Adolfo Venturi (storico dell'arte): differenze tra le versioni

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→‎La pittura del Cinquecento: altra su Taddeo Zuccari
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*L'opera maggiore di [[Taddeo Zuccari|Taddeo {{NDR|Zuccari}}]], coadiuvato dal fratello {{sic|Federigo}}, dal Tempesta, e da altri, ma direttore della decorazione, di cui, secondo il contratto, doveva fornire tutti i disegni, è l'ornamento pittorico del Palazzo Farnese di Caprarola: ineguale di valore, secondo l'importanza delle varie stanze e la maggiore o minore fretta dell'esecuzione. Come nella Villa di Papa Giulio, l'arte della grottesca ha qui uno dei migliori esempi dell'età postraffaellesca, sebbene spesso lo studio superficiale di ricchezza, la sovrabbondanza dei motivi, l'abuso degli stucchi, distruggano l'eleganza antica; e invano si cerchi lo stile preciso e sottile di un Giovanni da Udine in queste stampe già logore. Così, nella volta della cappella, ove Taddeo introduce il delizioso motivo dei putti-cifra, sguscianti con grazia correggesca, capelli al vento, da mensole e cartelle, la grossolana ghirlanda di frutta intorno al tondo centrale menoma la nobiltà della grottesca rinata nel Cinquecento romano. (vol. IX, parte V, pp. 855-856)
 
*Negli affreschi della ''Vita di San Paolo'' in San Marcello al Corso, e specialmente nella ''Punizione di Elima'', Taddeo s'ispira agli esempi del tardo Raffaello, studiandosi di disporre con maestà statuaria le figure entro lo spazio architettonico. I movimenti sgangherati, la mimica stereotipata e teatrale, i ripetuti motivi di rozzo stampo manieristico, quale il giovane che abbraccia la colonna, ci danno quasi la parodia delle composizioni raffaellesche per arazzi, sommergendo nell'enfasi più stucchevole la maestà degli esemplari. (vol. IX, parte V, p. 865)
 
*La prima opera che ci presenti definita e distinta da quella del fratello {{NDR|Taddeo}} la personalità di [[Federico Zuccari]], è l'''Epifania'' della cappella Grimani in S. Francesco delle Vigne a Venezia, firmata e datata 1564, dal marchigiano ventiduenne. [...]. Nello scenario veneto, in cui persino riappaiono, in angolo a destra, i lastroni marmorei cari a Jacopo Bassano, i personaggi si dispongono lungo le due linee a V frequenti nell'arte veronesiana; ma nel disporle Federico Zuccari mostra di non aver la minima idea del valore cromatico delle costruzioni sfaccettate di Paolo {{NDR|Veronese}}, e delle conseguenti rifrazioni di colore: egli rimane il manierista romano che mira a un'eleganza di pose compassata e frigida. La sensibilità del giovane, non ancora qui soffocata dalle aride formule, si riflette nella grazia decorativa che viene al quadro da una distribuzione di figure sparsa e {{sic|leggiera}}, culminante nel nodo serico della Vergine e degli angeli. Il bimbo, minuscolo gingillo, dà l'ultimo tocco a questo singolare esempio manieristico di eleganza languente e preziosa. Anche il colore, nelle sue note basse e fioche, ci presenta in questo esordio di Federico Zuccari un'opera studiata, fredda, ma gentile, aliena da pretensioni spirituali e formali, e come timida in quel tentativo incerto e commovente di conciliare il mondo d'arte da cui è uscita e il nuovo raggiante in Venezia. (vol. IX, parte V, pp. 871-872)