Anna Banti: differenze tra le versioni

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[[File:Anna Banti.jpg|thumb|Anna Banti]]
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'''Anna Banti''', pseudonimo di '''Lucia Lopresti''' (1895 – 1985), scrittrice italiana.
 
===Citazioni= di Anna Banti==
*Nessuno che non abbia buttato almeno un'occhiata sulla solenne etichetta di Cambridge o di Oxford potrà ammirare abbastanza quel che la sapiente e capricciosa penna della Woolf ne trasse, citando i responsabili di aule dove la scienza, il greco, il latino, la filosofia conducono una vita liberalmente conventuale. (dalla<ref>Dalla postfazione a [[Virginia Woolf]], ''La camera di Jacob'', I libri della Medusa, Arnoldo Mondadori Editore, 1980).</ref>
*Una [[donna]]: proprio quello che una fanciulla non ha voglia di diventare, checché le sia successo. Ma c'è poco da scegliere, e meno ce n'era nel milleseicentoventidue o venticinque, a Roma. Così Artemisia alzò la testa, e fece il conto dei suoi averi: bel viso, bella mano, bella persona, talento, quattro casse, duecento ducati, un marito vivo o morto: eredità che la fanciulla spirante e noncurante le trasmetteva e di cui si affrettò a prendere il comando. In un lampo, seppe che il maggiore di questi beni era il marito, condizione perché gli altri fruttassero: intanto si premuniva, d'istinto, contro malevolenze e curiosità, imitando, da stupirne le dame di Toscana, così brave a farsi rispettare. Riconosciuto definitivamente il suo stato, forte all'improvviso di una voglia di vivere e prosperare che le fanciulle non hanno, sacrificava per la prima volta, con animo sgombro, all'astuzia, la dea dei poveri che non vogliono morire. (da<ref>Da ''Artemisia'', Bompiani, 1997).</ref>
 
==''Noi credevamo''==
===[[Incipit]]===
Credono che io dorma, che passi dal sonno a un dormiveglia incosciente: che, insomma, non abbia più la testa a posto. L'hanno sussurrato anche al medico, l'altro ieri, sicuri che io non sentissi. Come al solito, mi era entrato in camera senza chieder permesso, per una delle sue inutili visite, e la sua voce stentorea, militaresca dal forte accenno piemontese («come sta il nostro amico?») mi forzò ad aprire gli occhi. Sto sempre con gli occhi chiusi quando non sono solo, e non so perché, forse per rifiutare una vita che non m'interessa più. Sono davvero malato? Non direi, nessuna parte del corpo mi duole e se volessi potrei vivere normalmente, magari uscire, parlare. Ecco: parlare.<br>
{{NDR|Anna Banti, ''Noi credevamo'', CDE, Milano 1967.}}
 
===Citazioni===
* La verità è che nulla amo di [[Torino]]: non il suo ordine, non la sua mediocre civiltà piena di sussiego. Odio i suoi impiegatucci, i suoi militari, i suoi uomini politici. (2010, p. 14)
* Un mezzanino compresso come la groppa di un burocrate servile, un imperioso piano nobile, tronfio di architettoniche ostentazioni, il terzo piano per il rentier borghese che ama il decoro e il risparmio; in cima le mansarde, concesse con sopportazione ai decaduti, agli studenti, agli artisti, gente tenuta d'occhio e congedata alla prima scadenza d'affitto non corrisposta. Io abito al terzo piano, ma nel concetto del guardaportone in giamberga non debbo ispirare maggior fiducia degli inquilini delle soffitte. Siamo "napoletani", noi, soggetti da guardarsene, da sorvegliare, qualcosa di mezzo fra il brigante e l'imbroglione. (2010, p. 15)
* A Procida, per dispetto o per polemica, mi ero accostato a delinquenti comuni, deducendo dai loro discorsi sino a che punto il regime borbonico avesse corrotto la plebe: già ho rammentato la mia familiarità con un capo brigante. Ma a un carceriere no, non avevo mai potuto indurmi a parlare da uomo a uomo, la sua vita, le sue miserie e come si fosse ridotto a esercitare un mestiere così vile, non m'interessavano, mi bastava disprezzarlo e giudicarlo peggiore di una qualunque schifosa bestia. Adesso mi sorpresi a riflettere che un carceriere – Gennaro, per esempio – poteva essere non del tutto ignobile e conservare qualche buon sentimento. (2010, p. 139)
* Non mi arresi dunque e insistetti: «E quando il massaro ti consegnò ai gendarmi non ti rivoltasti per una punizione così crudele? Non hai mai sperato che il mondo possa cambiare e che tutti gli uomini abbiano il diritto di sfamarsi decentemente?».<br/>Con una spallucciata si schermì e una smorfia cattiva gli ricompose in faccia l'insolenza dello sgherro. «Voi parlate così perché siete un signore e avete il cervello pieno di fumi che è la disgrazia di chi vi dà retta. Che diritti e diritti? Mio padre ci ha creduto, gli avevano montata la testa e si è visto quel che ci ha guadagnato. Chi ha fame s'ingegna, si capisce, ma il maialetto era del massaro e lui ha fatto bene a legarmi all'asino, così avrei fatto anch'io al suo posto, se lasciava correre mi sarei mangiato tutto il gregge. Peggio per chi sta sotto e chi dà ascolto ai chiacchieroni». (2010, pp. 146-147)
 
===[[Explicit]]===
Non è stato troppo tardi se ne ho ottenuto di avere tutta la mia vita davanti agli occhi, un campo di battaglia in azione, e gli onori della giornata sono ancora incerti. Non ho taciuto né risparmiato nulla, infanzia, gioventù, famiglia, amicizie, le mie responsabilità e quelle degli altri. Le ho passate al setaccio e non ho rintracciato l'errore in cui siamo caduti, l'inganno che abbiamo tessuto senza volerlo. Pisacane seppe far meglio e se sbagliò trovò misericordia nella morte. Io l'aspettavo a Montefusco e lei passò via, dandomi appuntamento su questo
letto di vecchio.<br/> Ma io non conto, eravamo tanti, eravamo insieme, il carcere non bastava; la lotta dovevamo cominciarla quando ne uscimmo. Noi, dolce parola.<br/> Noi credevamo…<br>
{{NDR|Anna Banti, ''Noi credevamo'', Mondadori, Milano 2010, ISBN 978-88-04-60384-9.}}
 
==''Un grido lacerante''==
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*Presente e passato sono un istante da catturare e stringere come una lucciola nella mano. (p. 161)
 
==[[Incipit]] di ''Noi credevamoArtemisia''==
«Non piangere.»<ref>Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, ''Incipit'', Skira, 2018. ISBN 9788857238937</ref>
===[[Incipit]]===
Credono che io dorma, che passi dal sonno a un dormiveglia incosciente: che, insomma, non abbia più la testa a posto. L'hanno sussurrato anche al medico, l'altro ieri, sicuri che io non sentissi. Come al solito, mi era entrato in camera senza chieder permesso, per una delle sue inutili visite, e la sua voce stentorea, militaresca dal forte accenno piemontese («come sta il nostro amico?») mi forzò ad aprire gli occhi. Sto sempre con gli occhi chiusi quando non sono solo, e non so perché, forse per rifiutare una vita che non m'interessa più. Sono davvero malato? Non direi, nessuna parte del corpo mi duole e se volessi potrei vivere normalmente, magari uscire, parlare. Ecco: parlare.
 
==Note==
{{NDR|Anna Banti, ''Noi credevamo'', CDE, Milano 1967.}}
<references />
 
===Citazioni===
* La verità è che nulla amo di [[Torino]]: non il suo ordine, non la sua mediocre civiltà piena di sussiego. Odio i suoi impiegatucci, i suoi militari, i suoi uomini politici. (2010, p. 14)
 
* Un mezzanino compresso come la groppa di un burocrate servile, un imperioso piano nobile, tronfio di architettoniche ostentazioni, il terzo piano per il rentier borghese che ama il decoro e il risparmio; in cima le mansarde, concesse con sopportazione ai decaduti, agli studenti, agli artisti, gente tenuta d'occhio e congedata alla prima scadenza d'affitto non corrisposta. Io abito al terzo piano, ma nel concetto del guardaportone in giamberga non debbo ispirare maggior fiducia degli inquilini delle soffitte. Siamo "napoletani", noi, soggetti da guardarsene, da sorvegliare, qualcosa di mezzo fra il brigante e l'imbroglione. (2010, p. 15)
 
* A Procida, per dispetto o per polemica, mi ero accostato a delinquenti comuni, deducendo dai loro discorsi sino a che punto il regime borbonico avesse corrotto la plebe: già ho rammentato la mia familiarità con un capo brigante. Ma a un carceriere no, non avevo mai potuto indurmi a parlare da uomo a uomo, la sua vita, le sue miserie e come si fosse ridotto a esercitare un mestiere così vile, non m'interessavano, mi bastava disprezzarlo e giudicarlo peggiore di una qualunque schifosa bestia. Adesso mi sorpresi a riflettere che un carceriere – Gennaro, per esempio – poteva essere non del tutto ignobile e conservare qualche buon sentimento. (2010, p. 139)
 
* Non mi arresi dunque e insistetti: «E quando il massaro ti consegnò ai gendarmi non ti rivoltasti per una punizione così crudele? Non hai mai sperato che il mondo possa cambiare e che tutti gli uomini abbiano il diritto di sfamarsi decentemente?».<br/>Con una spallucciata si schermì e una smorfia cattiva gli ricompose in faccia l'insolenza dello sgherro. «Voi parlate così perché siete un signore e avete il cervello pieno di fumi che è la disgrazia di chi vi dà retta. Che diritti e diritti? Mio padre ci ha creduto, gli avevano montata la testa e si è visto quel che ci ha guadagnato. Chi ha fame s'ingegna, si capisce, ma il maialetto era del massaro e lui ha fatto bene a legarmi all'asino, così avrei fatto anch'io al suo posto, se lasciava correre mi sarei mangiato tutto il gregge. Peggio per chi sta sotto e chi dà ascolto ai chiacchieroni». (2010, pp. 146-147)
 
===[[Explicit]]===
Non è stato troppo tardi se ne ho ottenuto di avere tutta la mia vita davanti agli occhi, un campo di battaglia in azione, e gli onori della giornata sono ancora incerti. Non ho taciuto né risparmiato nulla, infanzia, gioventù, famiglia, amicizie, le mie responsabilità e quelle degli altri. Le ho passate al setaccio e non ho rintracciato l'errore in cui siamo caduti, l'inganno che abbiamo tessuto senza volerlo. Pisacane seppe far meglio e se sbagliò trovò misericordia nella morte. Io l'aspettavo a Montefusco e lei passò via, dandomi appuntamento su questo
letto di vecchio.<br/> Ma io non conto, eravamo tanti, eravamo insieme, il carcere non bastava; la lotta dovevamo cominciarla quando ne uscimmo. Noi, dolce parola.<br/> Noi credevamo…
 
{{NDR|Anna Banti, ''Noi credevamo'', Mondadori, Milano 2010, ISBN 978-88-04-60384-9.}}
 
==Bibliografia==