Salvatore Settis
archeologo e storico dell'arte italiano (1941 - ), ventiquattresimo direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa
Salvatore Settis (1941 – vivente), archeologo e storico dell'arte italiano.
Citazioni di Salvatore Settis
modifica- "Bello" e "brutto" non sono definibili: troppo legati alle epoche e alle culture.[1]
- Chi offende l'arte classica è come chi bestemmia: nomina comunque Dio.[1]
- Gli antichi arrivarono a un passo dalla nave a vapore.[1]
- Non dico e mai ho detto che non si debbano fare grandi opere ma bisogna controllarle una a una. E, ripeto, che l'opera cruciale e prioritaria è la messa in sicurezza del territorio, iniziativa che darebbe molto lavoro a imprese e a singoli cittadini.[2]
- Occorre sempre distinguere fra critica d'arte e storia dell'arte.[1]
- Oggi non è più accettato che la cultura classica sia la più formativa, ma essa rimane alla base del nostro modo di pensare.[1]
- Sottrarre un reperto al suo contesto vuol dire ucciderlo: ora lo pensano in molti.[1]
- Il punto più importante della riforma Franceschini è stato spostare risorse verso i Musei depotenziando così le Soprintendenze. Queste hanno la vera presa sul territorio e non dovevano in nessun modo essere depotenziate. Inoltre, questa riforma, sembra non tener conto del fatto che i musei italiani, faccio l'esempio degli Uffizi, sono qualcosa di molto diverso dai musei americani. Prendiamo il Metropolitan, Uno va nei musei di New York e ci trova dei quadri del Medioevo, del Rinascimento che nelle chiese di New York non ci sono proprio. Uno va nei musei di Roma o di Milano o di Firenze e si trova dei quadri degli stessi pittori come Caravaggio che si trovano anche nelle chiese. C'è una grande differenza. I nostri musei sono incardinati nel territorio e distaccarli dal territorio è un errore di grammatica grave.[3]
Intervista di Simona Maggiorelli, Left.it, 3 maggio 2019.
- Venezia offre l'esempio supremo di una transizione dall'ordine della natura a quello della cultura.
- La ragione per cui Venezia si presta ad essere il simbolo delle città storiche è che, oltre ad essere straordinariamente bella, il suo tessuto urbano vive in simbiosi con la natura e in particolare con la Laguna.
- Queste gigantesche navi sfilano portando decine di migliaia di persone al giorno, che guardano Venezia dall'alto stando in mutande. A volte non si degnano nemmeno di scendere. Questa intrusione di grattacieli immobili, distrugge il rapporto con la natura. È un problema non solo estetico, ma anche di natura etica,comportamentale, sanitaria, perché è chiaro che queste navi inquinano pesantemente. Le autorità comunali, regionali e nazionali fanno finta di non vedere ma lo sanno tutti.
- [Oltre alle «navi grattacielo», c'è stato anche chi ha avanzato il progetto folle di costruire un cordone di grattacieli a margine della città per proteggerla dall'acqua alta. Il postmoderno in architettura rischia di fare danni irreparabili?] Questo «grattacielismo» – l'espressione è di Vittorio Gregotti – affligge l'architettura contemporanea. È un figlio diretto della speculazione finanziaria. Edificare in altezza non conviene a chi ci va a vivere o a lavorare.
Intervista di Maurizio Pagliassotti e Mauro Ravarino, Ilmanifesto.it, 6 dicembre 2018.
- Dire no al Tav non significa dire no alle grandi opere, ma dire no a una infrastruttura non prioritaria. Sostenuta, tra l'altro, con calcoli fallaci.
- [Cosa pensa della levata di scudi pro Tav che protagonista il cosiddetto «partito del Pil», come è stata definita l'assise di imprenditori riunitisi a Torino?] Non conosco queste persone, le loro ragioni possono essere molto diverse. Sono preoccupati di interrompere un processo che coinvolgerebbe tante imprese, ma la vera risposta è dire no a qualcosa e sì a qualcos'altro. Sono stati, infatti, fatti conti su quanto tanto costi allo Stato la mancanza di prevenzione e quanto converrebbe mettere in sicurezza il territorio. Per farlo si potrebbero spendere i soldi per il Tav.
- [È giunto il tempo di contestare «la retorica della crescita senza fine»?] È stata contraddetta da eventi cruciali del nostro tempo. L'attuale presidente degli Stati Uniti la predica, riducendo l'estensione dei parchi nazionali, e sostiene che non ci siano cambiamenti climatici; basta vedere il clima di oggi a Roma per contraddirlo. Purtroppo prosegue una logica di rapina nei confronti del territorio. Si dovrebbe ricordare una saggezza comune in molte civiltà che afferma che noi siamo i custodi e non i padroni della Terra. E lo siamo in funzione delle prossime generazioni. Quindi non dovremmo ragionare sul domani, ma sull'eredità del mondo che vogliamo lasciare ai figli dei nostri figli.
Intervista di Lele Liguori, Memos, 18 aprile 2016 (min. 3:10-4:56).
- [Riguardo all'articolo 9 della Costituzione] Questo contenuto che abbiamo ascoltato, se si guarda alla gran parte delle Costituzioni è un contenuto inedito?}} Inedito, molto innovativo, molto nuovo. Carlo Azeglio Ciampi, in un bellissimo discorso che ha fatto su questo tema quando era Presidente della Repubblica, ha detto -e credo che abbia ragione- che è l'articolo più originale della nostra Costituzione. E per la prima volta un principio come questo figura fra i principi fondamentali di uno Stato.
- Bisogna anche riconoscere che, nel momento in cui i membri dell'Assemblea Costituente ci hanno pensato, avevano dei precedenti. In realtà, risulta dalla discussione parlamentare registrata negli atti della Costituente che il precedente che avevano in mente i due proponenti -di cui ora dirò- era la Costituzione tedesca della Repubblica di Weimar del 1919, una costituzione in cui un articolo che non era fra i principi fondamentali (il 154) parlava di protezione del paesaggio e di protezione dei beni culturali con un linguaggio, però, molto più diluito e molto meno efficace.
- È molto interessante che i due proponenti [dell'articolo 9 della Costituzione] di allora siano stati un anziano professore di latino comunista, Concetto Marchesi, che è stato rettore dell'Università di Padova, e un giovanissimo giurista democristiano, Aldo Moro.
Intervista di Nicola Davide Angerame, Artribune.com, 3 settembre 2015
- [«Crede che un classico, per essere tale, si basi sulla sua capacità di divenire modello per le copie successive?»] Classico vuol dire modellizzabile.
- [«Ma come veniva intesa l'arte da coloro che noi oggi chiamiamo "classici"?»] Nella Grecia antica, dal VI al IV secolo, si è attribuito uno statuto all'arte ben preciso. Noi oggi pensiamo che gli artisti greci fossero mossi da una superiore ispirazione, ma essi in realtà traevano spunto dalla polis. Gli artisti erano cittadini che lavoravano per i propri concittadini. Lo si vede bene in alcune copie esposte in mostra come: il corpo atletico di un Apollo, copia da un bronzo di Fidia, il Doriforo di Policleto (il cui originale era in bronzo), o il Bronzo A di Riace, la cui attribuzione più probabile è a Mirone. Sono opere prodotte nello stesso decennio e nella stessa città da tre artisti supremi che si somigliano moltissimo.
- [Il modo greco] di rappresentare il corpo apparteneva ad una tipologia precisa. Ogni artista si sforzava di essere più bravo dell'altro variando le proporzioni, modellando la muscolatura, esaltando le vene e levigando la superficie del corpo. Però, in fondo, tutti esprimevano un valore comune.
- La Fondazione Prada somiglia molto di più a quanto succede negli Stati Uniti. Ho lavorato molti anni per il Getty Trust, nato come istituzione privata a vocazione pubblica grazie ai soldi di un grande petroliere. È un modello esemplare al quale le fondazioni in Italia dovrebbero adattarsi. La Fondazione Prada è così. Non si tratta di un tipo di pseudo mecenatismo privato che, di fatto, cerca di ottenere soldi pubblici. Succede così in molti casi italiani.
Note
modifica- ↑ a b c d e f Citato in Incontro con Salvatore Settis. La voce della storia, Archeologia Viva.it, marzo-aprile 2018.
- ↑ Dall'intervista di Maurizio Pagliassotti, Mauro Ravarino, Settis: «La grande opera utile per l'Italia è mettere in sicurezza i territori», Il Manifesto, 6 dicembre 2018.
- ↑ Dall'intervista di Alessandra Randazzo, Intervista al professore Settis, Mediterraneo Antico.it, pp. 1-2.
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