Scilla
ninfa trasformata in mostro marino nella mitologia greca
Citazioni su Scilla.
Citazioni
modifica- Cadi in Scilla, cercando di evitare Cariddi. (Gualtiero di Châtillon)
- Miei cari, noi non siamo ignari di mali, e questo | che incombe non è più grande di quando il Ciclope | con la sua forza violenta ci serrò nell'antro profondo. | Di là grazie al mio valore e intendimento e pensiero | sfuggimmo. E anche delle cose di ora, credo, ci ricorderemo. (Ulisse: Odissea)
- Nel destro lato è Scilla; nel sinistro | è l'ingorda Cariddi. Una vorago | d'un gran baratro è questa, che tre volte | i vasti flutti rigirando assorbe, | e tre volte a vicenda li ributta | con immenso bollor fino a le stelle. | Scilla dentro a le sue buie caverne | stassene insidïando; e con le bocche | de' suoi mostri voraci, che distese | tien mai sempre ed aperte, i naviganti | entro al suo speco a sè tragge e trangugia. | Dal mezzo in su la faccia, il collo e 'l petto | ha di donna e di vergine; il restante, | d'una pistrice immane, che simíli | a' delfini ha le code, ai lupi il ventre. | Meglio è con lungo indugio e lunga volta | girar Pachino e la Trinacria tutta, | che, non ch'altro, veder quell'antro orrendo, | sentir quegli urli spaventosi e fieri | di quei cerulei suoi rabbiosi cani. (Eleno: Publio Virgilio Marone, Eneide)
- Non permise il padre degli dei e degli uomini che mi vedesse Scilla: non avrei potuto sfuggire all'abisso di morte. (Ulisse: Odissea)
- Raccontano che Scilla, figlia del fiume Crateide, fosse una fanciulla bellissima. Di lei si innamorò Glauco, che a sua volta era amato da Circe, figlia di Sole. Scilla aveva l'abitudine di lavarsi in mare; e Circe, gelosa, avvelenò l'acqua con i suoi filtri. Quando Scilla s'immerse, dai suoi inguini spuntarono dei cani e divenne un mostro selvaggio. Ella poi si prese la rivincita delle offese patite: infatti divorò i compagni di Ulisse che le sfilava vicino sulla nave. (Fabulae)
- Solo qualche mostro – Scilla, con le sue | due teste, terrore dei naviganti – forse | potrebbe prestarle il nome che si merita. (Eschilo)
- Deh Scilla, indrizza | al segno il ferro, ch'io palleggio! Avrai | del pesce anciso le adipose spoglie | e 'l rostro penderà dal tuo sacello. | Cariddi, e tu trascorri: io pur di bende | le tue are precinsi, e te solìa | propiziar con piccioletta acerra, | e dèsta sempremai lampa t'accensi. | Sì parla ritto sulla poppa e il ferro | a piombo avventa, e ne trapassa il pesce. | Cade il tridente, ma impigliato al fianco | attiensi del legnetto: in mezzo l'onde | si dimena lo Xiphia, e invan del corpo | di sferrar l'alta lancia s'affatica: | sta la punta mortal nel corpo infissa! | Scelti garzoni a la morente belva | vanno i lacci allentando: ella tuttora | qua e là discorre coi lentati lacci; | e fra la dubbia speme i fuggitivi | spirti richiama, e in su lo stremo istante | tuttor le ciurme ostili ella minaccia: | finché dal corso stanca ed a gran pena | il piagoso pel mar dosso traendo, | sosta, e col sangue anco la vita esala.
- Scilla, gioia del mar, presente nume! | Per te i nostri garzoni la paventosa | osano provocar bieca Cariddi | ed in mare a le belve tener fronte. | Vienne oramai, i liquidi cristalli | abbandonando, e non spregiar de' nauti | le notturne gazzarre e l'orgie liete. | Già tutto a festa il tempio tuo s'infonda, | e fiammelle vedrai su l'erta splendere | chiostra de' monti, e 'l pelaghetto immobile | riscintillare a le corrusche fiaccole. | Quattro schiette fanciulle in bianca gonna | te innanzi l'ara propizieran cantando, | ed altrettante a suon di frigi calami | a tempo danzeranno a l'ara innante.
- Chinandosi al suol, con la bipenne | dal teschio, che non tocco ivi giacea, | discinde il rostro; alto levansi tutti | i banchettanti, il tridentier gagliardo | ascende al sommo del sacello, ed una | voco s'ode tuonar di balza in balza: | Salve, Scilla divina, ecco t'inaugura | Meronte vincitor questo trofeo.