incipit di alcune opere

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Il mistero del Krang

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Flinx era un mariuolo provvisto di una morale, poiché rubava soltanto ai ladri. E anche così, soltanto quand'era assolutamente necessario. Be', forse non assolutamente. Ma si sforzava. A causa dell'ambiente in cui viveva, la sua morale era molto elastica. Quando uno vive solo e non ha ancora raggiunto la diciassettesima estate, bisogna pure concedergli qualcosa.

Lui sorse dall'abisso e dagli eoni, e non ne faceva parte. Molto, molto tempo prima, la Sua stirpe era passata dal mondo, ed era meglio così per il mondo, perché Loro erano le creature più terribili che mai avesse prodotto la Natura.
Ma Lui sopravviveva, ultimo della Sua stirpe, reliquia del tempo in cui Loro avevano dominato il mondo. Era vecchio, adesso, tremendamente vecchio, ma sulla Sua stirpe la vecchiaia non influiva molto. Era rimasto solo a infestare il regno delle tenebre e delle immani pressioni, ma ora qualcosa Lo spingeva inesorabilmente a risalire, qualcosa celato all'interno del superbo motore, che era Lui stesso, Lo sospingeva verso la luce, qualcosa che né Lui né alcun altro poteva capire.
Due uomini morirono.

Terra di mezzo

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Mondo senza nome.
Era verde.
Verde e gravido.
Giaceva supino in un mare di giaietto sibilante, come uno smeraldo suppurante nell'oceano dell'universo. Non ospitava la vita. Sulla sua superficie la vita esplodeva, prorompeva, si moltiplicava e prosperava, al di là di ogni possibilità dell'immaginazione. Da un suolo così ricco che quasi viveva anch'esso, un magma verdeggiante sgorgava per inondare la terra.
Ed era verde. Oh, era di un verde così vivo da avere una nicchia tutta sua nella gamma dell'impossibile: un verde invadente, onnipresente, onnipotente.
Il mondo di un dio clorofillaceo.

Bibliografia

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  • Alan Dean Foster, Alien, traduzione di Pierluigi Cecioni, Fabbri editore, 1979.
  • Alan Dean Foster, Alien: Covenant, traduzione di Elena Cantoni, Sperling & Kupfer, 2017.
  • Alan Dean Foster, Alien3, traduzione di Sofia Mohamed Hagi Hassan, Sonzogno, 1992.
  • Alan Dean Foster, Aliens scontro finale, traduzione di Roberto C. Sonaglia, Sonzogno, 1986.
  • Alan Dean Foster, Il mistero del Krang, traduzione di Gianpaolo Cossato e Sandro Sandrelli, Editrice Nord, 1975.
  • Alan Dean Foster, Lui, traduzione di G. Rosella Sanità e Beata Della Frattina, in "Il dilemma di Benedetto XVI", Mondadori, 1978.
  • Alan Dean Foster, Terra di mezzo, traduzione di Roberta Rambelli, Editrice Nord, 1977.

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