Enzo Paci: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Enzo Paci==
*Nel vento fresco che s'alza nella notte [...] si ravviva forse un filo di fiducia: che gli orrori della vita possano essere dimenticati, e i suoi problemi labirintici e tormentosi trasformati in valore, col passare del tempo [...] nel lento e irreversibile cammino verso la morte. Un sorriso ti consola, un moto di affetto ti raggiunge, anche se ignora la tua angoscia.<ref>Da ''Diario fenomenologico'', il Saggiatore, Milano, 1961, p. 53. Citato in [[Vittorio Sereni]], ''Il grande amico. {{small|Poesie 1935-1981}}'', introduzione di Gilberto Leonardi, commento di Luca Lenzini, ''I Grandi Classici Della Poesia'', Fabbri Editori, Milano, 1997, p. 267, nota.''</ref>
*Risuscitando il mito di Faust [[Thomas Mann|Mann]] fa sì che Adriano, per salvarsi dall'aridità e dalla crisi dell'arte contemporanea, crisi che è nello stesso tempo crisi di una civiltà al tramonto, stringa un patto con il diavolo che gli darà la grandezza e la potenza creatrice in cambio della rinunzia all'amore e alla salvezza della sua anima. Per Mann la Germania, sfiduciata, inibita ed impotente, ha tentato di liberarsi dalle sue inibizioni con la morbosa e diabolica intossicazione nazista. Sembra che anche l'arte, nel mondo contemporaneo, non riesca a sopravvivere se non si allea con il morboso e con il diabolico, e se non ride di sé condannandosi nel momento stesso nel quale si crea, risolvendosi nella parodia di se stessa. L'arte e in particolare la musica, è oggi, nel massimo disordine, nella massima ambiguità. Come uscirne? Come superare il caos? Come e dove trovare un principio, un ordine, un sistema di regole? Politicamente tale ordine è stato cercato nella negazione della libertà. Il compositore Adriano Leverkühn lo cerca nelle nuove regole della musica dodecafonica dopo essersi anche lui diabolicamente intossicato servendosi della malattia, della sifilide, come di una mostruosa droga, per stimolare la propria fecondità estetica, per poi sprofondare nella notte fonda della pazzia e della morte.<ref>da ''Profili: Thomas Mann'', ''L'Italia che scrive'', a. XXXIX, n. 1, gennaio 1956, p. 2.</ref>