T. H. White

scrittore britannico
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Terence Hanbury White (1906 – 1964), scrittore britannico.

Terence Hanbury White

Citazioni di Terence Hanbury White

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  • I nostri lettori di quell'epoca [...] hanno tre convinzioni nelle loro magnifiche zucche. La prima è che la specie umana sia superiore alle altre. La seconda è che il ventesimo secolo sia superiore ai secoli precedenti. La terza è che gli adulti del ventesimo secolo siano superiori ai giovani. L'insieme di questo inganno può essere bollato come Progresso e chiunque lo metta in discussione viene definito puerile, reazionario o escapista. La Marcia dell'Intelletto, che il cielo li aiuti.[1]

La spada nella roccia

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Al lunedì, al mercoledì e al venerdì vi erano Bella Scrittura e Summulae Logicales, mentre il resto della settimana era dedicato a Organon, Ripetizione e Astrologia. L'istitutrice si confondeva sempre con l'astrolabio, e quando era particolarmente confusa se la prendeva con Wart, ovvero Bitorzolo, colpendolo sulle nocche delle dita con una verga. Non colpiva Kay sulle nocche, perché da adulto lui sarebbe diventato sir Kay, il signore di quella terra. Wart veniva chiamato così perché, grossomodo, la parola faceva rima con Art, abbreviazione del suo vero nome. Quel nomignolo glielo aveva affibbiato Kay. Kay si chiamava semplicemente Kay, poiché era troppo nobile per avere un soprannome e sarebbe andato su tutte le furie se qualcuno avesse tentato di dargliene uno. L'istitutrice aveva i capelli rossi e una misteriosa ferita che mostrava a tutte le donne del castello, dietro le porte chiuse, traendone grande prestigio. Si riteneva che si trovasse nel punto dove lei sedeva e che se la fosse procurata sedendosi per errore su un'armatura durante un picnic. Quando, infine, si offrì di mostrarla a sir Ector, padre di Kay, ebbe una crisi isterica e fu licenziata. In seguito si scoprì che era stata ben tre anni in un ospedale per malati di mente.

Citazioni

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  • [Sul Mago Merlino] Indossava un'ampia veste lunga, con quattro stole ricamate con i segni dello zodiaco e vari segni cabalistici, come triangoli con occhi dentro, strane croci, foglie di alberi, ossa di uccelli e altri animali, nonché un planetario con stelle che brillavano come pezzi di uno specchio quando il sole vi batte sopra. Portava un cappello a punta simile a quello che si mette in testa agli scolari negligenti o al copricapo usato dalle dame dell'epoca, solo che le dame avevano anche un pezzo di velo fluttuante alla sommità. Possedeva anche una bacchetta magica di lignum vitae, che aveva posato sull'erba davanti a sé, e un paio di occhiali con montatura di corno come quelli di re Pellinore. Erano occhiali fuori del comune, perché mancavano delle stanghette, con una forma che ricordava più quella delle forbici o delle antenne della vespa Pepsis. (cap. 3)
  • Mentre [Merlino] danzava, cantava. Questa era la sua canzone:
    «Terapeutico,
    Elefantiaco,
    Diagnosi,
    Bum!
    Pancreatico,
    Microstatico,
    Antitossico,
    Tum!
    Con un normale catabolismo,
    Farfuglismo e balbettismo,
    Snip, Snap, Snorum,
    Taglia via il suo addomorum.
    Dispepsia,
    Anemia,
    Tossiemia.
    Uno, due, tre,
    E Lui sen va,
    Con le cinque ghinee,
    Cantando trallalà.» (cap. 5)
  • L'amore è un tiro giocatoci dalle energie dell'evoluzione. Il piacere è l'esca preparata dalle stesse. Vi è solo la forza. La forza è propria della mente individuale, ma la forza della mente non basta. È la forza del corpo a decidere tutto, alla fine, e la Ragione è solo del più Forte. (Re del Fossato, cap. 5)
  • La fortezza era percorsa da gallerie scavate nella roccia e sopra l'ingresso di ciascuna galleria c'era un cartello che diceva:
    TUTTO CIÒ CHE NON È PROIBITO È OBBLIGATORIO (cap. 13)
  • La volta dell'alba si riempiva di araldi, e questo è ciò che cantavano:
    Tu, mondo che giri, che scorri sotto le nostre ali,
    Innalza il bianco sole ad accogliere i beniamini del mattino.

    Mira, su ogni petto lo scarlatto e il vermiglio,
    Odi, da ogni gola la chiarina e i campanelli.

    Ascolta, i liberi, vaganti ranghi in nere squadriglie,
    Corni e cacciatori del cielo, segugi e stalloni luminosi d'alba.

    Libera, libera; lontana, lontana; e bella sulle ali ondeggianti
    Viene l'Anser albifrons, e canta e suona. (cap. 18)
  • «Ma non combattono tra loro per il pascolo
    «Santo cielo, quanto sei sciocco!» esclamò lei. «Non ci sono confini tra le oche
    «Che cosa intendi per confini, per favore?»
    «Linee immaginarie tracciate sul terreno, mi pare. Come facciamo ad avere confini, se voliamo? Quelle tue formiche... e gli uomini, anche... dovrebbero ben smettere di combattere, alla fine, se si alzassero nell'aria.» (cap. 18)
  • Quando si è tristi [...] la cosa migliore è apprendere qualcosa. Questo è l'unico rimedio infallibile. Puoi diventare vecchio e tremante nella persona, puoi restar sveglio la notte prestando attenzione ai disturbi delle tue arterie, puoi sentire la mancanza del tuo unico amore, vedere il mondo circostante devastato da perfidi folli o sapere che il tuo onore viene calpestato e gettato nelle cloache da menti abiette. C'è un unico rimedio, allora, per questo: apprendere. Capire perché il mondo si muove e che cosa lo muove. Questo è l'unico argomento che la mente non può mai esaurire, da cui non può mai essere tormentata, che non può temere e di cui non può diffidare né rammaricarsi. Conoscere è quello che ti ci vuole. Guarda quante cose vi sono da imparare! Scienza pura, l'unica purezza che esista. Puoi apprendere l'astronomia nel corso di una vita, la storia naturale in tre, la letteratura in sei. E poi, dopo aver esaurito un miliardo di vite per medicina, biologia, teocritica, geografia, storia ed economia... ebbene, puoi cominciare a costruire una ruota da carro col legno giusto, oppure trascorrere cinquant'anni imparando a cominciare a imparare come battere il tuo avversario nella scherma. Dopo di che potrai ricominciare da capo con la matematica, fino a che non sarà giunto il momento di imparare ad arare. (Merlino, cap. 21)
  • Re Pellinore chiuse gli occhi con forza, allungò le braccia in entrambe le direzioni e proclamò solennemente: «CHIUNQUE ESTRAGGA QUESTA SPADA DA QUESTA ROCCIA E INCUDINE, SARÀ RE DI TUTTA L'INGHILTERRA PER DIRITTO DI NASCITA». (cap. 22)

«Ebbene, Wart» disse Merlino «eccoci... o eravamo... di nuovo insieme. Come stai bene con la corona! Non mi fu permesso dirtelo prima, o poi, ma tuo padre era, o sarà, Re Uther Pendragon, e fui io stesso, travestito da mendicante, a portarti al castello di sir Ector, nelle tue fasce dorate. So tutto sulla tua nascita e sui tuoi genitori, e so anche chi ti diede il tuo vero nome. Conosco le pene e le gioie che ti attendono, e so che non ci sarà mai più alcuno che oserà chiamarti col soprannome affettuoso di Wart, ovvero Bitorzolo. Da ora in poi tua sorte gloriosa sarà portare il fardello e godere la nobiltà del titolo che ti spetta: perciò ora chiedo con insistenza il privilegio di essere il primo tra i tuoi sudditi a rivolgertelo, mio caro sovrano, re Artù.»
«Resterete con me a lungo?» domandò Wart, senza comprendere un gran che di tutto quel discorso.
«Sì, Wart» rispose Merlino. «O, meglio, dovrei dire (oppure avrei dovuto dire?) "Sì, Re Artù".»

  1. Da Il libro di Merlino, in Il re che fu, il re che sarà, a cura di Massimo Scorsone, traduzione di Maria Benedetta de Castiglione, Antonio Ghirardelli, Maria Grazia Bosetti e Stefania Bertola, Mondadori, Milano, 2021. ISBN 9788835709800

Bibliografia

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  • Terence Hanbury White, La spada nella roccia, in Re in eterno, traduzione di Maria Benedetta de Castiglione e Antonio Ghirardelli, Mondadori, Milano, 1989. ISBN 88-04-32667-0

Voci correlate

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