Raccolta di proverbi friulani.

Il Friuli dal satellite
  • A chel mus ca nol puarte baste, no si dai vene.[1]
A quell'asino che non porta basto (carico), non si dà avena.
  • A cuinćā la salate a l'ūl un mat a metti il ueli e un savi a metti l'asēt.[2]
Per condire l'insalata ci vuole un pazzo nel mettere l'olio e un saggio nel mettere l'aceto
  • A fā la barbe al mus, si pierd timp i fadie.[1]
A fare la barba all'asino, si perde tempo e fatica.
  • A mangiā fritae e polente l'è come balā cu la sō femmine.[3]
Mangiare frittate e polenta è come ballare con la propria donna.
  • A vuelin siet umigns a fâ une ciase, e baste una femine a sdrumâle.
Ci vogliono sette uomini per fare una casa, ma basta una donna per distruggerla.[4]
  • Ai prēdi si dai la crodeuće.[5]
Ai preti si dà la cotica.
Lo dicon i contadini per indur i figli a farsi preti [...][6]
  • Al è lari tant cui che al robe, che cui che al ten il sac.
È ladro tanto chi ruba quanto chi tiene il sacco.[7]
  • Al mange plui vene chel mus ca nol tire la carete.[1]
Mangia più avena quell'asino che non tira la carretta.
  • Altri è il fevelā di muart è altri l'è il murī.[8]
Una cosa è parlare di morte, un'altra morire.
  • Al val tant un sōld in sorēli che in ombrene.[9]
Vale tanto un soldo al sole quanto all'ombra.
Vale lo stesso guadagnare lavorando in campagna che a bottega.[10]
  • Amî di dug, amî di nissun.[11]
Amico di tutti, amico di nessuno.
  • Barbe rosse pēl di diaul.[12]
Barba rossa pelo di diavolo.
  • Bisugne temē Dio par amōr | e no amālu par timor.[13]
Bisogna temere Dio per amore e non amarlo per timore.
  • Co è la sō ore no val nuje dī di no.[14]
Quando è giunta la propria ora non serve a niente dir di no.
  • Cu la umiltāt si romp la glāce.[15]
Con l'umidità si rompe il ghiaccio.
Umiltāt ha il doppio significato di umidità e umiltà.[16]
  • Cuant che e ciape fûc la cjase, no bisugne scjaldâsi.
Quando la casa piglia fuoco non è il momento di scaldarsi.[4]
  • Cuarp passūt, anime consolade.[17]
Corpo sazio, anima consolata.
  • Cui ca l'è mat nol uaris mai | e s'al uaris l'è fortunat assai.[18]
Chi è pazzo non guarisce mai e se guarisce è fortunato assai.
  • Cui che ame i giaz, ame lis femminis.[19]
Chi ama i gatti ama le donne.
  • Cui che ben vīv, ben mūr.[14]
Chi bene vive, bene muore.
  • Cui che l'ha bon vin a ćāse nol va ta l'ostarie.[20]
Chi ha il buon vino a casa, non va in osteria.
  • Cui che nas l'ha di murī.[14]
Chi nasce è destinato a morire.
  • Cui che va donge dai mulinārs reste infarināt.[21]
Chi va vicino ai mugnai resta infarinato.
  • Cui grans si fâs il stâr.[22]
Granello dopo granello si riempie lo staio.
  • Cul timp e cu la pae si madressin i gnespui.[23]
Col tempo e con la paglia si maturano le nespole.
  • Denant da l'ore no si pò nè nassi nè murī.[8]
Prima dell'ora (fissata) non si può né nascere né morire.
  • Di ca a cent ang val tant il lin, che la stope.[14]
Da qui a cento anni vale tanto il lino quanto la stoppa.
  • Dure plui une cite sclapade che une gnove.[14]
Dura più una pentola lesionata che una nuova.
Qualche volta campa più un vecchio malaticcio che un giovine sano e robusto.[24]
  • Dōs rōbis son buinis dōpo muartis: avar e purćit.[25]
Due cose sono buone dopo esser morte: avaro e maiale.
  • Dure plui une cite sclapade che une gnove.[14]
Dura più una pentola lesionata che una nuova.
Qualche volta campa più un vecchio malaticcio che un giovine sano e robusto.[26]
  • El vin al è latt da puars vecios.[27]
Il vino è il latte dei poveri vecchi.
  • Gialine viere fās bon brūt.[25]
Gallina vecchia fa buon brodo.
  • I passūz crodin ca no ur vegni mai plui fan.[17]
I sazi credono che non gli venga più fame.
  • Il brāv miedi no l'ha pōre a scorteā.[18]
Il bravo medico non ha paura di scorticare.
  • Il caffè l'è bon cun tre S: | sedendo, scottando e scroccando.[28]
Il caffè è buono con tre S: seduti, bollente e a scrocco.
  • Il corli plui devente vieri e miei al ģire.[29]
L'arcolaio più diventa vecchio meglio gira.
  • Il diaul la sa tant lunge, parcē ca l'è viēli.[29]
Il diavolo la sa tanto lunga perché è vecchio.
  • Il formadi a l'è il sigillum stomaci.[23]
Il formaggio è il sigillum stomaci.
  • Il fūc l'è mieģe compagnie.[21]
Il fuoco è metà compagnia.
  • Il lat nol ven dai ues.[30]
Il latte non viene dalle ossa.
  • Il māl l'è un trist compagn.[18]
La malattia è un maligno compagno.
  • Il passūt nol crōd al plen di fan.[17]
Il sazio non crede all'affamato.
  • I rīs son la mignestre plui buine e la plui triste.[3]
Il riso è (i risi sono) la minestra più buona e la più triste.
  • Il sium l'è l'immagine da muart.[8]
Il sonno è l'immagine della morte.
  • Il vin l'è bon d'avrīl pūr e mai temprāt.[20]
Il vino è buono puro in aprile e (a maggio/e mai) temperato.
Scherzo sull'omonimo mai: (maggio, e mai negazione)[31]
  • Il vin di ćāse nol inćoche.[20]
Il vino di casa non ubriaca.
  • Jè plui grande la pōre dal māl, che il māl istes.[30]
È più grande la paura del male che lo stesso male.
  • L'è lāri tan cui cu robe che cui cu ten il sac.[21]
È ladro tanto chi ruba che chi tiene il sacco.
  • L'è miei jessi in disgraćie di Dio che da justizie.[32]
È meglio essere in disgrazia di Dio che della giustizia.
Perché Dio è più misericordioso.[33]
  • L'è miei sparagnā il flāt par quand ca si ha di murī.[8]
È meglio risparmiare il fiato per quando si deve morire.
  • L'è un trist ucel chel ca nol puarte cun se la plume.[34]
È un triste uccello quello che non porta con sé le piume.
Si dice in senso figurato d'un operaio che non porti seco gl'istrumenti che gli son necessarii.[35]
  • L'onōr nol fās bulī la cite.[17]
L'onore non fa bollire la pentola.
  • L'ultim tabār l'è fat sense sachetis. (Udine)[36]
L'ultimo mantello è cucito (fatto) senza tasche.
  • L'ūv no l'ha di insegnā alla gialline.[34]
L'uovo non deve insegnare alla gallina.
  • La malizie a cres cu l'etāt.[29]
La malizia cresce con l'età.
  • La speranće, je il rimiedi dai disperās.[8]
La speranza è il rimedio dei disperati.
  • La volp lāsse il pel, ma il vīzi no.[37]
La volpe lascia il pelo, ma non il vizio.
  • Lis femminis ogn'an deventin plui ģovins.[29]
Le donne diventano ogni anno più giovani.
Perché dicono ogn'anno d'averne uno di meno.[38]
  • Lis malatiis – son avīs.[18]
Le malattie – sono avvertimenti.
  • Līs robis lungis deventin madracs.[39]
Le cose lunghe diventan serpi.[40]
  • Miei vin turbit che āghe clare.[20]
Meglio vino torbido che acqua limpida.
  • Muss e musse prest s'intindin.[41]
Asino e asina presto (subito) s'intendono.
  • Nessun plui nemî dall'om, che l'om istess.[42]
Nessuno (è) più nemico dell'uomo dell'uomo stesso.
  • No si vīv dome cūl pan.[43]
Non si vive di solo pane.
Pane dato a malincuore non fora le budella.
  • Pan d'un dì | ūv d'un'ore | lat d'un minūt | e vin d'un an.[44]
Pane di un giorno, uova di un'ora, latte di un minuto e vino di un anno.
  • Pan e gaban – l'è bon dut l'an.[44]
Pane e cappotto – sono buoni l'anno.
  • Panze sclopā ma rōbe no vanzā.[17]
Fai scoppiare la pancia, ma non far avanzare nulla.
Pelle, numero uno.
La salute prima di tutto.
  • Prejere de mus no va in cil.[46]
Preghiera d'asino non va (sale) in cielo.
  • Qualchi volte dure plui une cite viere che une gnove.[14]
Qualche volta dura più una pentola vecchia che una nuova.
  • Quand ca si ha imparāt a vivi in chē volte si mūr.[8]
Quando si è imparato a vivere, allora si muore.
  • Quand che il giat no l'è in paīs, | a fās fieste la surīs.[19]
Quando il gatto non è in paese, il topo fa festa (gode).
  • Se urte simpri en che dēt ca si ha māl.[45]
Si urta sempre in quel dito che duole.
  • Sossedâ nol vûl ingian: o sium o fan.
Sbadigliare non vuole inganno: o sonno o fame.[47]
  • Si da il sorg ai purcis magris.[46]
Si dà il granturco ai porci magri.
Ai peggio porci vanno le meglio pere.[48] (Proverbi toscani)
  • Sta cul to uguāl | si tu us fā bon carnevāl. (Socchieve)[41]
Stai con il tuo uguale se vuoi far un buon carnevale.
  • Su la val di Giosafat si saldin dug i cons.[36]
Sulla valle di Giosafat si saldano tutti i conti.
  • Une gote d'assinć uaste un pittēr di mīl. (Carnia[49])[20]
Una goccia di assenzio guasta un vaso di miele.
  • Val plui un ucel in man che cent par ajar.[34]
È meglio un uccello in mano che cento per aria.
  • Val plui una fete di polente quiete | che une panzade maladete.[43]
È meglio una fetta di polenta in pace che una scorpacciata maledetta.
  • Vin, femminis e marons | van gioldūs tās lor stagions.[50]
Vino, donne e marroni van goduti nelle loro stagioni.
  • Vōs di mus no va in paradīs.[46]
Voce d'asino non va in paradiso.
  1. a b c Citato in Ostermann, p. 52.
  2. Citato in Ostermann, p. 90.
  3. a b Citato in Ostermann, p. 89.
  4. a b Citato in Bolelli, vol. 2, p. 89.
  5. Citato in Ostermann, p. 88.
  6. Spiegazione in Ostermann, p. 88.
  7. Citato in Bolelli, vol. 4, p. 255.
  8. a b c d e f Citato in Ostermann, p. 67.
  9. Citato in Ostermann, p. 46.
  10. Spiegazione in Ostermann, p. 46.
  11. Citato in Ostermann, p. 112.
  12. Citato in Ostermann, p. 62.
  13. Citato in Ostermann, p. 19.
  14. a b c d e f g Citato in Ostermann, p. 68.
  15. Citato in Ostermann, p. 30.
  16. Cfr. Ostermann, p. 30.
  17. a b c d e Citato in Ostermann, p. 76.
  18. a b c d Citato in Ostermann, p. 66.
  19. a b Citato in Ostermann, p. 50.
  20. a b c d e Citato in Ostermann, p. 92.
  21. a b c Citato in Ostermann, p. 110.
  22. Citato in Riccardo Schwamenthal e Michele L. Straniero, Dizionario dei proverbi italiani e dialettali, BUR, 2013, p. 15 § 81. ISBN 978-88-58-65738-6
  23. a b Citato in Ostermann, p. 91.
  24. Spiegazione in Ostermann, p. 68.
  25. a b Citato in Ostermann, p. 87.
  26. Spiegazione in Ostermann, p. 68.
  27. Citato in Proverbi siciliani raccolti e confrontati con quelli degli altri dialetti d'Italia da Giuseppe Pitrè, Luigi Pedone Lauriel, Palermo, 1880, vol. IV, p. 140.
  28. Citato in Ostermann, p. 93.
  29. a b c d Citato in Ostermann, p. 61.
  30. a b Citato in Ostermann, p. 65.
  31. Spiegazione in Osterman, p. 92.
  32. Citato in Ostermann, p. 17.
  33. Spiegazione in Ostermann, p. 2.
  34. a b c Citato in Ostermann, p. 54.
  35. Spiegazione in Ostermann, p. 54.
  36. a b Citato in Ostermann, p. 71.
  37. Citato in Ostermann, p. 49.
  38. Spiegazione in Ostermann, p. 61.
  39. Citato in Ostermann, p. 57.
  40. Proverbio toscano. Cfr. Ostermann, p. 57.
  41. a b Citato in Ostermann, p. 108.
  42. Citato in Ostermann, p. 113.
  43. a b c Citato in Ostermann, p. 86.
  44. a b Citato in Osterman, p. 85.
  45. a b Citato in Ostermann, p. 63.
  46. a b c Citato in Ostermann, p. 53.
  47. Citato in Bolelli, vol. 4, p. 263.
  48. Cfr. Ostermann, p. 53.
  49. Nel testo: Cargna. Cfr. Osterman, p. 14
  50. Citato in Ostermann, p. 83.

Bibliografia

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