Leone Fortis: differenze tra le versioni

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*Ho sentito speso deplorare che l'Italia non abbia tanta abbondanza di uomini grandi come ne hanno l'Inghilterra e la Francia, e trarne argomento per elegie convenzionali.<br>Chetatevi, falsi Geremia. – Vi è in Italia qualcuno che è più grande di tutti gli uomini illustri dell'{{sic|êra}} moderna, – più liberale e più modesto di Franklin, più virtuoso di Washington, più audace di Napoleone I, più astuto di Cavour, più tenace di Bismarck. – Questo qualcuno è quel popolo, che lascia partire gli Austriaci da Venezia senza un tripudio di {{sic|gioja}}, e lascia sfilare i pellegrini della reazione europea attraverso le sue città, e raccogliere in battaglioni serrati nella sua Roma, senza uno scoppio di collera, – e ha il talento, la saggezza, la baldanza di... starli a guardare. – Questo popolo è il nostro, è il popolo italiano. (cap. XVII, p. 211)
 
*Una sera, molto vicina a quella della catastrofe, lo incontrai a tarda ora in Galleria. In quel giorno la {{sic|vulgarità}} borghese, gretta, piccina, astiosa, biliosa, invidiosa, la quale detesta e combatte tutto ciò che s'innalza al di sopra del suo livello, – sia genio, bellezza, ricchezza, fortuna – lo aveva addentato con maggiore accanimento. Il povero [[Giuseppe Mengoni|Mengoni]] era nervoso, inquieto, agitato; aveva la parola rapida, sussultoria, amarissima: ''Ti giuro'', mi disse, ''che io vorrei che la cupola della Galleria e l'arco mi crollassero addosso e mi schiacciassero sotto di sé''. Si sarebbe detto un presagio. (cap. XXXVI, p. 470)
 
*{{NDR|[[Giuseppe Mengoni]]}} [...], da quel suo modo di parlare tutto ad incisi che s'incastonavano l'uno dentro dell'altro come gli anelli di una catena, da quelle divagazioni che si accavallavano, da quel suo dialetto romagnuolo che di tanto in tanto saltava fuori, vivace e caratteristico, si sentiva in lui il poeta.<br>E fu veramente il poeta dell'architettura – non il poeta classico dalla forma semplice, corretta, dalle linee castigate e severe – ma il poeta romantico dagli ardimenti liberi, dalle immagini audaci, dalle antitesi arrischiate. – Qualcuno lo disse il Victor Hugo della curva. Il paragone era giusto. Solo che le sue liriche le lasciò solidificate in monumenti che restano, e uno di questi si chiama la Galleria di Milano. (cap. XXXVI, pp. 471-472)