Valerij Panjuškin
giornalista russo
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Valerij Valer'evič Panjuškin (1969 — vivente), giornalista e scrittore russo.
- [Sulla seconda guerra cecena] A me non importa sapere contro chi e perché la si fa. A me importa che la guerra finisca.[1]
Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, repubblica.it, 4 aprile 2022.
- Come si sente un mostro? Ora lo so. Io mi sento un mostro, e non perché la gente mi scansi appena mi sente parlare. Sono io che faccio un balzo indietro, quando la mattina mi avvicino allo specchio con il rasoio in mano. È un sillogismo elementare. I russi hanno iniziato una guerra che solo dei mostri possono scatenare. Io sono russo. Dunque, sono un mostro.
- Dove ho sbagliato? Tre anni fa sono andato in vacanza in Ingria, invece di pubblicare per la millesima volta un articolo ispirato a sentimenti umanitari? Ho scritto testi sui bisogni dei bambini nelle cliniche oncologiche pubbliche invece di gridare contro la sproporzione fra le spese militari russe e quelle per la sanità? Ho pagato le tasse servite a fabbricare le armi che oggi uccidono i civili a Mariupol', Charkiv e Kiev? Ho portato a spasso i miei figli invece di partecipare una volta di più a una manifestazione di protesta nel centro di Mosca? Dove ho sbagliato? Non lo so.
- È una sensazione infantile: spiegatemi di che cosa esattamente sono colpevole e come posso espiare la mia colpa. Insomma, voglio comparire davanti a una corte internazionale, poiché la determinazione della colpa e della pena mi permetterebbe infine di liberarmi dai sentimenti che ogni istante mi rodono dentro, di dolore per i morti e i profughi, di vergogna nei loro confronti.
Intervista di Guido Caldiron sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, ilmanifesto.it, 25 marzo 2023.
- Capivo molto bene che le cose stavano andando sempre peggio, ma, fino all'ultimo, fino all'invasione dell'Ucraina pensavo che qualcosa si potesse ancora cambiare, potessimo ancora conquistare qualche libertà, malgrado la repressione, tanta gente in prigione, il clima che si faceva sempre più duro. Poi, il 24 febbraio dello scorso anno ho percepito chiaramente che l'ultima via di uscita da questa situazione si era ormai chiusa. A quel punto ho capito che io e la mia famiglia ce ne dovevamo andare. Volevo che i miei tre bambini crescessero in un mondo aperto. Sono nato nel 1969 e ricordo bene com'era chiusa la realtà nella quale sono diventato grande io.
- Fin dall'inizio dell'invasione stavo malissimo, non potevo credere a quanto accadeva. In Ucraina ho molti amici e sia la mia prima moglie che quella attuale sono ucraine, perciò mi sembrava impossibile. Allora ho cominciato a telefonare alle redazioni dei giornali per cui ho lavorato in passato per capire se potevo farmi mandare come inviato in Ucraina. Ma mi hanno risposto che sono troppo vecchio per stare in prima linea, dove si deve correre, scattare quando succede qualcosa. Eppure sentivo che non potevo assistere in modo passivo a tutto ciò: dovevo fare qualcosa per fermare questa guerra.
- [...] credo che questa storia non si sia aperta con la guerra in Cecenia, ma molto prima, in Afghanistan e, andando ancor più a ritroso nel tempo, a Praga e a Budapest quando sono arrivati i carri armati russi. Ancora oggi non mi so spiegare perché la Russia sia intervenuta in Afghanistan. Quanto alle guerre cecene, durante la prima ero ancora uno studente, in quel periodo studiavo a Firenze, mentre la seconda la ricordo bene e sì, assomiglia molto a quella che si sta combattendo in Ucraina. Sul fondo credo che per la Russia si tratti sempre dello stesso motivo, in particolare dagli anni '90, dopo la fine dell'Urss, si vuole riaffermare in qualche modo la grandezza perduta del paese. A me e a molti altri russi non importa assolutamente nulla di tutto questo, ma ad esempio i militari non parlano d'altro da sempre.
- La Russia è enorme, da Mosca a Vladivostok ci vogliono otto ore di aereo, ma la lingua è una sola, non esistono dialetti e lo stesso o quasi si può dire per la cucina, a parte che nel Caucaso o nel Tatarstan non esistono piatti regionali, quando in Italia basta fare cento chilometri e cambia tutto. Diciamo che i russi non sanno vivere insieme essendo diversi: per vivere insieme dobbiamo essere almeno per molti aspetti uguali. Così, gli ucraini che sono diversi diventano implicitamente anche nemici.
- Da noi ora c'è un nuovo modo di dire che illustra bene la situazione: «Ho chiamato la mamma, ma ho parlato con la tv». Ed è davvero così. Parlo con mio padre e lui mi risponde con le parole della propaganda, quasi non mi riconoscesse neppure. E non si tratta di un caso isolato.
- Ritengo che Putin perderà la guerra in Ucraina e che una volta accaduto la Russia possa avviarsi verso una stagione di guerra civile. Nel paese esiste già un esercito privato, la Wagner di Prigozhin, e uno locale, quello ceceno di Kadyrov, e dopo che con la sconfitta molti in Russia capiranno che l'idea di far rinascere l'Urss non funziona, simili forze si moltiplicheranno, vedremo apparire l'armata di Gazprom e quella di Rosneft: tutti contro tutti e in più alcuni dei contendenti potranno disporre dell'arma atomica. Un vero disastro che neppure riesco ad immaginare. Però è certo che finché ci saranno Putin e il suo regime non farò ritorno nel mio paese.
Intervista di Marta Allevato sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, agi.it, 28 marzo 2023.
- [Sull'opposizione a Vladimir Putin in Russia] So che nessuno in Europa ha il dovere di capire che ci sono russi diversi da quelli che sostengono il Cremlino, ma esistono, ci sono ed è importante non dimenticarli, affinché questa diffidenza nei nostri confronti non si trasformi in un'arma nelle mani della propaganda anti-occidentale.
- A Riga, abbiamo trovato i lettoni molto solidali, ma con le autorità la situazione è difficile. [...] Hanno paura dei russi, pensano che siano tutte spie e ogni documento o pratica richiede mesi di lavorazione. Credo, però, sia comprensibile. Dopo 50 anni di occupazione sovietica, è molto difficile credere che noi russi che arriviamo oggi nel loro Paese non siamo come quelli di allora.
- Ho smesso di pensare che i russi che appoggiano la guerra siano semplicemente obnubilati [...], credo invece che la maggior parte delle persone in Russia non sia ancora interessata a sentire la verità, perché metterebbe in crisi tutto il sistema di valori e riferimenti, su cui si regge la nostra società post-sovietica.
- L'uomo post-sovietico non sa vivere in modo indipendente, deve sentirsi parte di un insieme, esprimere fiducia in qualcosa di più grande di cui fare parte, come la patria, l'antifascismo.
- Tutti, compreso mio padre, vogliono pensare che questa guerra sia giusta, ma sono sicuro che, come successe con l'Afghanistan negli Anni '80, tra due anni la maggior parte di loro capirà che non ha senso combattere contro l'Ucraina.
- [...] penso che l'Occidente debba continuare a sostenere l'Ucraina, perché non si può negoziare con un bugiardo assoluto come Putin.
Note
modifica- ↑ Da Il prezzo di una domanda, Internazionale, n. 556, 10 settembre 2004, p. 31.
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