Morte cerebrale

possibile criterio di morte

Citazioni sulla morte cerebrale.

  • Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, sostiene che in 40 anni i criteri di accertamento della morte cerebrale «non sono mai stati messi in discussione dalla comunità scientifica e vengono applicati in tutti i Paesi scientificamente avanzati». Ma non in Giappone. È da considerarsi un Paese scientificamente arretrato, il Giappone? (Stefano Lorenzetto)
  • Allora come fa la scienza a dichiarare morto, cessato, finito un mondo di cui per sua stessa ammissione conosce poco per non dire nulla? Seconda contraddizione. Vogliamo parlare delle modalità di accertamento della morte cerebrale? Nel 1975 la legge fissava in 12 ore il periodo d'osservazione obbligatorio prima che il collegio medico potesse autorizzare l'espianto degli organi. Nel 1993 il presidente Oscar Luigi Scalfaro dimezzò i tempi: 6 ore. Dopodiché, se l'elettroencefalogramma risulta «piatto», si procede all'espianto. Un decreto del ministero della Sanità autorizza persino il personale tecnico a eseguire questo esame decisivo. Perché tanta fretta che mal si concilia con la tutela dell'individuo e dei suoi familiari? Terza contraddizione. (Stefano Lorenzetto)
  • In questa prospettiva, si può affermare che il recente criterio di accertamento della morte sopra menzionato, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica. Di conseguenza, l'operatore sanitario, che abbia la responsabilità professionale di un tale accertamento, può basarsi su di essi per raggiungere, caso per caso, quel grado di sicurezza nel giudizio etico che la dottrina morale qualifica col termine di "certezza morale", certezza necessaria e sufficiente per poter agire in maniera eticamente corretta. Solo in presenza di tale certezza sarà, pertanto, moralmente legittimo attivare le necessarie procedure tecniche per arrivare all'espianto degli organi da trapiantare, previo consenso informato del donatore o dei suoi legittimi rappresentanti. (Papa Giovanni Paolo II)
  • La gente ha abbastanza buon senso da capire che i "morti cerebrali" non sono veramente morti. La morte cerebrale non è altro che una comoda finzione. Fu proposta e accettata perché rendeva possibile il procacciamento di organi. (Peter Singer)
  • La giustificazione scientifica di questa scelta[1] risiede in una peculiare definizione del sistema nervoso, oggi rimessa in discussione da nuove ricerche, che mettono in dubbio proprio il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo. Come dimostrò nel 1992 il caso clamoroso di una donna entrata in coma irreversibile e dichiarata cerebralmente morta prima di accorgersi che era incinta; si decise allora di farle continuare la gravidanza, e questa proseguì regolarmente fino a un aborto spontaneo. Questo caso e poi altri analoghi conclusi con la nascita del bambino hanno messo in questione l'idea che in questa condizione si tratti di corpi già morti, cadaveri da cui espiantare organi. Sembra, quindi, avere avuto ragione Jonas quando sospettava che la nuova definizione di morte, più che da un reale avanzamento scientifico, fosse stata motivata dall'interesse, cioè dalla necessità di organi da trapiantare.[2] (Lucetta Scaraffia)
  • La nuova definizione di morte non fu dunque, solo il frutto di un confronto tra scienziati, fu soprattutto la prima dichiarazione di bioetica condivisa che ebbe un impatto concreto in tutto il mondo. La morte cerebrale fu infatti alla base dello sviluppo della medicina dei trapianti come la conosciamo oggi; permise la donazione degli organi e il prelievo da donatori a cuore battente. Ed è grazie a quel lavoro che oggi nel mondo si eseguono decine di migliaia di trapianti d'organo ogni anno e si salvano, grazie a questa terapia, tantissimi pazienti altrimenti destinati a morte certa. La morte dunque poggia la sua definizione su certezze scientifiche che non hanno motivo di essere messe in discussione. Del resto, è certo che se un medico nutrisse il benché minimo dubbio sulla morte di un individuo non procederebbe mai al prelievo degli organi. (Ignazio Marino)
  • L'irreversibilità della perdita delle funzioni cerebrali, accertata dall'"encefalogramma piatto", non dimostra la morte dell'individuo. La perdita totale dell'unitarietà dell'organismo, intesa come la capacità di integrare e coordinare l'insieme delle sue funzioni, non dipende infatti dall'encefalo, e neppure dal cuore. L'accertamento della cessazione del respiro e del battito del cuore non significa che nel cuore o nei polmoni stia la fonte della vita. Se la tradizione giuridica e medica, non solo occidentale, ha da sempre ritenuto che la morte dovesse essere accertata attraverso la cessazione delle attività cardiocircolatorie è perché l'esperienza dimostra che all'arresto di tali attività fa seguito, dopo alcune ore, il rigor mortis e quindi l'inizio della disgregazione del corpo. Ciò non accade in alcun modo dopo la cessazione delle attività cerebrali. Oggi la scienza fa sì che donne con encefalogramma piatto possano portare a termine la gravidanza, mettendo al mondo bambini sani. Un individuo in stato di "coma irreversibile" può essere tenuto in vita, con il supporto di mezzi artificiali; un cadavere non potrà mai essere rianimato, neppure collegandolo a sofisticati apparecchi. (Sandro Magister)
  • Nella storia dell'uomo, infatti, la fine della vita ha sempre coinciso con l'arresto del battito cardiaco: ogni eroe degno di questo nome è morto perché il suo cuore ha smesso di battere, la letteratura e le opere d'arte ne danno ampia testimonianza così come i vecchi manuali di medicina. [...] Con i primi interventi di cardiochirurgia e con l'invenzione della circolazione extracorporea apparve chiaro che la funzione del cuore poteva essere sostituita da un meccanismo artificiale: la persona continuava a vivere senza che il cuore battesse nel torace, purché il cervello continuasse a ricevere il sangue. Molti segnali erano stati registrati dai medici e l'idea che il cervello svolgesse un ruolo determinante per la vita degli esseri umani era già ben consolidata. Partendo da questi presupposti, si sviluppò un dibattito che vide riuniti ad Harvard non solo medici ma anche giuristi, filosofi, esponenti delle religioni perché l'obiettivo era trovare una definizione alla morte che tenesse in considerazione anche gli aspetti etici e il contesto in un dato momento storico. Da Harvard in poi la morte dell'individuo si certifica nel momento in cui sono cessate tutte le funzioni vitali del cervello in maniera irreversibile, quello che viene definito in linguaggio semplificato encefalogramma piatto. (Ignazio Marino)
  1. Nel 1968 il "rapporto di Harvard" ha cambiato la definizione di morte, basandosi non più sull'arresto cardiocircolatorio, ma sull'elettroencefalogramma piatto e quindi sulla morte cerebrale.
  2. L'articolo pubblicato sull'Osservatore Romano, avendo messo in dubbio il rapporto di Harvard, suscitò grande scalpore. Ignazio Marino, ad esempio, criticò il pezzo in un articolo di la Repubblica definendolo "un atto irresponsabile", mentre Sandro Magister in un articolo su Espresso.it e Stefano Lorenzetto in un articolo su Il Giornale.it sostenerono la storica per aver portato all'attenzione pubblica il problema.

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