Citazioni belle ma non (ancora) enciclopediche (cfr. anche Wikipedia)

Citazioni modifica

  • [Su Paolo Mantovani] Aveva le sue cabale. Per un certo periodo adoperava, anzi adoperavamo tutti un certo bagno schiuma. Portava buono. La squadra perse qualche partita e allora la domenica mattina smettemmo di lavarci...[1]
  • Belin, termine genovese, da bélo, 'budello', è inutile andarlo a cercare nel libro dei santi.[2]
  • Come sempre, Ortolani si conferma un autore dal background cinematografico ricco e affascinate, da cui attinge a piene mani per restituircene i personaggi dopo un inimitabile restyling.[3]
  • La mattina del 13 febbraio 2000, i quotidiani domenicali uscirono con la notizia che Charles M. Schulz era morto nel sonno, di complicazioni dovute al cancro al colon, poche ora prima che l'ultima tavola a fumetti fosse pubblicata in tutto il mondo. In fondo, la sua vita era inseparabilmente legata alla sua arte. Nel momento in cui aveva cessato di essere un fumettista, aveva cessato di vivere.[4]
  • Leo racconta storie comiche, a volte irriverenti e nello stesso tempo di una grande profondità: storie capaci di toccare i grandi temi del bene e del male, sino ad un confronto diretto col messaggio evangelico, come nella saga dei Sacrificabili che gli è valsa il premio Fede a strisce.[5]
  • No, non è vero.
    Non è vero che devi sempre pensarci.
    Non è vero che il ragionamento ti risolverà ogni dubbio o paura.
    Non è vero. Anzi.
    Alcune delle decisioni più importanti della mia vita le ho prese bloccando il flusso di un inarrestabile turbinio di pensieri che aveva il solo effetto di imbrigliarmi in una rete di inestricabili paure.
    Ho chiuso gli occhi un istante.
    Ho sentito un punto qui, sospeso tra lo stomaco e la gola.
    Ho tirato un bel respiro, ho aperto gli occhi, ho mosso il primo passo.
    E mi sono lasciato andare, con fiducia, all'inesorabile flusso di questo nostro Divenire.

    Talvolta la risposta è nel bloccare ogni domanda.
    Abbandonarsi a qualcosa di più grande.
    Aver fiducia nel flusso della vita.
    Semplicemente, sentire.

    Spiro ergo sum.
    Respiro, quindi sono.[6]
  • [...] per noi liguri in esilio, Genova è – superfluo dirlo – il mare e il suo odore che arriva fino ai monti, quando la tramontana ripulisce l'aria. O il lépego che ti si attacca addosso come una camicia umida, quando l'aria si incolla allo scirocco.
    Genova è il suo dialetto arabo, la grazia agra delle bagasce che ne adornano i vicoli. È le sue canzoni – di emigranti che rimpiangono e se possono ritornano, lungo le strade profonde che il vento scava tra le onde e che le onde cancellano subito.
    Genova è anche la voglia di esserci e quella di scapparne, è una madre che ti porge la sua tetta asciutta e poi ti frusta o ti ferisce con carezze ruvide, è un'amante che ti sconvolge i sensi e poi non si dà. Noi tutti l'amiamo controvoglia e controvento, con un amore da inabili e una fregola non condivisa, che ti costringe a tradirla per sopravvivere e poter tornare da lei.
    [...] Genova è il tuo primo oceano e il tuo primo asfalto, la prima scopata e la prima voglia di saltare oltre l'orizzonte. Ed è di più, una serie smisurata di prime volte: il primo whisky, la prima amante, la prima moglie, il primo figlio. [...]
    Ma Genova è anche gli amici vivi che da lontano ti vedono crescere e invecchiare, per esempio i pescuèi che, proprio come ne «Il pescatore», hanno la faccia solcata da rughe che sembrano sorrisi e, qualsiasi cosa tu gli confidi, l'hanno già saputa dal mare.[7]
  • Prima della partita [un derby] la signora Mantovani spiega: "Soffrirò oggi comunque; se perde il Genoa perché sono genoana, se perde la Sampdoria perché mio marito torna a casa distrutto e lo devo consolare. Lei immagini...".[8]
  • [Su Mario Balotelli] Quando i miei amici lo hanno visto buttare a terra la maglia dell'Inter hanno detto: pessimo negro.[9]
  • [Sul Sacro Catino] [...] quella divina preziosa coppa in cui Dio si dette per il cibo più saporoso e benefico agli uomini; la quale ebbe Genova in premio degli aiuti e soccorsi prestati. Si chiami la più felice, e non la meno fortunata, poi che in cambio di imprese umane ebbe un trofeo divino.[10]
  • Se ho da spiegarlo a qualche lettore non genovese, il mugugno non è altro che un malcontento ingenito, formulato giorno per giorno, ora per ora, con una mormorazione che, dopo tutto, non intacca la fama d'alcuno, non ha la menoma idea di panzana, ma a tutta prima può scambiarsi per un venticello, un sordo e strano ronzio, avente per meta qualche cosa che, meno male, non è sempre la riputazione degli altri.
    Il mugugno, di cui ogni buon cronista locale s'è occupato, è un bisogno individuale, non so bene se sfogo, o vizio del sangue, per cui il genovese che ne è impeciato, comincia la sua antifona quotidiana, criticando, in mancanza di migliore appiglio, sè stesso.[11]
  • Strano destino. Fra due mali bisogna sempre saper scegliere il minore. Così nei lontani anni cinquanta divenni sampdoriano. Poi con la dinastia Mantovani capii che avevo scelto bene.[12]
  • Tutto quello che abbiamo fatto insieme non è stato né intellettuale né molto elevato. Era vita e amore, dolore e tristezza, gioia e magia.[13]
  • [Su Lobo] Un mito, un eroe che va incontro agli anni novanta prendendoli gioiosamente a calci nel sedere, un incrocio fra i supermaniaci di Watchmen, il Ranxerox di Tamburini e Liberatore e il Frank 'N' Furter del Rocky Horror Picture Show.[14]
  • Uno Scoglio non può fermare il mare.[15]

Giulio Cappi modifica

Da Mentone a Genova modifica

  • Il Golfo di Genova, sarei per dire, usurpa i diritti alle lenti convergenti; e, concentrando i raggi solari, prepara i molli tiepori di Sestri e di Pegli ai dilicati toraci che dal Piemonte, dalla Lombardia e dal Nord di Europa v'accorrono a cercar nel verno arie più dolci. Il gran convesso dell'ultima Riviera occidentale sembra scimiottare le funzioni delle lenti divergenti: il clima è più ventilato; le stati men soffocate e più robuste. (p. 21)
  • Eccomi a Voltri, la piccola ed affaccendata manifatturiera occidentale [...] Stupendamente adagiata in riva al mare, nel centro d'uno dei più pomposi anfiteatri di ameni valloncelli e di poggetti ridenti, tutto tempestati d'eleganti villini e di orti e frutteti, di una vegetazione prepotente, largamente inaffiata da due torrenti, la Cerusa e la Leira, che la dividono in due, il borgo di ponente e quel di levante, muniti entrambi d'una parrocchiale ricca; questa è una delle più ragguardevoli città della Liguria. (p. 241)
  • (242 Piani d'Invrea)
  • Questo magnifico paese di oltre cinque mille anime gode di una riputazione europea, e quasi quasi potrebbe dirsi mondiale, andando con Sorrento sulla bocca di chiunque cerca un clima semitropicale nello inverno, una brezza continua nella estate, e più che a Sorrento, eleganti società, covengni principeschi, famosi parchi, giardini incantati e, quel che più monta, non come Sorrento preceduto da un deserto, con difficilissime strade, con la privazione di una metropoli a due passi, da potere sopperire in qualunque ora ad ogni contingenza, soddisfare qualunque legittimo capriccio. (p. 249)
  • Viva dunque per sempre Pegli, giacchè dei Pegli evvene un solo al mondo, e ci vorrà una creazione novella a gettarne un altro sulla faccia del globo. E questa pure bastasse! Che se non vi metteranno la mano cento grandi famiglie e non v'impiegheranno quasi tutti i tesori di Creso, a nulla gioverà, nè un cielo più splendido, nè un mare più puro, nè una esposizione più felice. Sarà cosa stupenda perchè vi pose il dito la Natura; ma ciò non basterà ancora, chè le grazie non danzeranno su quelle pendici compassate, gli amori non ischerzeranno tra quei romantici boschetti e le nereidi per entro a quei laghi incorniciati di rose... È proprio vero che in mezzo a cotanta naturale bellezza, resa ancora più stupenda con lo studio di mille artefici, ma di quei cotali che compaiono uno ad uno in ogni secolo; è proprio vero che si perde la tramontana, si dormono sogni dorati; meglio, si vaneggia e ci troviamo le mille miglia lontani dallo scopo... (pp. 249-250)
  • (251-252 giardino Lomellina Rostan)
  • Quel ricchissimo e piissimo Patrizio Genovese che fu il marchese Ignazio Pallavicini: quel verace filantropo il quale in tutte le circostanze della vita, in mezzo alle agitazioni politiche, al dispotismo di piazza ed alla impertinenza di moda, non ha mai smentito sè medesimo ed erogò con libe alita inaudita alle chiese, ai privati, alla emigrazione delle somme ingentissime; – che per lui erano sacri gl'infermi, i carcerati, gl'infelici, e piangeva quel giorno in cui non potè tergere una lagrima, non riparare uno sconcio, non consolare uno sventurato [...] (p. 252)
  • [Su Giardino Pallavicini Durazzo] Comunque ei sia, egli non può negarsi che fra le migliaia dei visitatori non se ne troveranno forse due dozzine, che non partano meravigliati e soddisfattissimi della visita fattavi; mentre le giovani selve che rigogliose coprono la collina, sono egregiamente piantate; — le sottostanti praterie, oltremodo ridenti; — i boschetti, i viali, i ritrovi d'ogni maniera molto bene intesi — e sfarzosi se non ampli gli edifici, le costruzioni molteplici, dalle rustiche capanne alle dorate pagode, di guisa tale che, per ogni dove splende la munificenza e la grandezza unite insieme. (pp. 254-255)
  • Del resto, e poniamo la fine, il giardino del marchese Pallavicini a Pegli, è nel complesso tutto ciò che di magnifico e di grande possa idearsi [...] (p. 256)
  • E chi potrebbe resistere al comparire di quella spettacolosa scena che d'improvviso si affaccia, al dispiegarsi della immensa vallata della Polcevera a diritta ed a sinistra, irta e tempestata da una vera miriade di villini, di case, di palazzi, nei quali ignorasi se vinca l'eleganza capricciosa dell'arte, ovvero sorpassi lo sfarzo della opulenza?
    Bisogna proprio fermarsi a contemplare la immensità di quelle villeggiature, che da per sè sole basterebbero a formare una delle più spaziose e grandi città del Regno!
    Sì: bisogna proprio arrestarsi come incantanti, giacchè è la sola, anzi l'unica magica veduta che possa incontrarsi in Italia. (pp. 260-261)
  • Da quell'epoca pertanto, Sampierdarena non ebbe più pace, si potrebbe dire; spiantaronsi i parchi, i giardini, gli orti; si modificarono i palazzi, si aprirono nuove strade alla marina, si fabbricò, si adattò, si costrusse... E tettoie, e fornelli, e camini, sorsero a mille a mille per ogni angolo... ed officine da una parte, e stabilimenti dall'altra, congegni, macchine, caldaie, pullieghe... insomma, fu una vera casa del diavolo per tramutare la vecchia e pacifica Sampierdarena in una nuova e irrequieta Manchester, dove tutto che fa di mestieri in questo povero mondo per la vita comoda e felice, tutto, tuttissimo vi fu messo e creato!
    E quando si dice tuttissimo, si comprende che al di là di questo superlativo non ci si possa andare! (p. 263)
  • Chi potrebbe descrivere la bella, la superba Genova con i suoi cento marmorei palazzi, con i suoi mille incantevoli giardini, col suo frequentatissimo porto, col ricco ed esteso commercio, con le sue favolose ricchezze che ne formano un vero Eldorado? (p. 265)

Marco Consentino, Domenico Dodaro, Luigi Panella modifica

I fantasmi dell'impero modifica

  • «Sei stato fortunato, Vittorio: riconoscere in tempo l'amore, è una fortuna».
    «Colonnello, l'amore come si fa a non riconoscerlo? Uno lo sa, lo sente quando è innamorato».
    «Non intendevo il tuo, Vittorio. Volevo dire l'amore dell'altro. A volte non ce ne accorgiamo, di essere amati tanto, oppure facciamo finta che non sia così, per paura. Non succede spesso; di solito tutti si innamorano di una parte di te e vorrebbero cambiare l'altra. Ma se una persona ti ama davvero lo fa senza riserve, per come sei. E quando capita, è un amore incondizionato, che può diventare difficile da accettare. Perché se c'è un pezzo della tua anima che non ti piace, che non vorresti avere, incontrare qualcuno che ti ama può terrorizzarti al punto da rifiutarlo». Allungò una mano sul braccio di Valeri. «Accettarsi, amico mio, è la sola possibilità che abbiamo per essere felici». (pp. 431-432)
  • Si erano salutati lì, l'ultima volta, nel mezzo della piazza, quasi senza parole, lasciando indietro per sempre le frasi indispensabili, tutte, che non ce l'avevano proprio fatta a passare dallo stomaco alla bocca, entrambi combattendo furiosamente contro la certezza soffocante d'aver dimenticato di dire le cose più importanti. L'ultimo sguardo, quello del dolore insopportabile. Poi lei era corsa verso le altre ragazze, che già stavano uscendo dal Cinema Moderno. S'era voltata, la mano piccola sollevata appena. Siena era stesa sotto un cielo bellissimo celeste chiaro, la gente in giro, i caffè, qualche sorriso, bastoni e cappelli di primavera. Eppure il sole tiepido della domenica pomeriggio sembrava gelato, e ogni ombra disegnata dalle case nascondeva piccoli fantasmi. Attraversano i continenti, i pensieri? Saprai se sarò triste, se avrò coraggio? Riuscirò a sentire vicino il tuo cuore quando ne avrà più bisogno il mio? Sarai il primo pensiero e l'ultimo. Lo so, sarà così, com'è da quando ti conosco. (pp. 449-450)

Roberto Gagnor modifica

  • Ortolani è capace di utilizzare tutte le "armi" umoristiche possibili, in un continuo gioco di sveltezza: credi sia solo una gag di parola? No, è qualcosa di più. Credi sia solo una battutaccia? No, è qualcosa di più. Ed è sempre qualcosa di più.[16]
  • Per essere demenziali bisogna essere tremendamente intelligenti, per essere grevi bisogna essere paurosamente eleganti.[16]
  • Qualunque cosa succeda, non smetterò mai di scrivere Disney. È un sogno realizzato, un lavoro che amo tantissimo, una fonte continua di gioia. Faccio il lavoro che sognavo da piccolo, mi diverto, mi pagano e il futuro è tutto da scrivere: come si fa a non essere ottimisti?[17]
  • Topolino resta amatissimo e popolarissimo per un semplice motivo: perché quei personaggi non sono "cosi" col becco e le orecchie. Siamo NOI. Sono esseri umani che happen to be paperi e topi. La loro umanità, i loro difetti, i loro pregi, le loro manie, sono le nostre. Parlano a tutti noi, senza distinzione di provenienza geografica, età, sesso, religione. Ci dicono qualcosa di noi. E come diceva Calvino parlando dei classici, non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire.[17]

Luciano Rebuffo modifica

  • Genova è come i suoi abitanti: difficilmente accessibile, chiusa in se stessa, scontrosa, gelosa dei propri tesori, diffidente verso il «foresto». Può sembrare banale, o luogo comune, ed invece è proprio così: come il genovese non dà confidenza, così la città non invita il forestiero a far la sua conoscenza. Non lo invita con frecce indicatrici, né con cartelli didascalici, e neppure con edizioni di lusso nelle vetrine delle librerie, come a Firenze. Non lo seduce con una letteratura sulle sue bellezze, o con canzoni, come Napoli. (1)
  • [Sul centro storico di Genova] Entrateci, e vi troverete inviluppati in un dedalo inestricabile di «carrugi» bui, ma levando in alto lo sguardo, senza fermarsi sui folcloristici panni appesi da una finestra all'altra, voi vedrete che ogni casa porta ancora i segni dell'antico splendore. [...] Qui un arco, là una loggia ormai riempita, più oltre una colonna incastrata nel muro, archetti gotici in alto, capitelli preziosi, e portali magnifici, in ardesia nera o in marmo bianco, con teste romane o col S. Giorgio, [...] tipici di ogni costruzione signorile dell'epoca. (2)
  • La piazzetta San Matteo, centro dei Doria, è ancora adesso un museo di storia e di architettura, di trapasso dal gotico al Rinascimento. Sulla facciata della chiesa sono scritte sul marmo le imprese gloriose di quattro secoli; qui la casa di Brancaleone, quello che Dante mise all'inferno prima che morisse; là la casa di Lamba Doria, il vincitore dei Veneziani, e di fianco il palazzo donato dalla Repubblica ad Andrea Doria. A pianterreno vi sono negozi di ogni genere, davanti ai quali stazionano furgoni e furgoncini carichi di merce, mentre nello spiazzo sopraelevato i ragazzi giocano al pallone. (4-5)
  • [Sui Palazzi dei Rolli] Ognuno di essi basterebbe da solo a far la fama di un qualunque centro: tutti assieme, sono una rassegna imponente d'arte rinascimentale e barocca: nelle facciate, per quello stile che portò a Genova Gian Galeazzo Alessi; nei giardini per quel sistema tutto genovese di sfruttare la pendenza del terreno per ottenere al primo piano dei magnifici terrazzi fioriti; nei saloni per gli affreschi gioiosi del famoso «secolo d'oro» della scuola genovese, da Luca Cambiaso al Tavarone, al Piola, al Castello, a Lorenzo De Ferrari, e per i quadri che costituiscono ovunque una piccola ma preziosa pinacoteca, dove oltre ai genovesi vi sono dei Van Dyck, dei Breughel, dei Rubens, dei De Wael. (5-6)
  • [...] il genovese è ancora oggi esasperatamente individualista, difficile da convogliare, e se è costretto dall'esterno a fare qualcosa che non gli va si sfoga «mugugnando». Il «mugugno» (che è il lamentarsi, il protestare tra i denti) è ancora e sempre per il genovese la miglior valvola di scarico. E quando non sa con chi prendersela, se la prende con «i foresti».
    Il «mugugno» lo si sente dappertutto (è sempre in dialetto, e per questo è chiaro che ne sono esclusi in partenza i «foresti», i quali non riceveranno mai la confidenza necessaria per prendervi parte attiva) e può riguardare il progetto per la ricostruzione del Teatro Carlo Felice, la squadra di calcio del «Genoa 1893» oppure una nuova tariffa portuale. (8)
  • Ed ora un discorso sulle mura di Genova. Ma ne vale la pena? Fossero le mura di Lucca, o di Perugia, o di Siena, sono cose che si accettano subito, ma le mura di Genova, quando mai se ne è parlato?
    Eppure noi vi assicuriamo che ne vale proprio la pena, perché costituiscono uno degli aspetti più interessanti, ed originali, di Genova. [...]
    La loro caratteristica è che bisogna andarci, potendo, in automobile. Un giro delle mura in automobile? Si capisce già che dev'essere qualcosa di speciale.[...]
    Passeggiando lungo queste mura, voi sentite il silenzio e il profumo della campagna verde, anche se la città è sempre sotto di voi, laggiù, e vi si offre in una visione stupenda, continuamente cangiante con i tornanti della strada, ed ecco la città sembra un grande plastico, e le navi ancorate nel porto paiono piccoli modellini di legno. (9-10)
  • Ma il fascino del porto è un altro, è quello del porto commerciale, delle numerose e fitte calate dove attraccano navi piccole e grandi, nuove e vecchie, di ogni tipo e di ogni nazionalità, per sbarcare e imbarcare le merci più disparate. Ad ogni svoltare d'angolo queste calate sono uno spettacolo vivo e pittoresco, che si preannuncia coi forti odori che vi raggiungono a zaffate: odori di resine, di gomme, di legname, di vino, di pesce, di sentina, di motori, di cucina di bordo, di salino, un miscuglio indefinibile che è l'odore del porto. (13)
  • Dire che il porto sia Genova, e che Genova sia il suo porto (a parte il fatto che al giorno d'oggi sarebbe, a stretto rigore, parzialmente inesatto e per lo meno incompleto) può parere addirittura banale. Ma non lo è nel senso che la città è veramente una cosa sola col porto anche per la sua disposizione naturale, ad anfiteatro attorno ad esso, per l'immensità degli interessi che vi gravitano attorno e per il «plafond» storico che li accomuna. (15-16)
  • E ancora porto è tutta via Gramsci, con la cancellata di ferro che segue i limiti doganali, e oltre la quale fa la spola, avanti e indietro, la vecchia, sbuffante locomotiva. Vi sono negozi di ogni gnere, cambiavalute, e banchetti all'aperto dove si acquista di tutto, dal rasoio elettrico all'whiskey scozzese. E quando i negozi chiudono, e il traffico ininterrotto della giornata cade, si accendono le insegne al neon dei bar dai nomi esotici «Silver Dollar», «Piccadilly», «Black Cat Bar», «Scandinavia». I marittimi di tutto il mondo, mercantili o militari, conoscono questa strada, che qualche volta li ha salutati con grandi scritte al neon coniate apposta per loro, come «Hurrà for H.M.S. Valiant» oppure «Welcome to the United States Navy». (17-18)

Roberta Trucco modifica

Il mio nome è Maria Maddalena modifica

  • (pagine 89, 90, 90, (93-95), (122-123), 144, 148)

Note modifica

  1. Francesca Mantovani; citato in Renzo Parodi, Paolo Mantovani, Tormena, Genova, p. 29
  2. Giampaolo Pecori, citato in Luca Ponte, Le genovesi, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2004, p. 81. ISBN 88-7563-023-2
  3. Pier Giuseppe Fenzi, Jason e Phibes (i papà di Aldo?) in Venerdì 12 – Il risveglio, Special Events n. 44, agosto 2004, ed. Panini Comics
  4. David Michaelis, Schulz and Peanuts. A Biography, Harper, New York, 2007. Citato in Simona Bassano di Tufillo, Piccola storia dei Peanuts, Donzelli Editore, Roma, 2010, pp. 12-13. ISBN 978-88-6036-477-7
  5. Tommaso Danovaro, citato in Diavoli e angeli custodi, L'Osservatore Romano, 6 aprile 2017
  6. Oscar Travino, fonte sconosciuta ma esistente (vista la pagina del libro)
  7. Cesare G. Romana (a cura di), Amico fragile. Fabrizio De André, Sperling & Kupfer, 1999, pp. 7-8. ISBN 88-200-1214-6
  8. Vittorio Sirianni, ne La Gazzetta del lunedì, 17 marzo 1980; citato in Flamigni, p. 19
  9. Papa Dadson, citato in Concita De Gregorio, Io vi maledico, Einaudi, Torino, 2013, p. 49. ISBN 978-88-6621-353-6
  10. Juan Antonio de Benavides, Nuestra señora del mar; citato in Antonio Restori, Genova nel Teatro classico di Spagna, in Annuario dell'anno scolastico 1911-1912, Società Tipografica Ligure E. Oliveri & C., Genova, 1912, p. 60
  11. Ferdinando Resasco, Lorenzo Orengo, in La necropoli di Staglieno, Stabilimento Tipografico Genovese, Genova, 1892, pp. 189-190
  12. Massimo Farci; citato in Flamigni, p. 70
  13. Renaldo Fischer, Storia di un cane e del padrone a cui insegno la libertà, Corbaccio, Milano, 1997, trad. Laura Pignatti, p. 116. ISBN 88-7972-205-0
  14. Andrea Voglino, introduzione al volume Lobo: L'ultimo czarniano, ed. Play Press Publishing, marzo 1994
  15. Federico Buffoni; citato in AA. VV., Quelli che il baciccia, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2002, p. 90
  16. a b Da Rat-Man n.100: l'omaggio degli autori, Fumettologica, 16 gennaio 2014.
  17. a b Da un'intervista a Gennaro Costanzo, Topolino 3000: intervista a Roberto Gagnor, Comicus, 20 maggio 2013

Bibliografia modifica

  • Giulio Cappi, Da Mentone a Genova, II edizione, Tipografia Bortolotti di Giuseppe Prato, Milano, 1888
  • Marco Consentino, Domenico Dodaro, Luigi Panella, I fantasmi dell'impero, Sellerio, Palermo, 2017. EAN 978-88-389-3608-1
  • Pino Flamigni, Il derby delle parole, Erga Edizioni, Genova, 1995
  • Luciano Rebuffo, Introduzione a Immagini di una città, C. M. Lerici editore, Milano, 1959
  • Roberta Trucco, Il mio nome è Maria Maddalena, Marlin Editore, 2019. ISBN 9788860431493