Martino Aichner: differenze tra le versioni

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*I due [[aeroplano|velivoli]] di [[Carlo Faggioni|Faggioni]] e di Spezzaferri si presentano all'orizzonte in sezione ala contro ala: l'[[Savoia-Marchetti S.M.79|S 79]] era un velivolo trimotore con eccezionale sensibilità ai comandi: quando un pilota l'aveva preso bene alla mano riusciva a fare pattuglia inserendo la propria ala tra l'ala e la coda del capopattuglia. Questa formazione serrata faceva parte dell'addestramento degli aerosiluranti per la difesa della caccia nemica, come il volo a pelo d'acqua: in tal modo l'assalitore si trovava di fronte più mitragliatrici dorsali anziché una sola e correva il rischio di infilarsi in mare se non interrompeva tempestivamente la picchiata di attacco. La manovra era impressionante le prime volte ma quando si erano vinti i primi timori, si trovava una buona sincronizzazione dei tre motori e si aveva una grande fiducia nel capopattuglia, diventava un'esercitazione divertente. Era necessaria una costante vigilanza sul piede e sulla manetta per mantenere l'esatta distanza dal capopattuglia (il pericolo era di avvicinarsi troppo e mangiargli o farsi mangiare l'estremità alare con l'elica laterale). (p. 38)
*Alla 278ª squadriglia era stato assegnato da poco tempo il sottotenente [[Carlo Pfister]]; bello e affascinante con quella sua vena di malinconico scetticismo, era il conquistatore delle platee femminili. Erede di una famiglia patrizia di Genova, di origine svizzera, era venuto a far la guerra per dimostrare agli altri e a se stesso di aver qualcosa di suo da dire al mondo senza dover ricorrere agli antenati. Era un pilota validissimo e forse il più coraggioso di tutti: non conosceva la paura e riusciva a dimostrarlo senza ostentazione. Lo vidi più volte prima, durante e dopo l'azione, e il suo viso era sempre disteso, tranquillo, sicuro; credo che le pulsazioni del suo cuore avessero lo stesso ritmo durante la battaglia come durante la siesta. Purtroppo dovetti partecipare al riconoscimento della sua salma, assieme a [[Giulio Cesare Graziani|Graziani]], Baudazzi e al cappellano quando egli precipitò nei pressi di Caltagirone, nell'inverno del 1942. (p. 40)
*C'erano nuvole basse e [[Giulio Cesare Graziani|Graziani]], [[Carlo Pfister|Pfister]] e io dovevamo trasferirci con tre velivoli da Trapani a Catania. Graziani e io passammo dal mare, a sud di Siracusa, attenti a non incappare nei palloni frenati, alzati a protezione del porto di Augusta. Pfister volle tagliare tra i monti; aveva già superato la parte più difficile, infilandosi nelle valli tra le sfrangiature delle nuvole, aveva sorvolato Caltagirone da poche decine di metri, e proprio sulla sella, dove si apre la pingue, verde piana di Lentini, l'ala aveva toccato terra in piena velocità e l'aeroplano si era letteralmente sbriciolato seminando nei campi per centinaia di metri rottami, masserizie ed i corpi orribilmente mutilati dei nostri compagni. le salme dei componenti dell'equipaggio erano state raccolte e portate al cimitero dove ci recammo per il riconoscimento: fu lo spettacolo più tragico, più triste e più sconvolgente della mia vita. (p. 40)
*Dopo la battaglia di Pantelleria, [[Mussolini]] aveva voluto premiare gli aviatori per gli efficaci risultati ottenuti su segnalazione del ministero, aveva scelto [[Carlo Emanuele Buscaglia]] come espressione più completa e valida per rappresentare il valore dell'aviatore nella [[Seconda guerra mondiale|seconda guerra mondiale]]. Veniva a pesare così sul capo di Buscaglia l'alone di gloria assegnato nella [[Prima guerra mondiale|prima guerra]] a [Francesco] Baracca. (p. 42)
*Come [[Carlo Emanuele Buscaglia|Buscaglia]] e [[Carlo Faggioni|Faggioni]], [[Giulio Cesare Graziani|Graziani]] manifesta sempre un'estrema sicurezza di riuscire a farcela: per loro sembra non aver valore quel calcolo statistico compilato da qualcuno che rivela che la media delle azioni dalle quali si può tornare vivi è di tre o quattro al massimo; questa media si rivelerà purtroppo esatta per il nostro reparto, che alla fine del ciclo operativo si ritroverà con otto equipaggi superstiti dei venti con i quali era partito. (p. 51)