Aleksandr Aleksandrovič Blok

poeta russo
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Aleksandr Aleksandrovič Blok (1880 – 1921), poeta russo.

Aleksandr Blok nel 1903

Citazioni di Aleksandr Blok

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  • Anna Karenina è scritta in modo terribilmente disuguale (si vede quanto gli fosse venuta a noia). Ci sono pagine e capitoli semplicemente mediocri.[1]
  • Ieri [...] i portieri schernivano un topo ferito. Era stato forse abbrancato per la testa da una gatta o da un cane. Ora fugge, cercando di appiattirsi sotto un grumetto di neve, ora cade su un fianco. Dissemina gocce di sangue. Non ha dove andare. Mi immagino i suoi occhi.[2]
  • Il dente della storia è molto più avvelenato di quanto voi pensiate, non si sfugge alle maledizioni del tempo... Distruggendo, noi restiamo tuttavia schiavi del vecchio mondo: la distruzione della tradizione è anch'essa una tradizione.[3]
  • La musica è la più perfetta delle arti perché al massimo grado esprime e riflette l'idea dell'Architetto. [...] La musica crea il mondo. È il corpo spirituale del mondo, l'idea (fluida) del mondo.[1]
  • La nostra realtà trascorre in un rosso chiarore. I giorni son sempre più rumorosi di gridi, di rosse bandiere sventolanti; a sera la città, assopitasi un attimo, è insanguinata dal crepuscolo. Di notte il rosso canta sugli abiti, sulle guance, sulle labbra delle donne da conio. Solo la pallida mattina scaccia l'ultima tinta dai volti emaciati.[2]
  • [Sulla lirica La sconosciuta] Non è solo una dama dall'abito nero con piume di struzzo sul cappello. È una diabolica lega di molti mondi, principalmente il turchino e il lilla. Se io avessi avuto i mezzi di Vrubel', avrei creato un Dèmone.[2]
  • Rifare tutto. Fare in modo che tutto diventi nuovo; che la nostra falsa, sporca, tediosa, mostruosa vita diventi una vita giusta, pulita, allegra, bellissima. Quando tali idee, latenti da tempi immemorabili nell’animo umano, nell’animo del popolo, infrangono le pastoie che le incatenavano ed erompono come un tempestoso torrente, finendo di abbattere dighe, facendo crollare superflui lembi di argini, ciò si chiama rivoluzione. In modo più o meno moderato, più mitigato, si chiama rivolta, sommossa, rivolgimento. Ma ciò si chiama rivoluzione. (da Intelligencija e rivoluzione, p. 62)
  • A sera, nell'udirmi di lontano, | accenderai d'un tratto il Tuo falò, | ed io mi metterò, ubbidendo al Fato, | a decifrare il giuoco delle fiamme. (da Tu risplendi sopra un alto monte)
  • Aspetto un grido, cerco una risposta, | il cielo è muto, la terra in silenzio, | dietro il giallo maggese – in lontananza – | s'è destato un istante il mio richiamo. | Negli echi d'un discorrere lontano, | dal cielo notturno, dai campi assonnati, | sento i misteri d'un futuro incontro, | di convegni sereni, ma fuggevoli. | Io aspetto – e un nuovo tremito mi invade. | Sempre più vivido è il cielo, più sordo il silenzio... | Distruggerà la parola il mistero notturno... | Iddio, pietà delle notturne anime! (da Aspetto un grido, cerco una risposta)
  • Cadrà la cortina di nebbia. | Scenderà lo sposo dall'altare. | E dalle cime a dentelli del bosco | spunterà un'aurora nuziale. (da Io, adolescente, accendo le candele)
  • Cammino, e le rugiade si raggelano, | coprendosi d'argenteo luccichio | al pensiero che hai sciolte le tue trecce | nell'isba per l'amico misterioso. | Dammi filtri odorosi, soffocanti | e annebbiami con un dolce veleno, | perché, inebriato dalle tue delizie, | io ricordi per sempre questa notte. (da Cerco le luci – le luci propizie)
  • Chi sei Tu che con filtri notturni | mi hai avvelentato? (da La notte)
  • Come è penoso andare tra la gente | fingendo di non essere defunto | e raccontare a chi non ha vissuto | il giuoco falso e tragico del male; | e contemplando l'incubo notturno | scoprire un'armonia nel discordante | mulinello dell'essere, ché solo | nei riflessi dell'arte l'uomo vede | l'incendio senza scampo della vita... (da Come è penoso andare tra la gente)
  • Così vanno nella sera, | ed il cane è ormai laggiù, | ma davanti alla bandiera, | camminando lieve | nel vortice di neve, | di rose inghirlandato | in un nembo imperlato, | avanti marci tu, | non veduto, o Gesù! (da I Dodici)
  • È terribile il freddo delle sere, | il loro vento che batte angoscioso, | il febbrile frusciare sulla strada | di passi inesistenti. | La fredda linea del crepuscolo | è come il ricordo d'un male recente | e il segno certo che noi siamo dentro | un cerchio non aperto. (da È terribile il freddo delle sere)
  • Fammi sfiorare le tue pieghe argentee, | conoscere col tuo cuore indifferente | come sia dolce il mio mesto cammino, | come sia lieve e limpido morire. (da Uno strascico di stelle)
  • Il vento portò da lontano | l'accenno d'un canto d'aprile, | chissà dove, limpido e profondo, | si aprì un pezzetto di cielo. | In questa smisurata azzurrità, | fra i primi albori della primavera, | le bufere invernali piangevano, | si libravano sogni stellati. | Timide, cupe e profonde | le mie corde piangevano. | Il vento portò da lontano | le tue canzoni squillanti. (da Il vento portò da lontano)
  • Io non sono il tuo uomo né il tuo amore. | Fiera tu sei, o angelo mio breve. | Senza tremare piantami nel cuore | il tuo aguzzo tacco alla francese. (da Umiliazione)
  • La tua voce meridionale è languida. | Hai la vita come una gazzella, | ma io vengo a te dalle contrade in cui | è neve eterna ed urlo di tormenta. (da Tu dici che io sto sonnecchiando)
  • Ma anche nella caduta non c'è fine | per le lodi, e lo strèpito, e le grida! (da Tu sei il giorno limpido)
  • [Sulla paziente e sterile attesa dell'ispirazione] Ma nell'istante della concentrazione | d'un'anima novissima e terribile, | come un tuono maligno la ragione | creativa l'assale per ucciderla. | E dentro una mia gabbia fredda e forte | il buono e lieve uccello chiudo solo, | venuto a liberarmi dalla morte, | l'anima mia a salvare col suo volo. | Sembra la gabbia ruvida d'acciaio | d'oro in mezzo al crepuscolo serale; | ora l'uccello già libero e gaio | scuote l'anello e canta al davanzale. | Le ali ha tarpate, e canta canti altrui. | Forse quei canti ad altri dànno gioia. | Io sono stanco come sempre fui, | e il nuovo attendo dentro la mia noia. (da L'artista)
  • Nelle sue trecce la luna e le stelle... | «Entra, mio zarèvič amorevole...» | Ed il bordone povero di quercia | risplenderà d'una gemmata lacrima... (da Un bordone di róvere ho intagliato)
  • Pigre e pesanti nuotano le nuvole | per l'azzurra canicola dei cieli. | Il mio cammino è lungo, faticoso, | immobile languisce la foresta. (da Pigre e pesanti nuotano le nuvole)
  • O misera mia terra, | che significhi tu per il cuore? (da Un giorno d'autunno)
  • Primaverile crepuscolo, | ai piedi gelide ondate, | nel cuore speranze celesti, | lambiscono le onde la sabbia. | Gli echi d'un canto lontano, | ma non mi è dato distinguerli. | Piange solitaria l'anima | là, su quell'altra sponda. (da Primaverile crepuscolo)
  • Qui il silenzio fiorisce movendo | il pesante vascello dell'anima, | e il vento, cane docile, lambisce | i giunchi appena incurvati. | Qui il desiderio in un'insenatura | vuota fa attraccare i suoi vascelli. | E in questa quiete è dolce non sapere | dei murmuri lontani della terra. (da Il silenzio forisce)
  • Quando sul plumbeo incresparsi dei fiumi, | ad una grigia ed umidiccia altezza, | dinanzi al volto della patria austera | comincerò ad oscillare sulla croce, – | allora – da un'immensa lontananza, | nell'agonia, fra il sangue delle lacrime, | vedrò venire per un lungo fiume | Cristo verso di me dentro una barca. | Negli occhi avrà le stesse mie speranze, | e indosso porterà gli stessi stracci. | Misero spunterà dalla sua veste | il palmo trafitto da un chiodo. | Cristo! È infelice la natia largura! | Io mi sto consumando sulla croce! | E la tua barca – potrà mai approdare | all'altezza in cui sono crocifisso? (da Quando tra foglie rugginose ed umide)
  • Russia, misera Russia, | per me le grigie tue isbe, | per me le tue canzoni al vento sono | come le prime lacrime d'amore! | Di te io non so avere compassione, | e porto con prudenza la mia croce... (da Russia)
  • Se ammirerò di notte la tormenta, | m'infiammerò senza potermi spegnere. | A me l'azzurra notte ha bisbigliato | ciò che è negli occhi tuoi. (da Se ammirerò di notte la tormenta)
  • Sul crocicchio, | dove la lontananza mi ha posto, | con afflitta gaiezza accolgo la primavera. | Sulla terra ancora rigida | spunta la prima erbetta. | E fra il merletto d'una betullina | – profondi – in lontananza – | i declivi lilla d'un burrone. | Mi ha invogliato | la terra deserta! (da Sul crocicchio)
  • Tu mi vestirai d'argento, | e alla mia morte | la luna spunterà – Pierrot celeste, | sorgerà il rosso pagliaccio ai quattro venti. (da Tu mi vestirai d'argento)
  • Tutto ciò che balena un solo istante | e perisce, tu l'hai gia' seppellito | nei secoli, o Ravenna, e come un bimbo | dormi nell'assonnata eternità. || Più non varcan gli schiavi le romane | soglie portando a te ricchi mosaici | e si spengono già le dorature | sui muri delle fresche tue basiliche. || [...] || Soltanto nello sguardo fisso e dolce | delle fanciulle di Ravenna a volte | la tristezza d'un mare irrevocabile | in timida sequenza scorre e passa. || Sol nelle notti, china sulle valli, | enumerando i secoli futuri, | l'ombra di Dante dal profilo d'aquila | per me cantando vien la Vita Nova. (da Ravenna[4])

Divampano simboli arcani

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  • Mi riparo negli antri notturni, | non rammento i miracoli austeri. | All'alba le azzurre chimere | si specchiano in vividi cieli.
  • Su me il firmamento è ormai basso, | nero sonno mi grava nel petto. | La fine predestinata si approssima, | e guerra e incendio mi stanno davanti.

La città verso rosse contrade

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  • E sulla torre del campanile | fra balli sonanti e rimbombo di bronzo | una campana libera e festosa | mostra la propria lingua insanguinata.
  • La città verso rosse contrade | ha volto il suo morto sembiante, | col sangue del sole ha innaffiato | il suo grigio corpo di pietra.

La sconosciuta

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  • Ed i misteri so degli angeli, | un altrui sole mi si dà, | e giù dell'anima negli angoli | l'asprigno vino se ne va. | Treman le piume come glicine | in ogni sogno ch'io non ho, | fioriscon gli occhi di vertigine | sovra una sponda che non so. | Una è la chiave del miracolo | e in fondo all'anima mi sta: | demone, è questo il verbo magico: | «Nel vino sta la verità!»
  • La luna come un folle demone | ride nell'etere lassù. | Del solo amico il volto livido | trema nel calice con me: | egli divien per l'aspro liquido | solo e divino come un re.

La violetta notturna

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  • M'addormento tremando e m'accoro, | e celando il mio lungo pensiero | contemplo la striscia dell'alba. | Trascorrono forse momenti | o forse trascorron millenni.
  • Pur io fui nel circolo un tempo | e toccai con le labbra le coppe, | chissà in quale scoglio fra i fiordi | dove non c'è più né terra né mare, | ma fra nivee penombre scintillano | le dorate corone soltanto | dei principi di Scandinavia.

Lenta la vita andava...

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  • Lenta la vita andava come una vecchia indovina, | bisbigliando in segreto parole dimenticate. | Sospiravo qualcosa, di qualcosa avevo pena | di qualche sogno ardeva la mia testa. | Fermandomi nel campo, ad un crocicchio, | contemplavo i boschi dentellati. | Ma anche qui, sotto il giogo d'un volere | altrui, pesanti parevano i cieli.
  • Primavera! Di che cosa ho pena? | Di quale sogno brucia la mia testa? | In segreto, come una vecchia indovina, | mi bisbiglia la vita parole dimenticate.

Libertà autunnale

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  • Eccola, la mia allegria che balla | e tintinna, perduta fra gli arbusti! | E lontano fa segni di richiamo | la tua manica a colori arabescata.
  • Mi metterò a cantare della mia fortuna, | di come ho sciupata la mia giovinezza nel bere... | Piangerò sul dolore dei tuoi campi, | mi invaghirò per sempre dei tuoi spazi... | Molti di noi – liberi, giovani, ben fatti – | muoiono senza amore... | Accoglici nelle tue sconfinate lontananze! | Come vivere e piangere senza di te?
  • Cuore, sii la mia guida. Sorridendo | tu la morte contempla. Solitario | diventerai, né più potrai soffrire | la vita ch'io conduco. | Nessun uomo | può reggere né l'odio né l'amore | che io sostengo. Ed io voglio guardare | sempre gli occhi degli uomini, baciare | le donne, bere vino e riempire | di furibondi desideri il cielo, | quando l'afa impedisce di sognare | al crepuscolo, e sciogliere i miei canti. | Ed ascoltare il vento nella quiete!
  • Sempre più spesso vo per la città. | Vedo spesso la morte e le sorrido | con un savio sorriso. Perché no? | Così voglio. Mi piace di sapere | che prima o poi verrà anche da me.
  • Anche nel sogno sei strana. | Non toccherò la tua veste. | Sonnecchio – e dietro il sopore è il mistero, | e nel mistero tu riposi, Rus'.
  • Dove indovini con fattucchiere | ammaliano le graminacee sui campi, | e le maghe trescano coi diavoli | nei vortici di neve delle strade. | Dove furiosa la tormenta avvolge | sino al tetto la fragile dimora.

La fidanzata di lillà. Lettere a Ljuba

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  • Io credo più che in qualsiasi altra cosa [...] nel fatto che Voi, a prescindere da ogni Vostra considerazione, rimanete per me la meta definitiva nella mia vita e nella mia morte. In questo, e in altro, Voi potete disporre di me completamente, tanto che io non esisterò mai, in questo e in altro, se Voi lo comanderete. (p. 22)
  • Io non posso assolutamente cambiare, nei Vostri confronti, sia nel caso di un Vostro rifiuto che di un Vostro assenso, e comunque, in un modo o nell'altro, io rimarrò con Voi per tutta la vita. (p. 23)
  • Forse ciò che mi è indispensabile dirVi sarà molto astratto, ma tuttavia dettato da ispirazione, e tutto ciò che è dettato da ispirazione Voi lo capirete. (p. 23)
  • Non esiste vicinanza interiore ai Vostri pensieri più grande che la mia reale lontananza da Voi. (p. 24)
  • Per quanto riguarda il fatto che io Vi frequenti, siete d'accordo che io continui? (p. 24)
  • Con un'aria stupida citavo versi. E la prima Vostra parola era sempre leggera, capricciosa: «Chi l'ha detto?», «Di chi sono?». Come se in ciò fosse il punto. (p. 25)
  • La mia vita intera, senza riserve, appartiene a Te, dal principio alla fine. Gioca con essa, se questo può essere per Te un Divertimento. Se io mai riuscirò a compiere qualcosa, a imprimere, lasciare su qualcosa una transitoria impronta di comete, tutto sarà Tuo. [...] Tu sei un Risonante, Enorme, Pieno Osanna del mio povero, misero, meschino cuore. (p. 27)
  • I miei pensieri sono tutti inermi, tutti smisurati, tutti beati, tutti di Te. (p. 28)
  • Ti sussurrerò tutti gli incantesimi, e il mio sussurro e la mia voce saranno il rumore dell'acqua e io troverò per Te parole e suoni santi. [...] in me non ci sono né parole né logica, ma un'unica campana assordante, un lieto annuncio, suoni d'amore. (p. 28)
  • Mia Cara, mio Cuore, ho paura di Te, ho paura che Tu mi dimentichi, perché tutto nel mondo si perde senza traccia [...]. E questo particolarmente nella vita di qui, nella vita tesa, brillante delle città, dove, ovunque, c'è una maschera senza pace e senza volto che ci attira. (p. 29)
  • E se Ti è difficile scrivere [...] allora non scrivere. Mi è infinitamente più lieve il sapere che Tu sei in tutto pienamente libera, mia Amata. (p. 29)
  • Primavera della mia anima [...] Non mi è necessario nient'altro che vederTi. (p. 31)
  • Una tale forza di fascino e di tutte le perfezioni, che quasi non sono unibili in una sola persona. Ma non per questo io Ti amo. Io Ti amo così, non per una ragione. (p. 31)
  • Tu alla quale io ho pensato senza fine [...]. Tu, Bellezza, di cui non ho conosciuto e visto mai nessuna più bella. [...] Come non vedere che, dopo di ciò, tutto il resto, tutto quello che mi circonda, non è che vuoto e impotenza? [...] Tuo, incantato. (p. 32)
  • Ti amo [...] come mai mi sono sognato di amare. (p. 33)
  • Ogni movimento, ogni sorriso entrano direttamente nella mia anima. (p. 34)
  • Ho l'ardire e l'insolenza di pensare così, e di sentire che con tutta la mia impotenza e mortale fragilità sono in grado di custodire meglio la Tua eterna giovinezza, più di tutti gli altri. (p. 37)
  • [Riguardo ai dubbi di Ljuba sulle astrattezze metafisiche di Aleksandr nei suoi confronti] La cosa principale che Ti chiedo è questa: se non puoi credere a questo, credi intanto al fatto che io ci credo. (p. 38)
  • [Sulla poesia] Solo la forma (definitiva) è limitata, custodita dalla ragione, ma il contenuto, e, cosa principale, la «sostanza», si abbevera sempre, immediatamente, al cuore. La volontà che si esprime nei versi è la volontà della passione e non la volontà della ragione. Io Ti amo come mai, certamente, ho amato. (p. 40)
  • Scusami, continuo a citare. Ma io ho bisogno di canzoni, quando non sei vicina a me, Tu che sei l'incarnata canzone del mio spirito. (p. 42)
  • Ciascuno (di coloro che cercano, si capisce) è destinato a passare attraverso le foreste di ciò che scompare e che è temporaneo, finché non raggiunge il vero e l'eterno. Ecco perché queste foreste sono attraenti, e sfugge il loro carattere temporaneo: perché si trova in esse il presentimento della futura autentica verità. (p. 43)
  • Perché pensi che «non mi piace» il fatto che Tu non faccia la pace con la mamma? [...] A me piace tutto, senza eccezioni. Se vuoi, se puoi, fa' la pace. (p. 44)
  • Dimmi soltanto una parola e io rinnegherò tutto me stesso. (p. 48)
  • Il misticismo non è «teoria», è una sensazione incessante e la constatazione, in se stessi e in tutto ciò che ci circonda, dei legami misteriosi, VIVI, indistruttibili di una persona con l'altra e, attraverso questo, con l'Ignoto. È una conoscenza religiosa e non un inconsapevole annebbiamento del cervello. [...] I mistici non sono assolutamente matti, non sono stupidi, sono soltanto persone che in modo particolarmente vivido e diretto sentono i legami con l'«Altro» e li sentono non soltanto al momento della morte, ma nel corso di tutta la vita. (p. 51)
  • Perché pensi sempre che il tono delle Tue lettere sia «idiota»? Io lo amo, come amo tutto quello che viene da Te. (p. 55)
  • Con rispetto e passione bacio le Tue piccole bianche mani e i Tuoi capelli. (p. 56)
  • Che cos'è per me tutto il resto (e ammettiamo pure che si tratti delle altre donne, poiché, secondo Te, è l'unica cosa che io posso rimpiangere?) quando so con tale certezza e irrefutabilità che non ho bisogno di nessun altro, eccetto Te? (p. 59)
  • [A proposito del padre di Ljuba, Dmitrij Mendeleev] In sua presenza non si ha paura, ma si è sempre inquieti. (p. 59)
  • Il poeta, per quanto profondamente si addentri nell'astratto, resta poeta nel suo profondo, cioè amante e folle. Quando il sentimento arriverà al suo apice, aprirà il cuore e non l'intelletto, e impugnerà la spada e non la penna, e si precipiterà alla finestra e getterà via tutti i rotoli dei versi e dei pensieri e fonderà la vita sull'amore e non sull'idea. (p. 64)
  • Scrivimi ogni cosa che Ti viene in mente, per me non c'è nulla di più caro di ciò che Ti riguarda. (p. 67)
  • Mi spaventa amare così. (p. 75)
  • Perché Ti giustifichi sempre? [...] Forse che desidero da Te qualcosa che Ti è estraneo? (p. 76)
  • Te ne sei andata e io sono rimasto nel deserto | piegato sulla sabbia ardente. | [...] Sì: Tu sei la materna Galilea | per me, Cristo non risorto. | E che un altro Ti accarezzi, | che moltiplichi le voci selvagge: | il Figlio dell'Uomo non sa | dove posare la sua testa. (p.100)
  • [A seguito di una lettera dove Ljuba parla apertamente di divorzio] Ricordati che, in primo luogo, considero volgari i discorsi sui diritti e gli obblighi e ti considero libera. In secondo luogo, odio l'uomo col quale tu stai ora. [...] Scrivimi apertamente tutto quello che è importante. Il peggio di tutto è non sapere. Qualsiasi cosa io sappia, è due volte meglio. (p. 109)
  • [Dalla poesia Il campo di Kulikovo] Lotta senza fine! La pace è solo un sogno | attraverso il sangue e la polvere... (p. 111)
  • La strada, e le sue svolte, sempre le stesse, impossibili, che opprimono l'anima, dove io sono sempre stato solo anche in comunione con l'Altissimo, sia quando tu non mi conoscevi, sia dopo che mi conoscesti, e di nuovo ora che mi dimentichi. (p. 113)
  • Forse, tutto ciò che ho scritto, pensato, di cui ho vissuto, di cui è tanto stanca l'anima, si riferiva a te. (p. 114)
  • L'altro ieri è stato da me Stanislavskij. È rimasto da me nove ore di fila e abbiamo parlato senza interruzione. È straordinario, come sempre, naturalmente. Però [...] forse perché in lui non c'è del mio e il mio non gli è necessario, è risultato che non ha capito niente del mio dramma, non l'ha assolutamente recepito, non ha provato nessun sentimento. Si è anche scusato, aveva paura di danneggiarmi e così via. (pp. 126-127)
  • Oggi piove, tutti gli alberi sono felici. (p. 130)

Un figlio degli anni terribili. Vita di Aleksandr Blok

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  • È sera. Strana sensazione. [...] Lei è apparsa realmente. E quella che era un essere vivente, diviene l'Anima universale, (come ho poi compreso), l'Anima separata, imprigionata, languente... Io non posso far altro che guardarla e benedirla... (p. 32)
  • In maggio ho tentato per la prima volta di darmi un'armatura interiore, per difendermi dalla sua severità con una sapienza segreta. [...] L'ho incontrata; il suo aspetto esteriore, in perfetta armonia col suo aspetto soprannatuale, ha fatto sì che si levasse in me una tempesta di felicità, e mi ha fatto comprendere che quell'ombra leggera ha condotto alla guarigione la mia anima malata e già prossima alla morte... (p. 33)
  • È venuta a me nella sua forma terrestre, in circostanze che non erano dovute al caso, e ha fatto nascere in me non solo un'esaltazione profetica, ma anche un amore umano. E forse gliel'ho manifestato, perché si è fatta di nuovo severa. (pp. 33-34)
  • E ora i tramonti sono pieni di visioni e mi portano lacrime, mi portano fuoco, mi portano canzoni. Qualcuno mi bisbiglia che un giorno ritornerò negli stessi luoghi, ma cambiato dalle terribili leggi del tempo, spento e con un canto ormai impersonale (vale a dire come un uomo, come un poeta, e non come un profeta in possesso di un mistero...) (p. 34)
  • [A proposito dei cambiamenti politici in corso e della rivoluzione del 1905] Noi non sapevamo ancora quel che ci aspettava, ma nei nostri cuori l'ago del sismografo oscillava. Ci sembrava di vivere sullo sfondo di un immenso incendio. (p. 58)
  • Mamma, sono a casa e ti scrivo perché, quando ci vediamo, noi non ci parliamo, ma discutiamo. In questi giorni sono molto teso, e vorrei esserlo ancora di più. I contatti con la gente non mi affaticano, ma risvegliano la mia personalità, che mi piace sempre di più. Mi trovo di continuo in uno stato di violenta esaltazione che m'impedisce di rendermi conto di quel che accade intorno a me. E in tali momenti tu mi guardi con aria interrogativa. Voglio tu sappia che in qualunque momento della mia vita io ti amo. Amo anche Franz e la zia. Anche Ljuba ti ama. Me lo dice spesso. Voglio che queste verità siano sempre evidenti perché un mucchio di cose vane finiranno per guastare la nostra vita. Inoltre, sento irrimediabilmente che i parenti, gli altri membri della famiglia, tutte le conoscenze, mi sono odiosi. Non possono e non devono sapere chi sono. Sono lontani da me quanto i vigili che guardano la gente passare... (p. 66)
  • Mamma, la vita mi pesa sempre di più. È tutto così freddo intorno a me. Si è formato il vuoto, come se tutti mi avessero abbandonato, come se nessuno mi amasse. Probabilmente nessuno mi ha mai amato. Vivo in un'isola deserta, fredda e vuota. (p. 76)
  • Mamma, vivere mi è penoso. La solitudine mi porta nelle bische; vagabondo qua e là, e bevo. Divento cattivo, la mia è una vita fallita. Ma chi di noi non ha fallito? (p. 76)
  • Si chiama Marfa; ha due lunghe trecce. In tre ore posso fare di una prostituta una donna tenera e appassionata. Tutto in lei è mistero. La sua anima semplice diviene un'arpa alla quale posso chiedere qualunque melodia. È così rara una vera passione; e tuttavia senza passione non può esserci che desiderio fisico. A volte la passione giunge come una tempesta. A volte, in una nube di tristezza. A volte, come una liberazione.[5] (p. 77)
  • Tutti questi uomini d'élite, colti, maligni, invecchiati nelle loro discussioni sul Cristo, con le loro mogli, le loro cognate vestite all'ultima moda, tutti questi filosofi e questi pope pieni di compiacimento sanno che dietro alle loro porte ci sono dei "poveri di spirito" che hanno bisogno non di parole, ma di azioni! (p. 79)
  • Nel frattempo il vento soffia. Sul marciapiede, ci sono ragazze che hanno freddo. C'è gente che ha fame. Viene giudicata e impiccata. E questa è la "reazione". È difficile, è odioso, è terribile vivere in Russia. (p. 80)
  • Questo brontolio che cresce, che sentiamo di anno in anno sempre più distintamente, è forse questo il suono misterioso. E se la troika, attorno alla quale tuona l'aria squarciata facendosi vento, ci venisse addosso? Ecco che, gettandoci verso il popolo, ci lanciamo sotto quella troika impazzita, certi di morire. Perché conosciamo così bene due sensazioni, la gioia totale e la disperazione totale? Ben presto non ve ne saranno più altre! Forse è perché intorno a noi regnano già le tenebre? In queste tenebre ci si sente soli, non si sente più nessuno intorno a sé. Si ha l'impressione, come in un incubo [...] che gli zoccoli pesanti stiano per calpestarci. (p. 81)
  • Ho paura della morte, ho paura della vita. Ciò che mi è più caro è il passato. Il santuario dell'anima mia è Ljuba, Ljuba mi aiuta. Come? Non so. Forse perché mi ha preso tutto... (p. 88)
  • Siamo tutti infelici. La nostra patria ci ha preparato un buon terreno per collere e bisticci. Viviamo ciascuno dietro una muraglia cinese, disprezzandoci l'un l'altro. I nostri soli veri nemici, il governo, i pope, la vodka, la monarchia, la polizia, nascondono il viso e ci spingono gli uni contro gli altri. Mi sforzerò di dimenticare tutto ciò che è "politica" russa, tutta la nostra incapacità, tutto questo pantano, per diventare un uomo e non una macchina cova-odio. (pp. 89-90)
  • Oh mia povera Russia, col tuo governo ridicolo e i tuoi intellettuali infantili! Ti disprezzerei profondamente se non fossi io stesso russo... Ciascuno di noi ha diritto, per qualche tempo, di tapparsi le orecchie, di dimenticare ciò che è russo per conoscere la sua seconda patria, l'Europa. (p. 90)
  • Il mio primo amore, se non ricordo male, fu seguito da un profondo disgusto per l'atto. (È impossible unirsi a una donna troppo bella; occorre amarne di meno belle). (p. 91)
  • In una parola, il risucchio del mondo inghiotte l'uomo; la sua personalità scompare o rimane mutilata, irriconoscibile. C'era un uomo, ora non c'è più [...] E dopo? Non so, non l'ho mai saputo. Posso soltanto dire che a questa concezione sono arrivato sotto l'influsso crescente del mio odio verso tutte le teorie del progresso. (pp. 95-96)
  • Non ho bisogno di niente, ho preso alla mia povera vita tutto ciò che ho potuto, e non ho la forza di prendere qualcosa al cielo. (p. 100)
  • [Da una lettera alla madre durante un viaggio in Europa] L'America s'infiltra ovunque, nei gusti e nel costume, e sembra un po' come un giovane boxeur che corteggi una vecchia aristocratica. Grande è la miseria delle classi operaie, e la noncuranza dell'élite è esattamente come nella "cara e maledetta patria". (p. 104)
  • "La vita è un mostro terribile, felice colui che può stendersi nella tomba", è così che parla l'Europa, nessuna gioia, nessuna occupazione può far tacere questa voce. È chiaro che la civiltà contemporanea è mostruosa e insensata. Lo si può vedere nei volti contratti dei ricchi, così come in quelli dei poveri, nelle corse di automobili, in tutta questa vita che non ha un senso profondo. (p. 104)
  • Il mio paese non ha tardato a mostrarmi il suo volto divino e bestiale... Mi sveglio all'alba. Guardo alla finestra; piove. Dei campi fangosi, dei cespugli stenti, su un ronzino una guardia di frontiera col fucile in spalla. So bene dove sono: è lei, la mia infelice Russia, coperta dagli sputi dei funzionari, la mia patria sudicia, bavosa, ebete, oggetto di scherno in tutto il mondo... Buongiorno, mammina! (p. 105)
  • [Da una lettera a Belyj che lo incita a risuscitare il simbolismo insieme a Ivanov] In questo momento mi sento solo, e soprattutto mi fa paura l'idea di un trio [...]. D'altra parte, diverse cose mi fanno paura. Sono molto solo. (p. 118)
  • Il sangue mi si gela per la vergogna e la disperazione. Non c'è altro che vuoto, malvagità, cecità, miseria. Solo una totale compassione può portare un cambiamento. I nostri appartamenti borghesi, con le loro porte ben chiuse, sono ancor peggio. Reagisco in questo modo perché la mia coscienza non è tranquilla... So cosa devo fare: dare tutti i miei soldi, chiedere perdono a tutti, distribuire i miei libri, i miei abiti... Ma non voglio, non voglio... (p. 120)
  • Com'è triste, fredda, giusta e nello stesso tempo toccante, la critica delle mie poesie fatta da Brjusov. Tra le righe si può leggere: "Beh, allora, amico mio, ti annoi? Vuoi prendere l'uccello azzurro per la coda?" Sì, mi annoio. È possibile che la vita debba passare così? Leggere, scrivere, ricevere delle lettere, scriverne altre, correggere bozze? No, è meglio "passeggiare nel bosco con un bastone[6]". (p. 120)
  • Al di sopra degli uomini tristi, al di sopra di una Russia triste e cenciosa, Vjačeslav Ivanov fa del chiasso con un foglio di latta... Dobbiamo mostrare alla gente il nostro vero volto, un volto triste, umano, e non la maschera di una scuola letteraria inesistente. (p. 121)
  • So cosa bisogna fare. Ma è ancora troppo presto per lasciare questo mondo così bello e così terribile. (p. 122)
  • Avrei tanto amato vivere, se avessi saputo come. (pp. 122-123)
  • Mi ha anche domandato se mi piacerebbe rivivere gli istanti in cui l'arte mi ha dischiuso l'infinito. No, gli ho risposto, anche se fosse possibile, non potrei desiderarlo. Ciò che è ai confini dell'arte non può essere amato. Gli ho detto che ho conosciuto cose più grandi dell'arte, e cioè non l'infinito, ma una Fine, non i mondi, ma l'Universo. E questo io l'ho perduto probabilmente per sempre; ho rinnegato, ho tradito, sono caduto molto in basso. Ora non sono altro che un artista e vivo non per ciò che dona alla vita la sua pienezza, ma per ciò che la rende nera, odiosa, ripugnante. (p. 126)
  • Ben presto non faranno più finta di amare l'arte. La religione e l'arte moriranno. Andiamo verso l'ecatombe. Siamo disprezzati, tutti, e in modo irrimediabile. La persecuzione più terribile è l'indifferenza. (p. 140)
  • Una guerra non è mai grande. È un'enorme fabbrica in marcia; ecco il suo senso profondo. (p. 140)
  • [Sulla scelta fra Trockij e Lenin] Io non posso scegliere. Ogni scelta è un atto di volontà. Dovrei per questo rivolgermi al cielo, e il cielo, per me, oggi è vuoto... non potrei scegliere. Non c'è di che esser fieri; non ci capisco nulla! (p. 147)
  • Cos'è la guerra? [...] Sono gli acquitrini, il sangue, la noia. È difficile dire cosa sia più nauseabondo: il sangue che cola o la noia che domina. Ma è questo che viene chiamato "la grande guerra", la "guerra per la liberazione dei popoli oppressi". No, non è così che si liberano i popoli! (p. 152)

Citazioni su Aleksandr Blok

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  • Ciò che appassiona il poeta, lo esalta, lo travolge è l'idea dell'Amore. Ljubov' è Idea, manifestazione dell'Assoluto, immagine dell'Anima del Mondo, simbolo dell'Eterno Femminino. [...] Aleksandr ha [...] la foga mistica, di un ventenne delirante d'amore. Ljubov' è travolta e insieme spaventata: le astratte litanie per lei, Sposa Celeste e Fidanzata di Cristo la paralizzano. E vorrebbe meno adorazione per la sua Anima Luminosa e più baci sulle sue labbra, meno proiezioni angelicate e più desiderio del suo corpo. E ha paura di non reggere allo slancio esaltato di Aleksandr. (Eridiano Bazzarelli)
  • Già Blok aveva intravisto nel progresso della civiltà, nell'idolatria della macchina e del ferro la minaccia di una America russa, ove l'età «ferrosa» avrebbe soffocato la dolce Russia di legno, cara a Serghej. (Giovanni Arpino)
  • Nella sua lunga prefettizia, la cravatta floscia annodata con ricercata noncuranza, in un nimbo di capelli oro cenere, era romanticamente bello allora, nel sei-sette. Lento, si accostava ad un tavolo con le candele, guardava all'intorno con occhi di pietra e lui stesso impetrava, fino a quando il silenzio non avesse raggiunto l'assenza di suoni. E attaccava, tenendo la strofa con tormentosa maestrìa e rallentando appena appena nelle rime. Egli ammaliava con la propria dizione, e quando finiva una lirica, senza mutare la voce, di scatto, pareva sempre che quella delizia fosse finita troppo presto e che ancora si dovesse ascoltare. (Sergej Mitrofanovič Gorodeckij)
  • Blok era il solo che esprimesse i nostri pensieri segreti.
  • Capivamo che Blok aveva perso la strada; avanzava a tentoni, là dove noi costruivamo magnifici schemi. Lui non voleva i nostri schemi. Sapeva che "sarebbe stata la notte", che le "albe" non esistevano più se non nei nostri animi. L'alba dello spirito, l'alba in senso oggettivo, non la vedeva più.
  • A partire da quella data e per tre anni Blok si abbandona senza riserve al misticismo, all'amore, alla poesia. Il poeta sboccia, prende coscienza della propria arte; la sua opera acquista forza, pienezza, bellezza; nascono i magnifici Versi della Bellissima Dama. E per tre anni la poesia russa conoscerà una purezza, una elevatezza, un fascino ben di rado eguagliati. [...] Blok portava in sé una tristezza acuta, un infinito sconforto, l'ansiosa sensazione che i giorni felici si allontanassero, sfumassero, senza mai scomparire completamente. Gli anni 1903 – 1904, agli inizi della sua vita con Ljuba, quando la dea severa giunse a lui, furono per Blok i più felici. E tuttavia, fino a che punto Ljuba fu la sua donna? Il solo dubbio – poiché il dubbio esiste – che quello di Blok sia stato un matrimonio bianco getta una strana luce su questo periodo "felice" della sua vita.
  • Blok ha diciassette anni; è un ragazzo bello, pensoso, silenzioso, che declama in stile "vecchia scuola" poesie di Majakov e di Fet, che sogna di poter recitare Amleto su un vero palcoscenico e che [...] è ancora infantile ma già un po' dandy. [...] Simbolista nelle sue prime poesie [...] dopo il 1910 Blok non può più essere considerato tale. Perde a poco a poco la purezza giovanile, lo charme misterioso, il misticismo; non cerca più nelle cose un'affinità con la propria anima.
  • Mai poeta ha raggiunto una tale profondità di pensiero, una tale perfezione formale, un tale accento di sincerità. La sua natura nobile e retta, il suo genio fecondo, la sua mente avida di verità hanno creato dei capolavori. Orrore della vita e amore della vita, disgusto per gli esseri umani e attenzione verso di essi. Vanità dell'arte e necessità dell'arte: in lui tutto si mescola, si lacera, e i suoi tormenti sono profondi. C'è un veleno nella magia di questi versi. [...] Il poeta fa un primo passo verso la chiarezza, scopre la vita reale e affonda in un pessimismo totale.
  • «Povero cavaliere che non levava mai l'elmo davanti alla sua dama[7]», monaco amoroso nell'ombra di una chiesa, Blok è ora molto più vicino ai romantici inglesi e tedeschi, ai racconti russi, che alla poesia moderna d'Occidente. La forma è originale, il verso melodioso e flessibile si adatta perfettamente alla sensibilità sfumata del poeta. [...] Nei suoi ricordi su Blok, la Gippius dice che c'era in lui qualcosa di indifeso.
  • Blok invece mi apprezzò subito... Eh, gli volevo bene ad Aleksandr Aleksandrovič! Ne ero innamorato addirittura.
  • È forse possibile riferirsi alla memoria di Blok senza devozione? Io, Esenin, ho per essa una vera devozione.
  • Guardando Blok cominciai a sudare, perché era il primo poeta vivo che vedevo.
  • Fu il bianco cigno della Russia.
  • La voce di Blok fu un a solo nel coro dei Simbolisti. Era di loro il più puro, il più bello e il più giovane: aveva una fede più grande, e per questo fu il primo a smarrirla.
  • La grandezza poetica di Blok fu d'essere la Cassandra di quella tempesta, e di morire, come Cassandra, vittima del proprio presagio.
  • [Sui versi della Bellissima Dama] I vaporosi paesaggi di queste poesie, soffusi di trasognata tenerezza, somigliano a quelli dei quadri sacri di Nesterov, a cui Blok sembra attingere anche le frequenti metafore di vita monastica.
  • La materia di questi suoi versi è un fitto tessuto di nebbia, da cui si profilano, sotto improvvisi bagliori di gelida luce, evanescenti scenari boreali, sconfinate pianure seleniche, mute distese sonnolente, pervase di languidezza, di morbida malinconia. Il mondo è intravisto come attraverso un diffusore che appanni e renda fluttuanti e senza contorni paesaggi e figure. [...] La poesia di Blok «registra», come una sottilissima membrana, trame impalpabili di confusi presagi, echi di arcaichi fruscii, palpiti di abissali lontananze.
  • La poesia blokiana si sviluppa dunque come un romanzo lirico, incentrato sulla figura reale del poeta. Un romanzo folto di contrasti e di antitesi, il cui eroe si trasforma da cavaliere in pagliaccio, da paladino teologico in cliente di bettole, pencolando fra il misticismo e la perdizione.
  1. a b Citato in Aleksandr Blok, Taccuini, Editori Riuniti, 1984.
  2. a b c Citato in Angelo Maria Ripellino, Studio introduttivo, in Aleksandr Blok, Poesie, Guanda, 2000.
  3. Dal Diario, 1918. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  4. Citato in Ettore Lo Gatto, Russi in Italia. Dal secolo XVII ad oggi, p. 267[1] [2].
  5. Frammento tratto dai Taccuini intimi.
  6. Canzone popolare.
  7. Verso di Aleksandr Sergeevič Puškin.

Bibliografia

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  • Aleksandr Blok, Taccuini, traduzione di Emanuela Guercetti, Editori Riuniti, 1984.
  • Aleksandr Blok, Intelligencija e rivoluzione, traduzione di M. Olsufieva e O. Michaelles, Adelphi, Milano 1978.
  • Aleksandr Blok, La fidanzata di lillà. Lettere a Ljuba, a cura di Eridiano Bazzarelli, Editori Riuniti, 1981.
  • Aleksandr Blok, Poesie, traduzione di Angelo Maria Ripellino, Guanda, 2000.

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