Paolo Vallorz: differenze tra le versioni

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*Paolo Vallorz uscì dal suo atelier veloce come una saetta. Indossava un maglione nero a collo alto. La sua semplicità nel vestire doveva piacere a Jacques. I suoi piccoli denti brillavano affabili quando mi salutò. Il suo viso mi sembrò più infantile, i suoi occhi più ridenti. Entrai. Non era una serra. Una soffitta scesa al pianterreno. No. Un atelier. In fondo alla stanza, il cavalletto, immerso nell'umile luce d'un inizio d'inverno, aspettava pronto per l'uso. Vecchi elenchi del telefono erano stati lasciati in disordine sui tavolini, tra coperchi di scatole, riviste e ogni tipo di cianfrusaglia. Il cavalletto colpì la mia attenzione quanto l'avrebbe fatto un pianoforte a coda prima dell'arrivo del pianista. Un vecchio cane sognava e mugolava su un canapé sfondato accanto alla stufa. Le delizie di Capua. La bohème, la famosa vita di bohème, m'arrivava in faccia come una manciata di castagne calde. […] Fu un nudo mistico. Spento dall'età. Singolare grazie al talento del pittore. Piacque a Jacques. L'espose in un angolo discreto della sua biblioteca di Flurares. Non ero imbarazzata quando lo guardavamo. Avevo davanti, su una tela, un'anacoreta dalle braccia penzolanti. ([[Violette Leduc]])
*Può capitare che un quadro lo si desideri con la stessa intensità con cui si desidera possedere una donna. [...] Certi piccoli quadri di Chardin e di [[Gustave Courbet|Courbet]] hanno talora acceso in me questo desiderio di possesso. Ma, ultimamente, mi è capitato davanti ad un quadro di cui ignoravo l'autore. L'esecuzione era preziosa, raffinata, controllata con maestria ed evocava la lezione degli antichi. Nessun dubbio invece che il quadro fosse contemporaneo. Era un piccolo nudo di donna. Ne fui subito sedotto e, spinto non solo dal sentimento della ''delectatio'' – che, diceva Poussin è della pittura il fine – ma ben anche da quello della pura concupiscenza, provai il desiderio di possederlo. Quasi che all'autore fosse riuscito il prodigio di trasferire il richiamo erotico della modella al quadro, facendo ricorso ai soli mezzi della pittura e senza cedere agli inganni dell'illusionismo. Questo fu il mio primo incontro con la pittura di Paolo Vallorz. ([[Jean Clair]])
*Vallorz dipinge mirabilmente l'urgenza del reale, poggiandosi sì a Soutine, ma incarnando in queste figure il senso di una pietà, di uno scontro ineluttabile con il tempo che non porterà mai a vittoria. [...] Spingendo il reale in questa terra di nessuno, astrae l'Uomo dentro una luce di dolorosa spiritualità grondante, dove una pioggia continua, incessante, divora nell'ombra il sembiante di una giovanile pienezza. ([[Marco Goldin]])
*Vallorz nello studio al pianterreno lavora ogni giorno e mai di fantasia: quando non ha la modella, la bellissima e opulenta Calipso protagonista del “ciclo” alla porta, colloca sul tavolo funghi, frutta, crostacei, bucefali, pesci. Dell'esperienza informale gli è rimasto un modo di preparare le tele: le ricopre di un fondo scuro e bituminoso, una materia spessa, gettata e grandi e grumose spatolate; quindi con una ruota a smeriglio, leviga il fondo e infine, quando la tela è ben asciugata, dipinge: velocemente, senza traccia di disegno, con una furia ossessiva che lo fa sudare quasi fosse in una sauna. Grande o piccolo che sia non impiega più di una mezz'ora a fare un quadro, anche se poi su un particolare può tornare per settimane. Alla fine di ogni mese, Vallorz riesamina i quindici quadri prodotti: non ne salva più di uno o due; i rimanenti li distrugge, li raschia o addirittura li sega e li incenerisce nella stufa. ([[Domenico Porzio]])
*Ventiquattro mesi senza toccare pennelli e colori: un time-out necessario a smaltire quattro anni di sbornia astratto-informale. Poi, d'improvviso, un pomeriggio del 1958 – la città è [[Parigi]], la stagione è l'inverno – al pittore, unico inquilino di rue Jean Zay, a Montparnasse torna la voglia di dipingere. A propiziare il miracolo è l'opulenta nudità di una giovane amica esaltata dalla luce che filtra dalle vetrate alte sette metri dello studio appartenuto ad un scultore di successo: Poisson, allievo di [[Rodin]]. L'atmosfera si fa sciamanica: il pennello, un tutt'uno con la mano del pittore, insegue con segni veloci e sicuri la danza degli occhi, un vertiginoso ping-pong tra la modella e la tela. Un quarto d'ora ed è tutto finito: Juliette può rivestirsi e allontanarsi dall'atelier. Quanto al pittore, interiormente esausto, rimane ancora un po' davanti al cavalletto a guardare in silenzio il suo ''Nudo in piedi'', una piccola tela dove sono rimasti impigliati per sempre il profumo, lo charme, la gioia di vivere della bella parigina: una piccola tela ma capace di contenere un grande urlo liberatorio: se ancorata alla realtà, la pittura è ancora possibile! Riconsacrato alla tavolozza (per il momento monopolizzata dai neri e dai bianchi), Paolo Vallorz può riprendere il cammino interrotto nel 1956. Manca solo un gesto purificatorio e lo esegue: ricompra le sue poche tele astratte e vi ridipinge sopra: un gesto da leggenda! ([[Lillo Gullo]])