Indro Montanelli e Mario Cervi: differenze tra le versioni

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→‎Citazioni: la condanna di Mascherpa e Inigo Campioni
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*L'avvio della Resistenza fu ricco di episodi umanamente toccanti, ma povero di risultati. In questo periodo i tedeschi si preoccuparono molto poco delle «bande» anche se, quando esse si manifestavano, reagivano con prontezza a volte feroce. Il fenomeno partigiano era considerato uno strascico minore e non allarmante dell'8 settembre. In effetti le poche migliaia di «ribelli» non costituivano una forza militare, privi com'erano di un comando unificato, di direttive, di una strategia. I primi a dare un assetto organico alle loro formazioni furono, ed era logico, i comunisti, che già ai primi di novembre istituirono a Milano un Comando generale delle formazioni Garibaldi, con Longo, il veterano delle brigate internazionali in Spagna, comandante militare, e [[Pietro Secchia]] – un intrattabile fanatico – commissario politico. I comunisti disposero che tutte le loro organizzazioni cittadine mandassero in montagna a combattere il 10 per cento dei quadri e il 15 per cento degli iscritti. Che siano stati obbediti, è dubbio: ma che abbiano potuto fornire un numero di partigiani superiore a quello di ogni altro schieramento ideologico, è certo. (cap. 3)
*Il 25 novembre i fascisti fecero irruzione nella grande masseria di Praticello, tra Campegine e Gattatico, vicino a Reggio Emilia, dove viveva la famiglia Cervi. Erano, i Cervi, dei fittavoli che si erano insediati nel podere dal 1934: il padre, Alcide, la madre Genoveffa Cocconi, sette figli, il maggiore di 42 il più giovane di 22 anni. Nel loro cascinale i Cervi avevano dato ospitalità dopo l'8 settembre a prigionieri e sbandati – e di questo venivano sospettati dalle autorità fasciste – ma avevano anche organizzato azioni di squadre per disarmare i presidi fascisti. Il rastrellamento del 25 novembre mirava proprio a snidare i prigionieri rifugiati a Praticello (vi furono infatti catturati un russo, due sudafricani, un francese gollista, un irlandese, e un «rinnegato» italiano). I maschi della famiglia Cervi furono tutti trasferiti nelle carceri di San Tommaso, a Reggio Emilia. Due giorni dopo Natale a Bagnolo in Piano, nelle campagne di Reggio, venne ucciso da un ''commando'' il segretario fascista Vincenzo Onfiani, e questo segnò la condanna a morte, per rappresaglia, dei sette fratelli «rei confessi di violenze e aggressioni di carattere comune e politico, di connivenza e favoreggiamento con elementi antinazionali e comunisti». Il padre non seppe della feroce strage fino a quando uscì di prigione. (cap. 5)
*Fu incriminato un gran numero di generali e ammiragli: tra questquesti ultimi [...] [[Inigo Campioni]] e Luigi Mascherpa, di nient'altro responsabili che d'avere obbedito, nel {{sic|Dodecanneso}}, agli ordini che Badoglio impartì, firmato l'armistizio. Campioni e Mascherpa erano, dal punto di vista militare, in regola, e non s'erano macchiati di viltà. Il capo d'imputazione diceva che «avendo ricevuto l'ordine del Comando supremo di non ostacolare contatti e sbarchi anglo-americani» avevano obbedito «pur essendo tale ordine palesemente criminoso». Su queste basi fu pronunciata l'iniqua condanna a morte, eseguita il 24 maggio 1944. (cap. 5)
*L'attentato di via Rasella, e la strage delle Fosse Ardeatine che ne fu la conseguenza, posero allora alla coscienza civile, e lo pongono tuttora allo storico, il problema d'un giudizio sulla legittimità morale dell'attentato, sulla ammissibilità della rappresaglia, sulla responsabilità personale di chi volle l'attentato e di chi volle la rappresaglia. L'attacco al reparto tedesco che ogni pomeriggio, puntualmente, percorreva la via Rasella, una parallela di via Tritone in pieno centro di Roma, era stato preparato da un GAP comunista con scrupolosa cura, e con un controllo minuzioso dei tempi. L'incarico di collocare le due bombe – l'una dodici chili di tritolo, l'altra sei chili – fu affidato a Rosario Bentivegna, studente in medicina, che sarebbe stato aiutato, al momento della fuga, da Carla Capponi. Erano entrambi giovani ma sperimentati gappisti, cimentatisi in imprese contro il cinema Barberini, e contro Regina Coeli. In una via laterale si sarebbero appostati altri partigiani, tra essi Franco Calamandrei, pronti a segnalare a Bentivegna il sopraggiungere della colonna di soldati e a sparare contro i tedeschi dopo lo scoppio per accrescere il panico. Bentivegna si travestì da spazzino, pose su un carretto due bidoni con l'esplosivo, e rimase in attesa. (cap. 7)
*Quel giorno i tedeschi erano in ritardo. Attesi per le 15, fecero udire il loro passo cadenzato solo verso le 15,30. Calamandrei si tolse il cappello (era il segnale convenuto), Bentivegna accese la miccia e si allontanò verso via Quattro Fontane dove lo aspettava Carla Capponi, che lo copri con un impermeabile. Quella che stava marciando era la lla compagnia del terzo battaglione del ''Polizei Regiment Bozen'', territoriali altoatesini che, troppo anziani per essere mandati al fronte, erano stati destinati al servizio d'ordine in città. L'esplosione fu apocalittica, e seguita da raffiche di mitra. Il ''leader'' comunista Giorgio Amendola discuteva in quel momento con De Gasperi, in un edificio non lontano. A De Gasperi, che si domandava cosa potesse essere quella esplosione, Amendola rispose asciutto «deve essere una delle nostre» e l'altro, con un blando sorriso: «Dev'essere così. Voi una ne pensate e mille ne fate». Poi ripresero a occuparsi della crisi del CLN, con Bonomi che minacciava di dimettersi per i contrasti che lo dilaniavano.