Valerio Bianchini

allenatore di pallacanestro italiano

Valerio Bianchini (1943 – vivente), allenatore di pallacanestro italiano.

Valerio Bianchini (2014)

Citazioni di Valerio Bianchini

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  Citazioni in ordine temporale.

  • Il basket è un gioco complesso che ha bisogno di tempo. Fino a qualche tempo fa per costruire una squadra ci volevano tre anni o due, adesso un allenatore dovrebbe farlo in tre mesi. Va bene che molto è cambiato ma insomma è un pò troppo. D'altronde [...] il basket è in mano ai procuratori che devono muovere il prodotto [...] che hanno in magazzino altrimenti la merce si deteriora. [...] L'esempio eclatante del mio ragionamento è l'Olimpia Milano: ogni anno ci mette mesi a trovare l'equilibrio e il sistema. Nel frattempo ha rimediato figuracce in Eurolega, in Coppa Italia talvolta e qualche brutta sconfitta in campionato. Poi a fine stagione ha trovato il suo gioco ed ha vinto lo scudetto.[1]
  • [...] manca sempre di più il gioco di squadra. In attacco ed anche in difesa. Con gli intimidatori e stoppatori che si vedono in giro in difesa in qualche modo si rimedia ma in attacco... Il basket è un gioco [...] difficile, complesso, basato sull'uno contro uno che però è la parte finale di uno schema, di un gioco di squadre che coinvolge tutti. Oggi si vede una circolazione di palla farraginosa che spesso, molto, troppo spesso si conclude con il tiro da tre, o con un tiro che arriva perché sta scadendo il tempo dei 24 secondi. In Italia ancora ancora ti può andar bene ma è in campo internazionale che facciamo male.[1]
  • Colgo l'occasione per rassicurare i giovani allenatori: ho preso anche io molti calci nel sedere in carriera. Non deprimetevi se vi accadrà. Fa parte del mestiere.[2]

Marco Bonfiglio, infobetting.com, 18 ottobre 2016.

  • [...] giova ricordare che l'allenatore, anche un super [...], resta sempre la ciliegina sulla torta. E la torta la devono preparare i cuochi.
  • [«Come si dovrebbero riformare le categorie minori per fare in modo che i giovani italiani arrivino preparati in serie A?»] Il basket cosiddetto dilettantistico dovrebbe strutturarsi su due rami principali: uno ludico e libero a tutti con lo scopo di organizzare il basket amatoriale. Un secondo ramo invece dovrebbe essere formativo dei quadri che finiranno poi nel basket professionistico. I ragazzi che escono dai campionati giovanili devono continuare la loro formazione in campionati specifici di maturazione.
  • I grandi successi del basket sono venuti dal binomio allenatore-general manager: Dan Peterson con Tony Cappellari, Bianchini con Morbelli, Tanjevic con Sarti. Ora questo modello non funziona più. I proprietari cercano non la competenza ma la fedeltà. Inoltre i nuovi general manager sono più occupati a fare gli scout che non i direttori, data la continua girandola di giocatori che stravolge le squadre.

Intervista di Antonio Giuliano, avvenire.it, 30 settembre 2017.

  • Per capire la grandezza del basket, dico sempre ai ragazzi nelle scuole, guardate la vostra mano. Le cinque dita sono come i cinque giocatori in campo. Ogni dito è diverso dall'altro perché se fossero tutti uguali non riuscireste a fare niente. Pensate alla differenza tra pollice e mignolo: sembrano due famiglie diverse ma il pollice è contrapposto perché consente di afferrare le cose. [...] Singolarmente le vostre dita sono fragili, ma se si chiudono insieme possono avere la potenza di un pugno: questo è il segreto della squadra, mettere insieme i talenti di ognuno e con uno spirito comune andare a vincere la partita.
  • Quando la palla arriva a un ragazzino timido che non vorrebbe prendere l'iniziativa deve farlo per forza perché i suoi compagni si aspettano che lui faccia un tiro. E viceversa se arriva a uno un po' egoista che vuol fare tutto da solo se è marcato non può tirare deve cercare per forza il compagno libero.
  • Oggi l'Nba non mi piace, c'è troppo divismo e culto dei singoli super atleti. Il vero basket è rimasto quello di "squadra" praticato nei college dove peraltro è nato questo sport nel 1891.
  • La vittoria è la conseguenza dell'eccellenza dell'allenamento quotidiano: se lavori bene poi puoi anche perdere tre finali, la quarta la vinci.

Intervista di Alberto Facchinetti, ilfattoquotidiano.it, 7 maggio 2023.

  • [...] il basket mi affascinò da subito. Era straordinario andare al campo, imparare qualcosa da un allenatore e poi provare a metterlo in pratica in partita. Nacque così questa passione per la pallacanestro e per l'insegnamento.
  • Il primo stipendio da allenatore capo fu con una squadra femminile, Villa Santa, vicina ad Arcore, in serie B. Parallelamente veniva disputato un torneo tra gli istituti religiosi. Nelle partite della federazione le ragazze scendevano in campo con body molto più succinti di adesso, che invece sono inguardabili. Durante l'altro torneo, quello religioso, le ragazze vestivano camicie ampie e delle gonne lunghissime. Erano gli anni Sessanta, non c'era ancora la libertà sessuale: per loro il basket era uno sfogo.
  • Taurisano fu un genio dei fondamentali, anche per il modo che aveva di proporli ai ragazzi. Imparai l’essenza del gioco, soprattutto dal punto di vista individuale del giocatore.
  • A Roma si praticava moltissimo basket nel dopoguerra con gli americani, ma non aveva mai vinto lo scudetto. Con l'istituto di preti rimaneva miracolosamente in A grazie agli ex alunni o poco altro. [«Come si è arrivati a questa impresa?»] Il basket in Italia ha sempre seguito lo sviluppo industriale del Paese, sempre legato tanto alle sponsorizzazioni. La carne in scatola Simmenthal e i frigoriferi Ignis con il primo boom economico. La Sinudyne quando gli italiani scoprirono la tv, ma poi il basket è finito nelle banche... Quando intervenne il Banco di Roma, ci furono i mezzi per fare la squadra.
  • [«Nel 1988 lo scudetto di Pesaro»] Una grande scommessa. Gracis, Magnifico, Costa e Vecchiato li avevo già avuti in Nazionale. Attorno a quel nucleo dovevo trovare gli stranieri giusti... C'erano Aza Petrovic e l'ex Nba Ballard ma non mi convincevano a pieno. Così nel girone di ritorno li ho cambiati, fu un azzardo, la società non era convinta ma Daye e Cook migliorarono la squadra. Mi ricordo che a Caserta in riscaldamento un tifoso mi urlò: "Bianchini hai cambiato più neri tu di Moana Pozzi!".

Da un'intervista a la Repubblica; citato in Andrea Riva, bolognasportnews.it, 22 luglio 2023.

  • La sua aura è l'emotività. Pozzecco è irrefrenabile, compartecipa e condivide. Si agita molto, piace alla gente. Bene, bello, può funzionare qualche volta, ma un ct ha una figura diversa. Deve dare luce a tutti gli allenatori, insegnare, fare scuola [...]
  • I playmaker sono spariti, devono per forza segnare [...]. Nel '98 ho vinto una Coppa Italia con la Fortitudo perché sono riuscito a equilibrare il talento di due immensi egoisti, Myers e Wilkins, che non ridavano mai indietro la palla, con il lavoro di smistamento del play.
  • Vivevamo nella bassa bergamasca [...], poi ci siamo trasferiti a Milano con mia madre che mi ha educato ai libri. Leggevo sempre, non uscivo mai di casa, allora lei mi trascinò all'oratorio e lì trovai i canestri, il sogno americano, i Platters. Mio zio lavorava in un negozio di moda dove Bongoncelli, padrino del basket moderno in Italia e dell'Olimpia, portava i suoi giocatori a vestirsi. Così iniziai a frequentare il Palalido, mi mettevo seduto dietro alla panchina di Rubini e appena chiamava il timeout io cercavo di immaginare i cambi che avrebbe fatto anche se per lui il basket era correre, tirare, difendere.
  • Dan Peterson era quello con più glamour e valore. Rappresentava Milano e la sua task force. Ci siamo confrontati tante volte, la sua difesa laser con Mike D'Antoni metteva paura. Batterlo è stato un lavoro complesso [...]

Intervista di Franco Bertini, ilrestodelcarlino.it, 28 settembre 2023.

  • [«Da quando si è così disamorato del basket?»] [...] È stata l'invenzione del tiro da tre punti, i giocatori non hanno pensato più a migliorare la tecnica, la Nba ha dato il cattivo esempio e noi, come al solito, l'abbiamo imitata nel modo peggiore.
  • Il modo di attaccare non è più nelle mani dell'allenatore, forse la difesa ancora sì, ma ormai sono dei funzionari. [«Vorrebbe dire che tutte le squadre giocano allo stesso modo?»] Certo, questo è un basket da copia e incolla, siccome non puoi fare programmi a lungo termine e devi ricominciare sempre da capo tanto vale giocare tutti allo stessa maniera. [...] Negli anni Sessanta c'era una serie di allenatori di grande personalità e potevi godere della loro inventiva, c'era già il Simmenthal Milano che comandava, ma c'erano un sacco di allenatori intelligenti che lavoravano sul proprio.
  • Siamo tornati alla mezza ruota in attacco, ad un uso anomalo del pick and roll, col play che si limita a dar via la palla, con un gran rigiro per poi finire con un tiro da tre dall'angolo. Mi dica lei se questo è basket.

Intervista di Stefano Boldrini, ilfattoquotidiano.it, 29 marzo 2024.

  • [Sugli anni alla Virtus Roma] Mi piacque l'idea di affrontare una nuova esperienza di lavoro a Roma. Il basket fino a quel momento era vissuto nel quadrilatero Milano, Varese, Cantù, Bologna. Il progetto del Banco era quello di sfidare il Nord e io ho sempre amato le sfide. Roma in quegli anni era una città che stava uscendo dalle gabbie della capitale ministeriale e polverosa. L'economia era in crescita grazie al digitale. La cultura era in fermento grazie alle estati di cinema e spettacolo promosse da Renato Nicolini. C'era un'aria diversa, spensierata. Le mosse decisive furono tre. La prima fu quella di giocare nel Palasport, capace di garantire quindicimila spettatori. La seconda fu quella di puntare sul blocco dei romani, a cominciare da Enrico Gilardi. La terza fu quella di portare a Roma un talento come Larry Wright.
  • Larry [Wright] era stato cresciuto dalla nonna. Un giorno, ancora bambino, andò a giocare a basket, non rispettando il compito abituale di lavare i piatti. Li nascose sotto il lavello. Al rientro a casa, trovò la nonna sulla soglia. Gli disse: "Ragazzo, o diventi un campione di basket, o sarai condannato a lavare i piatti per il resto della tua vita". Quelle parole Wright non le ha mai dimenticate. Dietro la sua voglia feroce di emergere e di vincere, ci fu la sferzata della nonna.
  • [Sulla finale della FIBA European Champions Cup 1983-1984] Pensai ai cinquemila romani che ci avevano seguito, a quello che questa squadra aveva realizzato in meno di due anni. Roma era diventata anche la capitale del basket.

Da La Gazzetta dello Sport; citato in pianetabasket.com, 31 marzo 2024.

[Sulla finale della FIBA European Champions Cup 1983-1984]

  • Il Banco di Roma alloggiava all'Hilton di Ginevra e la mattina della finale il nostro preparatore atletico, vede nel negozio dell'albergo alcune copie di un quotidiano italiano. Ne scorre le pagine e trova in grande risalto, un'intervista a Larry Wright, nume tutelare del Banco, nella quale [...] lancia accuse a tutto spiano contro squadra e società. La cosa, oltre a sbalordire staff e dirigenti, poteva scioccare i giocatori che si apprestavano a combattere contro i [...] blaugrana di San Epifanio. Ci fossero stati i social come oggi, forse saremmo naufragati in un mare di polemiche, invece fu semplice intercettare tutte le copie di quel quotidiano facendole sparire dal negozio e fingere che nulla fosse accaduto.
  • All'intervallo eravamo sotto di 10 punti, in balia del Barcellona. Sugli spalti i tifosi blaugrana già festeggiavano mentre i nostri, giunti da Roma a Ginevra con ogni mezzo, giacevano sconfortati sugli spalti come i naufraghi sulla zattera della Medusa. Accadde che i giocatori di entrambe le squadre si infilarono nel corridoio verso gli spogliatoi, quando Mike Davis del Barcellona, affiancando Larry, ebbe la pessima idea di dileggiare Wright dicendogli: «Hey Larry, questa sera starai sciutto perché il premio lo becco io!». Larry cominciò col lanciare fulmini dagli occhi e finì tuonando negli spogliatoi frasi a noi incomprensibili nel suo slang della Louisiana. Era la sua ribellione al pessimo andamento del primo tempo. I compagni ne furono galvanizzati, Larry tornò imprendibile e tutti diedero un grande contributo alla vittoria finale degli "underdog" romani.
  • Quella vittoria successiva allo scudetto del 1983 rese popolare a Roma un sport che fino ad allora era considerato elitario e quella popolarità si sarebbe ogni volta rinnovata nelle successive edizioni del basket romano [...]
  1. a b Da Eduardo Lubrano, Interviste 2018: Valerio Bianchini ad All-Around: "Se potessi ucciderei l'Erode dei giovani innocenti che vogliono giocare a pallacanestro", all-around.net, 11 settembre 2018.
  2. Da facebook.com; citato in Bianchini day: «Dopo i calci nel sedere», laprovinciadicomo.it, 15 dicembre 2023.

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