Salvatore Di Giacomo: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Salvatore di Giacomo==
*Chi bada in [[Napoli]] al suo decoro? Certo, chi dovrebbe no. Lascia fare e lascia correre – ecco la frase filosofica, sacramentale d'ogni indifferente partenopeo, sia egli in alto nella cosa pubblica o le passi accanto tranquillo.<ref>Da ''Il palazzo di Giustizia in Napoli'', in ''Saggi insoliti'', Stamperia del Valentino, Napoli; citato in Antonio Emanuele Piedimonte e Anna Scognamiglio, ''Napoli. {{small| Uomini, luoghi e storie della città smarrita}}'' Intra Moenia, Napoli, 2013, p. 13. ISBN 978-88-95178-77-6</ref>.
*Ed è a proposito di Giuliano da Maiano che qui ci ricorre alla memoria quel napoletano [[Giovanni Francesco Mormando|Giovanni Donadio, detto il {{sic|Mormanno}}]], il quale ben potrebbe essere stato uno degli scolari più egregi di quell'elegante artefice fiorentino. Era il Donadio, come un suo pur conosciuto fratello, architetto e costruttore d'organi a un tempo, e forse aveva tutte e {{sic|due cose}} appreso a Firenze da tanto maestro: certamente il costui modo nobile e ricco si riscontra in tutte le opere alle quali i signori napoletani chiamarono il Mormanno e si manifesta specie nell'architettura e nella decorazione così del palazzo dei di Capua in ''Via S. Biagio de' Librai'', come nell'altro de' duchi di Vietri, che gli è vicino e che ora è posseduto dal duca di Corigliano Saluzzo.<ref>Da ''Napoli'', pp. 92-93.</ref>
*{{NDR|Francesco Proto}} Egli aveva detto in casa, nel caffè, nel salotto, a teatro, fin nella bottega del parrucchiere, ove i garzoni ammirati afferravan rime a volo, quel che nemmanco le gazzette avevano osato stampare: di questi ultimi tempi, in cui son precipitati a Napoli uomini e molte cose, giudizi tenuti dagli spettatori paurosamente chiusi nell'animo, il vecchio duca aveva espressi con alta e affilata parola: in verità egli ci pareva un [[Giuseppe Baretti|Baretti]] novello che menasse attorno la sua frusta schioccante e, senza alcun odio, ma pur senza misericordia alcuna, ne andasse attorno verberando amici e nemici...<ref>Citato in ''Epigrammi del [[Raffaele Petra|marchese di Caccavone]] e del Duca di Maddaloni'', a cura di Giuseppe Porcaro, Arturo Berisio Editore, Napoli, 1968, risvolto di copertina.</ref>
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*Sulle rovine della trattoria di Solla, o meglio, della sua ''pagliarella'' famosa, sugli umidi terreni delle ''Paludi'' è sorto un quartiere novello {{sic|co'}} suoi trenta colossali palazzi. Ed è venuto su davanti ai meravigliati occhi della gente di quartier [[Vicaria]] come in un racconto delle ''Mille e una notte'' sorge dalla fantasia di Sheherazade una reggia, rimpetto al palazzo d'[[Hārūn al-Rashīd|Harun–al–Rascid]].<ref>Da ''Antiche taverne'', ''Luci e ombre napoletane'', p. 137.</ref>
*{{NDR|[[Via Toledo]]}} [...] la gran fiera d'ogni agitazione, il teatro d'ogni passione tumultuaria e fuggevole, la rapida scena perenne d'ogni forma della vivacità partenopea.<ref>Da ''Il Quarantotto'', ''Luci e ombre napoletane'', p. 144.</ref>
*In verità, quanta somiglianza di costume tra {{sic|que'}} napoletani del tempo di [[Nerone]] e i napoletani del tempo nostro! Ecco [[Petronio Arbitro|Petronio]] che ci descrive un mercato di panni vecchi, così come oggi lo vediamo al ''Carmine'' e a ''Porta Nolana''; ecco il cantastorie, tolto di mira dagli ''[[scugnizzo|scugnizze]]'' del tempo; ecco una erbivendola che si [[Voci e gridi di venditori napoletani|sgola]] a un canto di strada; ecco Gitone e il barbiere d'Encolpio che, a braccetto, nella notte serena, se ne vanno a [[Crotone]] e cantano a distesa, o, come si direbbe adesso, a ''ffigliole''. Un cuoco, al famoso convito di Trimalcione, mette in tavola le lumache ''cum tremula taeterrimaque voce'' accompagnando la leccornia: e così ricordiamo il nostro ''maruzzaro''<ref>Venditore di lumache di terra o di mare o di frutti di mare.</ref>e la maniera e il tono di quel suo canto che s'indugia a vantare <nowiki>'</nowiki>''e maruzze<ref>Lumache di terra o di mare.</ref>d' 'a festa ca so' meglie d' 'e cunfiette''. E quante forme, quasi uguali, di locuzioni e d'apostrofi! Quelli antichi partenopei dicono ''urceatim plovebat'' e noi diciamo ''chiuveva a langelle'': dicono ''bonatus'', e noi diciamo ''abbunato''<ref>Bonaccione, semplicione. La definizione è in Sergio Zazzera, ''Dizionario napoletano'', Newton Compton Editori, Roma, 2016, p. 18. ISBN 978-88-541-8882-2</ref></ref>. Per dir ''tu non sei del bottone''<nowiki>Non appartieni alla nostra combriccola.</nowiki>quelli dicevano ''non es nostrae fasciae''; e la frase ''nescio cui terrae filius''<ref>Non so a chi tu sia figlio. {{cfr}} ''Napoli: figure e paesi e Luci e ombre napoletane'', nota 2, p. 192</ref> tenea luogo di ''nun saccio a chi figlio 'e p...''; e ''nun aiza 'a capa 'a copp' 'o libro'' si diceva ''caput de tabula non tollit''. Le lievi ferite, all'uso nostro, erano medicate con la ragnatela... ''at Giton... primum aranei oleo madentibus vulnus... coartivit...'' Qualcuno diceva ''Dies nihil est, dum versas te nox fit''<ref>La giornata è breve, il tempo di girarti e rigirarti ed è notte. {{cfr}} ''Napoli: figure e paesi e Luci e ombre napoletane'', nota 3, p. 192.</ref>: – e voleva dire: – <nowiki>'</nowiki>''a jurnata è corta: mentre ca te vuote e te ggire s'è fatto notte''. Ma che! Se non mi sbaglio anche il ''[[Pernacchia| vernacchio]]'' è greco. Parla non so qual tronfio oratore alla mensa trimalcionica ed ecco qualcuno che, all'ultime enfatiche parole del conferenziere, ''oppositaque ad os manu nescio quid tetrum exibilavit, quod postea graecum esse adfirmabat!''<ref>E portata la mano alla bocca, non so che cosa abbia sibilato di tetro che dopo abbia detto lingua greca. {{cfr}} ''Napoli: figure e paesi e Luci e ombre napoletane'', nota 4, p. 192.</ref><ref>Da ''Fuorigrotta, ''Luci e ombre napoletane'', p. 192.</ref>
 
{{Int|''Evocazioni e Prose d'arte''}}