Niccolò Piccinino

condottiero italiano

Niccolò Piccinino (1386 – 1444), condottiero e capitano di ventura italiano.

Niccolò Piccinino in un disegno del Pisanello

Citazioni su Niccolò Piccinino

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  • Fu moderatamente severo co' soldati, e talvolta cortese sino alla familiarità; crudele con quelli incolpati di tradimento: fu artificioso dissimulatore, parlatore infelice, brutto delle forme e dell'aspetto. La fama delle sue geste durerà lontana. (Ariodante Fabretti)
  • Il Piccinino rifugissi con dieci cavalieri nel castello di Tenno[1]
    Ma quell'istessa notte l'astuto capitano, pensando quanto fosse debole il sito, e con quanta cura ve lo assedierebbe lo Sforza[2], il quale pur testé gli aveva bandita sul capo una taglia di 5000 ducati, deliberò di uscirne ad ogni costo, o di soccumbere almeno tentandolo. Trovavasi per avventura nel castello un nerboruto tedesco di lui famigliare; ordinò a costui di chiuderlo in un sacco, gettarselo in ispalla, e come se fosse una parte del bottino fatto dai vincitori, portarlo tra mezzo ad essi. Il corpo mingherlino del conduttiero, che gli aveva dato il nome, aiutò l'astuzia; le quadrate spalle del tedesco fecero il resto. (Mauro Macchi)
  • Sparse qua e là il suo sangue, venduto sempre, senza desiderio di gloria e di libertà pell'Italia; anzi il proprio ingrandimento neglesse, o potenza non seppe aquistare[3]; tanto che non pervenne a tenere scettro e signoria né in patria né fuori. (Ariodante Fabretti)

  Citazioni in ordine temporale.

  • Niccolò Piccinino, capo de' soldati formati prima da Braccio [da Montone], era tra gli altri generali d'Italia il più ligio al duca di Milano. Sarebbesi ancora giudicato il migliore e posto forse al di sopra di Francesco Sforza, se non avesse talvolta arrischiata per soverchio ardire la propria riputazione. (Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi)
  • Il Piccinino in particolar modo era geloso dello Sforza[2]; non poteva darsi pace che questo generale avesse preso posto tra i sovrani coll'acquisto della Marca, mentre egli medesimo, che l'Italia per talenti e per valore pareggiava allo Sforza, egli medesimo, che, quale erede ed allievo di Braccio [da Montone], avrebbe potuto aspirare alla sovranità che questo generale si era formata, non aveva che una precaria esistenza dipendente dal principe che lo assoldava. (Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi)
  • Il Piccinino, in età già avanzata, non sapeva darsi pace di non aver potuto con tante battaglie, con tante vittorie, acquistarsi una terra ove riposare il capo. Tutti i grandi capitani del suo secolo si erano successivamente innalzati al sovrano potere; egli pareva avervi più diritto d'ogni altro, poiché avrebbe dovuto ricevere a titolo ereditario il principato di Braccio come ricevette la sua armata; pure egli solo non era in sul finire della sua lunga gloriosa carriera né più ricco, né più potente di quello che lo fosse in principio. Aveva perduta Bologna quando credeva di farne la sua capitale; due rotte avute in brevissimo tempo avevano dissipate le sue ricchezze e dispersi i suoi soldati; uno de' suoi figliuoli era prigioniero, l'altro fuggiasco, ed egli non poteva collocare le sue speranze che nella generosità di un principe [Filippo Maria Visconti] accusato d'incostanza da tutta l'Italia, e spesso di perfidia. Questo principe attualmente, ingannandolo, aveva cagionato la sua ruina. (Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi)
  1. Comune nei pressi del lago di Garda, nell'odierna provincia autonoma di Trento.
  2. a b Francesco Sforza (1401–1466), condottiero di compagnia di ventura e poi primo duca di Milano.
  3. Grafia più volte ripetuta nel testo.

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