Eduardo Scarpetta

Commediografo italiano (1853-1925)
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Eduardo Scarpetta (1853 – 1925), attore e commediografo italiano.

Eduardo Scarpetta

Don Felice

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  • [Il teatro] [...] la più nobile tra le arti, come quella che saggia, retta, geniale, insegn'a tutti, come da una scuola comune. La più nobile, come quella che accoppia il diletto del passatempo all'utile dell'insegnamento, il dolore della correzione al piacere dello spettacolo, che, piacevole e popolare, mostra l'uomo all'uomo, e ne illumina l'intelletto, commovendone gentilmente il cuore. (p. 97)
  • Si narra che Demostene, interrogato una volta, quale egli credesse essere la prima dote d'un oratore, rispose semplicemente: Il porgere; e di nuovo addimandato, quale stimasse la seconda, disse ugualmente: Il porgere; e così richiesto della terza e della quarta, rispose pur sempre: Il porgere, volendo significare che questa era la dote, che dava buona vista a tutte le altre.
    Or se quel valentuomo vivesse ai nostri giorni, ed a qualcuno saltasse il ticchio di interrogarlo, quale via bisogna battere per divenire artista, scommetto un occhio del capo che risponderebbe, senza pensarci su due volte: Lo studio del vero, lo studio del vero, lo studio del vero! (p. 111)
  • [Su Antonio Petito] In lui la camicia bianca e la maschera nera del Pulcinella erano un mero accessorio, e ne potea far senza [...]. Egli aveva bandito da un pezzo la scurrilità grassa, la buffonata sconcia ed obbligata, per dar luogo al motto gaio e piacevole; ed in lui del vecchio, goffo e melenso Pulcinella non restavano che le vesti ed il nome. Gli è che egli presentiva la fine dell'istrionismo, ed accoglieva favorevolmente la riforma che s'imponeva, non per la proposta di uno o più individui, ma per la forza dei tempi mutati, delle idee nuove e nazionali che pigliavano salde radici, anche nel campo delle arti. (pp. 119-120)
  • Oh il mio sogno, il mio dorato sogno di tanti anni! andava spesso fantasticando tra me: rimettere in onore il teatro napolitano! Oh una riforma... una riforma è necessaria e desiderata!... Bisogna che l'arte comica, anche colà, spezzi le catene, in cui si dibatte, avvinta com'è, da un convenzionale barocco e noioso, privo di spirito e di buon senso. Bisogna che vadano in malora le parodie e tutte le burlette con maschere, le quali par che girino sempre sullo stesso perno, e coi loro medesimi personaggi somigliano al giuoco degli scacchi, in cui ciascun pezzo si muove sempre ad un modo. E quella scipita volgarità delle scene a soggetto che sentono d'istrionismo un chilometro lontano?... Oibò!... se ne vadano una buona volta i Cassandro, i Don Anselmo, le Colombine, le Rosaure, i Pulcinella; e s'abbia anche Napoli il suo buon teatro di dialetto, con libri scritti, con iscene distese per intero e sgombre da inverosimiglianze, da miracoli e da spiriti malefici e benefici che volano, sfondano muri, abbattono porte, e ti trasportano in cielo, o ti precipitano nell'abisso!... Bisogna far della verità e non giuochi di prestigio; si vuol essere uomini e non puppattoli; si vuole aver un viso, si vuol parlare e sentire come tutti gli uomini, in mezzo ai quali viviamo... (pp. 125-126)
  • Non ho capito mai come si possano ottenere felici risultati, nelle intraprese teatrali, con un'accozzaglia d'individui, sbucati, chi sa donde, e messi insieme, Dio sa come, a cinquanta centesimi il pezzo, discordanti tra loro, che non si comprendono a vicenda, né sanno quel che si voglia, e che non aspirano ad altra meta, non hanno innanzi alla mente che il quindici ed il trenta del mese, per riscuotere il loro magro assegno. Cotesti messeri, posti, il più delle volte, intorno ad un solo di valore, non giungono ad altro che a costituire un tutto così disarmonico, così mostruoso, che quasi sempre cagiona nel pubblico un giusto risentimento il quale partorisce, immediata e logica conseguenza, la noia, il disprezzo; l'abbandono e la miseria. (pp. 141-142)
  • [Il 1° settembre 1880 Eduardo Scarpetta riapre il San Carlino] Anch'io mi preparava a ricevere, nella mia nuova dimora di artista, un ospite illustre, gentile, pel quale nutriva profonda stima, riverente affetto, e di antica data; e stabilii di fargli onore, di preparargli un pò di festa, come meglio potessi. Ripulii il teatro, misi tutto a nuovo, ed adornai la mia mensa di vivande apparecchiate alla cucina del buon umore e della giovialità. Sapeva già il buon gusto degli ospiti miei, e feci del mio meglio, perché mangiassero di buon appetito. E la sera del l° Settembre 1880, io, tutto trepidante, con un batticuore che non ve lo saprei ridire, ricevetti l'ospite mio generoso. Quel piccolo San Carlino com'era lieto, com'era splendido quella sera! Pareva ritrarre dall'elegante pubblico, di cui era pieno, la stessa grazia, la stessa vaghezza, la stessa aria nobile e gentile.
    Oh! come foste buoni con me quella sera, quando mi rivedeste su quella scena medesima, dove io aveva dato i primi vagiti nel mondo dell'arte. Oh grazie, grazie! Quel lungo e altissimo applauso, nel quale prorompeste, mi risuona ancora nell'orecchio e nel cuore. Quel saluto fu il più dolce compenso che poteste dare al povero artista. Oh grazie, grazie per quel che faceste allora, grazie per quel faceste in prosieguo! (pp. 146-148)

Incipit di alcune opere

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'A Cammarera nova

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Concetta, Teresa, Adelina.

Concetta (parlando a destra): Va bene, va bene, me ne vaco, vuje comme la tirate a luongo! Comme fatico ccà fatico a n'ata parte!
Teresa (uscendo con Adelina): Ch'è stato? Ch'è succieso?
Concetta: L'aggio cu D. Pascale lo marito vuosto, ca m'ha fatto n'ata cancariata e m'ha ditto c'assolutamente me n'aggia j!
Teresa: Aggio pacienzia, Concè, che vuò ca te dico, chillo è nervuso! A te non te mancarrà na casa comme a chesta, e forse meglio de chesta.

'A Nanassa

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Ciccillo e Pasquale, poi Felice dallo stipone.

Ciccillo (dalla prima porta a destra Pasquale lo segue): Trasite, signurì, ma chiano chiano, ccà sta a lo scuro, putimmo ntuppà nfaccia a quacche parte. (Camminano a tentoni, lazzi.)
Pasquale: La combinazione non tengo manco nu fiammifero.
Ciccillo: Non serve signurì, basta che trovo la fenesta tutt'è fatto, a me pò mi riesce facile, pecché canosco la tipografia della casa.
Pasquale: Eh! La stamparia!

Amore e polenta: 'na paglia 'e Firenze

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Michele e 2 tappezzieri, poi Bettina.

Michele (alla seconda a sinistra): Giovinò, avite fernuto?
1° tappezziere (uscendo con martello e forbici): Tutto è fatto D. Michè.
Michele: Lo lietto l'avite montato cu nu bello tombò?
1° tappezziere: Jate vuje stesso, e vedite comme pare bello! Alla fine, la rrobba era poco, a botta de giunte l'avimmo avuta fà!
Michele: Va buono, chesto ccà nun lo fà sentì!

Cane e gatte

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Teresina, poi Carluccio.

Teresina (terminando di leggere): «Vieni, ti aspetto senza meno. Tua affezionatissima comara Concetta Paparella». Seh, vieni senza meno, ti aspetto, e comme nce vaco, io pe la sortita mia aggio tiempo n'auti 8 juorne, che dico a la signora, chella è accussì arraggiosa, e pò ogne momento le serve na cosa, ogne momento me chiama, mannaggia quanno maje me mettette a fà la cammarera... Sì, ma mò che vene Carluccio maritemo avimma trovà no mezzo, na scusa qualunque; io ogge assolutamente aggia da j da la commara.

Duje chiapparielle

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Luisella e Candida.

Candida (dalla sinistra e Luisella che è seduta, di cattivo umore): E accussì, Luisè, maritete D. Felice non è tornato ancora?
Luisella: Nonsignore.
Candida: E bravo, che bella cosa, che bello marito, che bello galantormo, e pò dicite che io m'inganno, che nun lo pozzo vedé. Nce have colpa chillo turzo le patete, che pe forza te vulette fa fà stu matrimonio, io pe me nun te l'avarria dato mai e pò mai. D. Cesarino, chillo povero D. Cesarino che murette, chillo se poteva chiammà marito.

Duje marite 'mbrugliune

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Giulietta, Michele ed Anastasia.

Giulietta: Favorite, favorite.
Anastasia: Comme comme, Rosina nun nce sta?
Giulietta: Gnernò, la signorina è asciuta a primma matina nzieme co la patrona mia, ma io credo che tricarranno poco a venì, pecché nun hanno fatto ancora colazione.
Anastasia: Comme, all'una nun hanno fatto ancora colazione? (Piano a Michele.) (Mamma mia e c'arruina!)

È buscìa o verità

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Giulio e Asdrubale, che esce.

Giulio: Asdrù, che me dice?
Asdrubale: Steva ncoppa a lo lietto liggenno, l'aggio fatto la mmasciata e ha ditto che mo' esce.
Giulio: Bravo, bravo, Asdrubale.

Gelusia

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Saverio ed Asdrubale, di dentro poi fuori con Eduardo.

Asdrubale (di dentro, chiamando): Saverio, Saverio...
Saverio (uscendo): Eccome ccà, eccome ccà. Vì comme cancaro allucca! Dalle, dalle... Tu vi che s'have fatto afferrà... Sò tre ghiuorne che quase quase me pare no pazzo... Eccome ccà, ecco me ccà... (Per entrare.)

Il debutto di Gemma

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Pasquale e Michele, poi Luigi e Raffaele.

Michele (portando una poltrona): Jamme, Pascà, fà ambresse, che so' l'otte.
Pasquale (con altra poltrona): Aspè, Michè, ccà sta a lo scuro, che nce volimmo rompere pure na gamma.
Michele: E ched'è, hai da stà a lo lustro pe sapé addò haje da j?
Pasquale: Io non saccio niente, saccio solamente che me more de famme, e sta vita non la voglio fà cchiù.

Il non plus ultra della disperazione

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Errico, Michele, Pasquale, Vincenzo, Rosina, Amalia, Peppina, Gemma e Cornelio.

Errico: Bottega.
Amalia: Comandate.
Errico: Oh! Noi preghiamo sempre.
Amalia: Nun pazziate, facite priesto, dicite che vulite.
Michele: Errì, lassala; che chesta fa ammore cu D. Ciccio lo scuonceco, nce avevamo da ncuità.

Il romanzo d'un farmacista povero

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Carmeniello, poi Elisa.

Carmeniello (dal fondo con due giornali ed una lettera): Starrà ancora dormenno, non saccio si la scetà o no, chella allucca sempe, me fa mettere na paura a la vota, si non avanzasse la mesata, da quanto tiempo me ne sarrìa juto, po' è curiosa, sempe che le cerco qualche cosa che denaro, essa dice: Domani arriva la compagnia, ma che compagnia io non la saccio... Sento rumorre. Ah! La vì ccà.
Elisa: Carmeniello?
Carmeniello: Eccellenza.

L'Albergo del Silenzio

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Luisella, poi Rosa.

Luisella (è presso il finestrino in fondo e cerca di scacciare il cane con un lungo piumino da spolverare): Passa llà... passa llà... Mannaggia ll'arma de mammeta, vì comme è seccante stu cane! Ogni tanto caccia la capa da dinto a stu fenestiello e se mette a alluccà! Nce aggiu ditto tanta vote a lo ciardeniere... va a fenì ca nu juorno de chiste lle mengo nu poco de spogna fritta e lo faccio murì! Passa llà!... Ah! Se n'è gghiuto!... Pe causa de stu diavolo de cane D. Celestino, lo nepote de D. Michele, quanno vene quacche vota subeto se ne va... pecché lo sente e se mette paura!... Ma quanto è simpatico chillu guaglione! Che bell'uocchie che tene!... Peccato ch'è nu turzo de carcioffola... nun capisce niente... nun è buono proprio a niente!...

L'amico 'e papà

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Pasquale, dalla porta a sinistra, indi Luisella dalla prima porta a dritta.

Pasquale (d.d.): Va bene, va bene, non dubitate, sarete servito. (Fuori:) Ah! ca chesto se chiamma proprio farme fà lu ciuccio de carretta, da la matina alla sera vaco nnanze e arreto comme a la sporta de lu tarallaro, si jammo nnanze de chesta menera io aizo ncuollo e me ne vaco.
Luisella: Pascà avvisa lo cucchiere ca pe l'otto la carrozza adda essere pronta.

La Bohéme

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Totonno, Antonietta poi Temistocle indi Nicola e Carolina.

Totonno (parlando alla prima a destra): Va bene, va bene non dubitate, si torna lle dico che site partuto?! Io nun saccio pecché stu D. Saverio cu lo nepote hanno pututo fà tanta diebbete. Na casa accussì ricca che tutta Nocera ne parlava, dinto a 6 mise so' ghiute sotto e ncoppa, e ogne tanto te siente na tuzzuliata de porta. Stevene dinto a chillo bello appartamento a Strada Nova, tutto nzieme sfrattammo e venimmo ccà. Io da che so' venuto nun aggio avuto manco nu centesimo e avanzo 3 mesate.

La Casa vecchia

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Raffaele, Caluccio e Facchini.

Carluccio (a due facchini che entrano portando una toletta): Chiano chiano, belli figliù, guardate nterra.
Raffaele: V'aggio ditto stateve attiente, volite ire afforza de pressa.
I facchino (che ha messo col compagno la toletta fra l'alcova e il balcone): Non avite appaura, chesto che cos'è, ma vuje pe chi nce avite pigliate, che ve credite che è lo primmo sfratto che facimmo. (Via a destra.)
II facchino: E po' nuje non potimmo perdere tiempo pecché avimmo che fà.
III facchino (dalla prima porta a sinistra): Jammo, jammo che s'è fatte tarde.

La collana d'oro o i cinque talismani

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Musica n. 1
Coro folletti
.

Tutti: Ecco fatto, è sotterrata
chella vecchia mmalorata
Tra llà llà...
Tra llà llà...
Resti ormai nel fuoco eterno!
Tra le fiamme dell'Inferno...
a incenerir!
Vecchia strega mmalorata,
scellerata!
Sì! Va!
Vatte a bruscià! (Ripete.)
Incenerir!
Così finir! Và!!

La nutriccia

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All'alzarsi del sipario si sente il pianto di un bimbo, poi il campanello. Peppino dal fondo, Concetta dalla destra.

Concetta: Neh! Peppì, hanno chiamato?
Peppino: Eh! Hanno tuzzuliato.
Concetta: Mamma mia, ccà è proprio n'affare serio, dinta a sta casa nun ce stà nu mumento de riposo.
Peppino: Da che è nato chillu guaglione s'è perduta la pace.
Concetta: Chillo guaglione?... pecché nun dice chillu scunciglio.

La Pupa movibile

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Michele e Caterina.

Michele: Trase, Catarì, trase, pigliate la biancarìa sporca e vattenne, tiene. (Prende l'involto e glielo dà.) Pecché nun haje mannato a mariteto comme a lo ssolito, pecché sì venuta tu? Ma capisce o nun capisce che ccà femmene non ne ponno trasì?
Caterina: Maritemo nun ha potuto venì, pecché ajere, mentre spanneva li panni, cadette dinto a nu fuosso, e se fice male dinto a la gamma deritta, mò la tene nturzata de chesta manera. Faciteme lo piacere, dicite a patre Alfonso, tanto buono, che facesse na preghiera pe chillo povero Giarretiello. Si lo vedite, fa proprio cumpassione, non pò cammenà, e tutta stanotte, s'è lagnato sempe.

Li nipute de lu sinneco

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Carmeniello prepara la tavola, disponendo le posate di stagno. Saverio entra e s'avvicina.

Saverio: Jamme, jamme. Avimmo mettere na tavola principesca! Sangue de Bacco, è stata proprio na fortuna pe me: lo nuovo sinnaco m'ha fatto sapé che stammatina vene a visità la trattoria mia. Naturalmente a me me conviene de farle trovà na colazione scicca! (Osservando la tavola:) Che so' sti posate? Cheste so' posate de stagno!
Carmeniello: E quale aggio piglià?
Saverio: Chelle d'argiento, animale! (Carmeniello esce e torna con le posate d'argento.) Mò, si non me stevo attiento, lo sinnaco trovava le posate de stagno!

Lo Scarfalietto

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Rosella, poi Michele.

Rosella (dal fondo): Nun nce sta nisciuno. Doppo la nuttata de stanotte starranno durmenno ancora. Mamma mia e che gente, manco la notte stanno cujeto.
Michele (dalla scena): Guè, Rusè, che d'è?
Rosella: Sò trasuta pe doje cose, primma, pe dì a lo signore che stammatina è venuta na persona che se vò affittà la casa a lo primmo piano, e po' vuleva sapè comme è ghiuto a fenì l'appicceco de stanotte.

Lu Café chantant

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Bettina e Ciccio, poi Carmela.

Ciccio (dal fondo): Ma si ve dico che nun nce sta nisciuno; nce sta sulo la mugliera.
Bettina: E io co la mugliera voglio parlà, pecché non mme ne fido cchiù, non mme ne fido cchiù! Chill'assassino de maritemo stanotte non s'è ritirato. Co la scusa de le recite, dell'arte drammatica, trascura la mugliera, isso e chill'ato disperatone de D. Felice. Ma sta jurnata l'aggià fà femuta vì, piezzo de birbante, da duje anne che m'ha spusato, m'ha fatto privo de tutto, s'ha impignato tutte cose, tengo sulo sta vesta ncuolbo, sulo stu cappiello.
Ciccio: E che volite da me.

Lu curaggio de nu pumpiero napulitano

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Virginia dalla sinistra e Nannina dal fondo.

Nannina: Signorì, v'aggio da dicere na cosa, avesse da venì papà.
Virginia: No, non c'è paura, sta dinto screvenno, de che se tratta.
Nannina: Aggio visto a D. Feliciello.
Virginia: Ah! S'è rimesso da la malattia? E comme l'haje visto?
Nannina: Ecco qua, vuje m'avite mannato a da la sarta pe vedé si aveva fernuta la vesta, e m'ha ditto ca dimane ve la porta. A lo tornà ch'aggio fatto, m'è venuto pennante D. Felice, io vedennolo aggio fatto na sorpresa pecché ve dico la verità s'è fatto assaie cchiù sicco. La primma cosa che m'ha addimmannato è stata: neh Nannì, Virginia comme sta?
Virginia: Poveriello!

Lu marito de Nannina

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Biase e Francisco, poi Nicola di dentro, poi Ciccillo, poi Bernard, indi Nicola, Biase e Francisco.

Biase (viene dalla strada con grosso involto di panni): Mamma mia, mò more, io non me fido cchiù, chesta si chiamma accidere la gente.
Francisco (venendo dal fondo a sinistra con 2 candelabri in mano): Bià, va dinto che lo signore te vò, fà ampressa.
Biase: Haje d'aspettà tu e isso, pecché io non songo de fìerro, sto facenno lo facchino da che è schiarato juorno.
Francisco: E io non sto facenno lo stesso?

Lu Pagnottino

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Rita e Rosaria che lavorano ed Antonio dal fondo.

Antonio (con latte e caffè): D. Rì, D. Rusà, pigliateve lu latte e cafè, ve l'aggio carrecato de zucchero.
Rita: Io non ne voglio.
Rosaria: E io nemmeno.
Antonio: Comme non volite fa marenna?
Rita: Io non tengo appetito.

Madama Sangenella

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Salvatore poi Teresina indi Felice.

Salvatore (dal fondo con lettera): Va bene, aggio capito, sta lettera l'aggia dà all'avvocato D. Pasquale Corella. Nun ce penzate, sissignore, non dubitate, sarete servito. (Le dice rivolto al fondo a destra poi viene avanti.) Vì che gente seccante stanno ncoppa a la terra. (Via prima a sinistra.)
Teresina (dal fondo, appaurata, in abito da passeggio): Mamma mia, che paura! (Ascolta alla porta.) Non sento cchiù nisciunno. (Va a guardare alla finestra.) Meno male ha pensato buono e se ne ì. Ma che uomo, che originale! E dire che so' otto giorni che me vene appriesso cu na faccia tosta unica. Ma io faccio finta di non vederlo. Stammatina so' ghiuto a' villa e l'aggio truvato fermato vicino a villa co lo cappiello mmano. (Ridendo.) Me pareva nu puveriello.

Mettiteve a fa l'ammore cu me

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Emilia, Giulietta ed Alberto. Emilia suona gli ultimi accordi d'un pezzo; Alberto è appoggiato al pianoforte guardandola teneramente. Giulietta è seduta un po' distante e ricama.

Alberto: Brava, brava! Veramente bene.
Emilia: V'è piaciuto?
Alberto: Sì, molto.
Giulietta: Caspita! Me ricordo comme si fosse mo' quanno sentette la primma vota la Norma cu papà a S. Carlo.., che saccio, quanno Norma e Adalcisa cantavano chillo duetto co chilli piccerille io me sentette fa li carne pecune pecune e me mettette a chiagnere accossì forte e accossì forte, che pe scuorno m'avette d'annasconnere da dinto a lo palco.

Miseria e nobiltà

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Concetta e Pupella, poi Luisella.
Concetta lavora la calza; Pupella è vicina alla finestra; entrambe sono sedute

Pupella: Mammà, songo li 4 e meza, e papà nun se vede ancora; mo' vide che facimmo lo stesso fatto d'ajere. A n'ore de notte nce magnajeme nu ventre de puorco 5 perzune. (Gridando:) I tengo famma, i tengo famma!
Concetta (alzandosi): Haje ragione, figlia mia, haje ragione, tu sparte lo core, ma che aggia fa io puverella? Mannaggia quanno maje me jette a spusà a chillu disperatone! Me fosse rotte li gamme quanno jette ncoppa a lo Municipio! Da che m'aggio spusato a isso, sto passanno nu sacco de guaje! Mò nce ha cumbinato chist'auto piattino. Steveme sule a casa, e chellu poco che tenevemo, nce lo sparteveme a magnà nuje sule, puteveme sfucà na chiacchiera senza che nisciuno nce senteva; a maggio truvaje sti 2 cammere e se vulette aunì cu chill'auto disperatone de D Felice, ma stasera la faccio fernuta, vì!

'Na Bona guagliona

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Caterina poi Luisella.

Caterina (dal fondo con due fasci di gramigna fra le mani): Ah! non me ne fido cchiù. (Getta i fasci di gramigna dove sono gli altri.) Mannaggia quanno maje me mettette a vennere grammegne pe li cocchiere, so' stata cchiù de doje ore fermata mmiezo a la strata nova a lo sole, fosse passato no cocchiere, addò, chi te lo dà. Sti mpise mmece de sta ccà ad Averza, ch'è lo paese loro, se ne scennene tutte quante a Napole.

'Na Commedia 'e tre atte

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Peppeniello, seduto vicino alla finestra e Popa dalla porta in fondo con granata.

Peppeniello (facendo segni dirimpetto): Ajersera? Arrivaje fino a Toledo e po' me tornaje... Comme? Me jette a coccà... Non è lo vero? Pozza morì de subeto si dico na buscia.
Popa: (Gué, chisto stà ccà). Neh, D. Peppenié...
Peppeniello (non badandole): E pecché? Non signora, non voglio, le dice che non te fide.

'Na figliola romantica

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Il Conte D. Orazio dalla porta a destra, e Concetta dalla sinistra.

Conte: Cuncè, addò viene?
Concetta: E comme, signò, nun 'o vvedite? Da la patrona vengo, me pare ch'ò ssapite.
Conte: Ah, bravo Cuncettella. Damme na bona nova; ogge, Virginia mia, che fa! Cumme se trova?
Concetta: Signò, nun ne parlammo, stanotte adderittura nun ha durmuto proprio e me facea paura! Io da la stanza appriesso senteve ogne mumento, o nu suspiro gruosso o pure nu lamiento! Verso li tre nu strillo ha dato proprio forte, e ha ditto: Oh, Dio, che smania! Meglio per me la morte! Ha aperta pò la fenesta e s'è miso affacciata, ampettola, capite... e tutta scapellata! Allora so' trasuta: Signò, vuje che facite... de sta manera, certo pigliate na brunchite. Vestiteve... «Vattenne ho i nervi stamattina...», na faccia bianca bianca, povera signurina! Io, sì, me ne so' ghiuta, ma a dint'a a mascatura, la vedevo e senteva.... povera criatura! Allerta, mmiez'a cammera e cu nu libro mmano, diceva sti parole: Che cosa è il cuore umano!? Il muscolo più fragilo, il più tranquillo e muto, il più calmo, il più dolce, e non è comprenduto! oh, Alesandro e Tummaso, oh essere sapiente!

'Na matassa mbrugliata

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Rachele, Matilde.

Rachele (terminando d'aggiustare la stanza): Tutto è fatto; pare che pò restà contento D. Felice quanno vene. Va mò figlia mia, famme sentì nu poco la lezione c'haje da purtà stammatina lo maestro de declamazione.
Matilde: Mammà comme ve vene ncapo?
Rachele: Meh famme contenta; siente saglie llà ncoppa... là D. Felice nce fa saglì li modelle... tu fà cunte invece che chillo fosse lo palcoscenico...

'Na Santarella

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Michele, poi Biase.

Michele (esce dalla prima a destra, con scopa in mano): E mò accummencia n'ata jurnata! Nun me ne fido proprio cchiù... Na vota me putevo sosere a chest'ora... ma mò nun lo pozzo fà cchiù... tengo sittant'anne, cinche mise e quatte juorne!... Eh!... E a chi lo cconto?... Appena me lagno nu poco, D.a Rachele, la Superiora, se fà afferrà chello d'è cane... «Mantenete pulito il convento... Alzatevi presto...» Eh! È na parola!... Io ajere mmatina me susette ambressa, ma pò... pe tramente me stevo vestenno me cuccaje nterra!... Ch'aggia fà, quanno nun me fido?... Che songh'io?... (Guarda verso il giardino.) Sta facenno juorno... stutammo la lanterna... (Esegue.) Aissera nce lo ddicette a lo cunfessore: Io non me fido de fà sta vita... comme aggia fà?... «Agge pacienza, Michè — me dicette — Nun te trapazzà... fallo chiano chiano... e nun ghiastemmà!...» Ma comme aggia fà?... Si lo ffaccio chiano, D.a Rachele allucca... Cielu mio aiutame tu! (Si mette a spazzare con molta calma.) Io pò dico accussì, putarria scupà n'ato... Nonsignore: haje da scupà tu!... Lo ffanno apposta pe me fa jastemmà! (Con proposito.) Ma io nun ghiastemmo, vì... Io moro, ma nun ghiastemmo!... (Continua a spazzare. Si lamenta:) Ah!... Ah!... Comme me fanno male li rine... nun me pozzo adderezzà cchiù! (Prende una sedia e siede in mezzo alla scena.) Apprimma dinto a n'ora me scupavo tutto lo cunvento... Mò no: mò l'aggia fà chiano chiano e senza jastemmà! Làsseme scupà nu poco vicino a la porta de lo maestro... si no chillo pò allucca! (Si alza e prende la sedia.) Sti ssegge, va trova pecché, giorno pe giorno se fanno sempe cchiù pesante... Sarà l'umidità, forse! (Siede di nuovo e stando seduto spazza intorno a sé. Poi si sposta sempre con la sedia dall'altro lato e continua a spazzare seduto.)

'Na società 'e marite

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Giulietta, poi Michelina.

Giulietta (parlando alla porta a destra): Va bene, tutto sarà fatto, non dubitate... Uh! mamma mia, e che guaio cu sta societa, si triche n'atu poco, aggio appaurra ca lo patrone lo portano Averza.
Michelina (di dentro): È permesso?
Giulietta: Uh! Michelina! trase Michelì.
Michelina: Giulié, comme staje?
Giulietta: Eh, non c'è male, e tu?

Nina Boné

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Rosina e Luisella.

Rosina (dalla sinistra): Luisè, saje Felice addò sta?
Luisella: Signurì, sta pe dinto a lo ciardino, ve sta facenno n'ato bello buchè.
Rosina: Ah, ah! Me l'avevo immaginato, doje vote lo juorno m'ha da fà nu buchè e me l'ha da purtà, va a fenì ca nun fa rummanè manco nu fiore dinto a lo ciardino.

'No pasticcio

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Giulietta ed Angiolella.

Giulietta (dalla sinistra): E accossì Ngiulè, che me dice?
Angiolella (dalla destra): Co la chiavetella fauza, ch'avimmo fatto fa, aggio aperta la scrivania de lo marito vuosto, e aggio revutato tutte le carte.
Giulietta: E haje trovato qualche lettera, qualche cosa?
Angiolella: Niente, ma ve pare, signorina mia, chillo po' era tanto scemo de farcela trovà. Li marite so' fine assaje quanno se tratta de mbruglià le mugliere.

'Nu brutto difetto

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Ninetta e Peppino che dorme, indi Totonno.

Ninetta: Mamma mia! C'ammuina ca ce sta dinto a sta casa pe mezzo de lo matrimonio de la figlia de lo padrone mio in D. Felice. Me sento proprio stanca de la fatica. E st'ato ciuccio che dorme sempre. Fa buono lo padrone ca lo piglia a cauce. Guè, Peppì, te vuò scetà si o no?
Peppino (svegliandosi): Chi è? Oh! Sì tu? Ninè lassame durmì c'aggio fatto due mattate.
Ninetta: C'haje da durmì? Scetate ca mò vene lo sposo.
Peppino: E c'aggia fà? (Alzandosi.)
Ninetta: Va arriciette le cammere.

'Nu frongillo cecato

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Carmela e Ersilia, poi Antimo, indi Concetta.

Ersilia: Carmè, te raccomanno, resta a cura toja de fa venì lo fabbricatore, ha rimasta la cucina come a no casale sacchiate.
Carmela: Mò vaco a servire.
Ersilia: Va, va, bella figliola.
Antimo: Buongiorno D.a Ersilia.
Ersilia: Ben levato. Come vi trovate in quelle due stanze che vi ho fittate, e di cui ieri sera pigliaste possesso?
Antimo: Benissimo!

'Nu Ministro mmiezo a li guaje

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Ignazio seduto vicino alla farmacia — Gaetano che fa la barba a Tore avanti la bottega.
Menechella che esce dalla sua casa
.

Menechella: Vuttamme li mmane, movimmece. Jammo Totò co sti lampiuncielle, e speramme che l'avite jencute buone si no quanno arriva Sua Eccellenza...
Ignazio: Sente l'addore... de l'arrusto.
Menechella: Grazie tante, ma io non voleva dì chesto. (Stasera co st'antipatico de lo farmacista fenesce male.) (A Gaetano:) E vuje spicciateve; facite ambressa a scartecà sto poverommo.
Gaetano: Eh, nu poco de pazienzia cummà Sinnachessa mia, n'ati doje botte e aggio fenute.

'Nu Turco napulitano

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D. Peppino seduto al contuar, D. Michele seduto allo scrittoio che scrive Luigi, Salvatore e Gennarino mettono le ceste a posto — poi Giulietta.

Peppino (a Gennarino che esce dalla prima a sinistra): Gennarino, il principale che sta facendo?
Gennarino: Sta accuncianno cierti sacchi dinto a lo deposito.
Peppino: Benissimo! A noi dunque, sottovoce.
Luigi: D. Peppì, io aggio che fà.
Michele: Io non pozzo perdere tiempo.
Salvatore: Io aggio da j a stazione.

Nun la trovo a mmaretà

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Gaetano, Ciccillo e Michele dalla sinistra.

Gaetano: Jammo, facite ampressa ve movite o no.
Ciccillo (con due balice): Vuje site curiuso, chesta è tutta rroba che pesa, io aggio da fà lo cammariere non lo vastaso. (Via pel fondo.)
Gaetano: Non fà chiacchiere che chillo sta apettanno lo forastiere abbascio. Spiccete tu n'auto.
Michele: Mò mò, vuje la gente l'avite pigliate p'animale, chi comanna non suda, vì che se passa.

Pazzie di Carnevale

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Saverio, Biase e Aniello, poi Carmeniello.

Saverio (bussando al bicchiere): Ma insomma stu riesto se po' avé?
Biase: È mez'ora che stammo aspettanno.
Aniello (seduto al Contuar, a destra gridando): Carmeniello, Carmeniello? Aggiate pacienza, tuzzuliate n'ata vota, io non me pozzo movere pecché tengo la podagra.
Saverio (gridando e bussando): Cameriere, Cameriere?
Carmeniello (con piatto con moneta): Eccovi servito.
Saverio: E tanto nce voleva?

Persicone mio figlio

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Marietta sola (suono interno di campanello. Marietta esce).

Marietta: Eccomi qua... Son pronta... Eh! come va di fretta! Chi non lo sa, s'immagina ch'io non gli dessi retta... Vorrebbe tutto a volo, ei parla una sol volta, Vuoi che si serva subito, ragioni non ascolta. Amato egli è dal padre, che gli fa tutto fare, Per questo se ne abusa. Davver che non mi pare Or questa la maniera di comandar la gente, E se così mi trattano, men vado certamente! Qui non si sta mai fermi, e sempre c'è da fare, Ed or, sarà un miracolo, cessato ha di suonare; Forse credendo ch'io non mi trovassi qua, Per fare meno chiasso, ei più non suonerà!.. (Campanello di dentro più forte.) Ed ecco il campanello. Son pronta, mio padrone!

Quinnice solde so chiù assaie de seimila lire

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Mariuccia che lavora calze, indi Carlino dal fondo.

Mariuccia (cantando): Vurria addeventà no suricillo, per fa no portosillo a sta vonnella. (Guardandosi la gonna.) E la vonnella e anne... Guè, uh! caspita, io cantava e ccà overo nce stà no pertuso... Sì, è uno nce ne sta nfaccia a sta vonnella, e aggio voglia de me l'acconcià, aggio voglia de mettere pezze ca non ne caccio niente cchiù! ma sicuro, si la tengo da duje anne... che diavolo, si era de fierro pure se sarrìa strutta!... Sempe chesta ncuollo, de festa, de juorno de lavoro, p'ascì, pe la casa, sempe la stessa. Mannaggia la sciorta mia! Aggio avuto da nascere accossì sfortunata! Non pozzo manco parlà, non pozzo manco sfucà co patemo e mammema pecché dicene che non hanno addò pigliarle. E li vuò dà tuorto; gnernò, ed intanto m'aggio da stà zitta, e aggio da ncuttà sempe. E comme! Sfortunata pure a fa l'ammore! Voglio tanto bene a Feliciello, isso pure va pazzo pe me, ma sta disperato de na manera tale che non se po' credere! Venette a parlà co papà D. Carlino lo studente che sta ncapo a nuje de casa, e chillo, avimmo appurato ca lo patre le manna da fora 30 lire a lo mese, e isso ha da penzà a magnà e a dormì, pe chisto veramente è stato meglio accossì pecché non me ne passava manca pe la capo. E no chiacchiarone che quanno accommencia a parlà te leve le cervelle... m'ha mannato no sacco de lettere, ma io non l'aggio maje risposto.

Tetillo

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Attanasio e Dorotea.

Attanasio (seduto a sin. leggendo un giornale, lascia di leggere): E sempre, sempre promesse e fatte maje è un affare serio. (Piglia un altro giornale.)
Dorotea (seduta a dest. che lavora alcune camiciole di lana): Neh, Attanà, dimme na cosa, quando tenive l'anne che tene mo' Tetillo, purtave maglie de lana?
Attanasio: Tu sì pazza, e chesto nce mancava, avvezzarme a purtà maglie de lana. Quanno io teneva l'anne che tene mo' Tetillo, faticava da la matina a la sera.
Dorotea: Putarrisse fa almeno de lo dì. Se ti sente quacheduno.

Tetillo 'nzurato

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Carluccio e Amalia, poi Leonardo.

Amalia (dalla prima dello spettatore): Carlù, è venuto?
Carluccio (dal fondo): Sissignore signorì, sta fore.
Amalia: Fallo trasì.
Carluccio: D. Leonà trasite.

Tre cazune furtunate

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Rachele poi Retella.

Rachele (dalla porta a sinistra): Sto ccà, sto ccà, mò vengo, non avite paura. Vuje vedite a me che me succede! Nuje tenimmo tanta guaje de li nuoste, nce volevene pure chille dell'aute. Chillo aiessera spara no colpo de revolvere a uno a Puortece e po' se ne fuje ccà isso e la sora, che aveva da fà? ne l'aveva da caccià? Chille sò li figlie de la bonarma de la patrona mia, la Marchesa Compasso, me l'aggio cresciute io se po' dì. Intanto, loro stanotte se sò cuccate dinta a la cammera nosta, e io e chillo povero Felicieilo nepoteme avimma avuta dormì ccà nterra, all'aria fresca. Ma pe sta jornata hanno da vedé che hanno da fà. Tutte quante sanno che nuje li conoscimme, po' essere che quaccheduno porta spia a la polizia che stanne ccà e passammo no brutto guajo! Intanto ncoppa a lo fuoco sta sulo l'acqua cauda, nce volarria no poco de carne, e chi nce lo dà? Io non tengo manco sale. Pare brutto a cercà denaro a loro. Ah! mannaggia la miseria mannaggia!...

Tre pecore viziose

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Beatrice, Concettella e Biase.

Concettella (esce correndo e gridando): Aiuto!... Aiuto!
Beatrice (trattenuta da Biase): Lassame, Bià, la voglia addecrià comme dico io!
Biase: Fermateve, signò... Chella non lo ffà cchiu!
Beatrice: Muzzecutola, faccia tosta! N'auta vota che te veco affacciata a la fenesta, a ffà le smorfie cu chillo D. Liccardo, t'afferro pe li capille, me te metto sotto, e tanno te lasso, quanno t'aggio rimasta scucciata!

Citazioni su Eduardo Scarpetta

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– Be', don Artu', è vero che questa è la migliore commedia di Scarpetta?
– Donna Margheri', ogni volta che don Eduardo Scarpetta scrive una commedia, dicono che è sempre la migliore, e siccome questa è l'ultima... (Miseria e nobiltà)

Bibliografia

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Altri progetti

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