Mimmo Carratelli
giornalista italiano
Domenico "Mimmo" Carratelli (1934 – vivente), giornalista italiano.
Citazioni di Mimmo Carratelli
modificaCitazioni in ordine temporale.
Il marziano
Guerin Sportivo nº 4 (626), 21-27 gennaio 1987, pp. 44-47.
- Clown, eroe, gatto volante, kamikaze, salvatore della patria, disastro, disperazione. Che cos'è un portiere? Era il bambino, ancora troppo piccolo per giocare, al quale veniva assegnato questo ruolo tra due pile di libri. È il ragazzino tutto agghindato, con guanti e ginocchiere, sponsorizzato da papà, che porta il pallone e gioca in porta. È uno che ci nasce: magari voleva fare lo stopper, forse il libero, poi è finito tra i pali. In porta lo ha chiamato una irresistibile vocazione, un richiamo all'incontrario della foresta, un'antica frustrazione, ma forse anche quella pazzia leggendaria, il volo di Icaro. Acrobata senza rete. Martire. I guanti servono anche a nascondere le stimmate. Pazzo? Furioso e volante. Agile e un po' più alto dei compagni: ecco i primi segni.
- Certamente Garella non esce da nessun trattato sui portieri, non è un esempio di stile, non si definisce una saracinesca. È un portiere che ha sdrammatizzato il ruolo del portiere. Sivori ha sempre sostenuto che il portiere non è un giocatore di calcio. Garella e il suo modo di stare in porta, non solo le sue parate di piede, sembrano fatti apposta per smentire Sivori e riportare il portiere alla pari degli altri dieci compagni. Questo vuole essere Garella, non il cristo crocefisso tra due pali e una traversa. [...] non ambisce né al paradiso dei portieri, né al regno degli acrobati.
- Quella di parare coi piedi, al tempo dei portieri-eroi, era una tecnica disperata, la prodezza estrema, l'ultimo tentativo di salvezza, l'artiglio di fortuna. Garella ne ha fatto una tattica di ordinaria follia. Però mai è disperato il gesto atletico di Garella, mai si impasta di ardimento e di gloria, non è mai l'olocausto di un portiere. Tocca le coronarie ma non arriva al cuore.
I tifosi più civili d'Europa?
In Amalia Signorelli (a cura di), Cultura popolare a Napoli e in Campania nel Novecento, Guida Editori, 2002, pp. 133-150. ISBN 88-7188-643-7
- Il "legame" dei tifosi napoletani con la squadra di calcio non si esaurisce alla domenica quando si gioca la partita. Il Napoli è argomento di cui discutono tutta la settimana e si può dire tutto l'anno. Il rapporto è di passione viscerale perché da sempre i tifosi napoletani hanno caricato la partita e la squadra di significati e valenze estremi. In una città per lunghi tratti sottomessa, incompresa e maltrattata, la squadra di calcio capace di sfidare le "formazioni" delle città più progredite e affermate, e magari di batterle, ha rappresentato l'unico strumento di visibilità e di affermazione. Ha finito per interpretare i sogni, le ambizioni, le rivalse e il successo che a Napoli mancavano in troppi altri campi. Percepita come l'unica rappresentanza visibile e competitiva della città, quando essa falliva era più rabbiosa la reazione. Il Napoli Calcio per lungo tempo è stato lo "sfogo" dei napoletani condannati, nella vita di ogni giorno, a subire, ad attendere, a logorarsi e ad essere delusi. (p. 133)
- [...] il Napoli Calcio è stato la "favola reale" dei napoletani, il sogno più sfrenato, una passione comune ad ogni ceto sociale, che ha visto profusi dedizione e sacrificio finanziario al seguito della squadra soprattutto nei ceti meno abbienti, un impegno che molti avrebbero voluto veder indirizzato e realizzato nella vita civile. (p. 133)
- A Napoli il fenomeno-calcio non è esclusivamente sportivo. Eccita la fantasia, ridesta orgogli sopiti, sollecita un tipo di partecipazione che non è solo complemento allo spettacolo, ma ne diventa molto spesso protagonista. (p. 134)
- Le vicende della squadra di calcio vanno al di là dei risultati sportivi. Sono occasioni, proteste, scenario della capacità creativa propria del popolo napoletano. L'esaltazione, la delusione, lo sdegno, la protesta hanno le radici particolari della conclamata inventiva napoletana con l'ironia, il cinismo, la passione, la capacità di sorprendere e il talento poetico e canoro che l'accompagnano. (p. 134)
- Non si esagera quando si sostiene che la squadra di calcio, a Napoli, è la "bandiera" che raccoglie ed esprime, almeno nei ceti più popolari e meno colti, ma non solo in questi, i sentimenti e i risentimenti della lunga e complessa storia della città. (p. 134)
ilnapolista.it, 2013; ripubblicato il 13 dicembre 2023.
[Su Antonio Juliano]
- Un ragazzo che, prima di diventare uno dei grandi centrocampisti dell'epoca che annoverò Rivera, Bulgarelli, De Sisti, fu un micidiale calciatore di strada che infrangeva a ripetizione l'edicola votiva della Madonna dell'Arco in via Ottaviano a San Giovanni a Teduccio, dove viveva, centrata dal pallone che scagliava.
- Totonno Juliano è cresciuto nel rispetto delle regole e degli affetti che sono stati il patrimonio umano e civile delle famiglie napoletane del ceto umile nel dopoguerra. Legami solidi e concreti che, in quegli anni difficili, hanno prodotto una generazione di napoletani esemplari. Alla base del successo di calciatore di Juliano c'è questo retroterra che ne illumina, e ne ha esaltato, il carattere e la fortuna. Anche nel mondo fatuo e stralunato del calcio, Juliano è rimasto fedele alle sue origini solide diventando prima di tutto un campione di serietà e dedizione.
- In campo giocava un calcio concreto, senza egoismi e teatralità, senza le mattane dei funamboli perché aveva altre grandi virtù, una soprattutto, aveva l'innata dote del condottiero: solida presenza in campo, esempio di passione e impegno. [...] Perché sentiva il dovere, lui napoletano fra assi stranieri e giocatori di varie provenienze, di rappresentare Napoli nel modo migliore [...]: serio e irriducibile difensore della maglia azzurra, "capitano" nel vero senso della parola, e perciò anche paladino, nello spogliatoio, dei diritti e delle attese dei compagni di gioco, ma anche di [...] magazzinieri, calzolai, inservienti, tutto il mondo dello spogliatoio [...]. Insomma, un leader. Un fratello maggiore di tutti, ma un fratello che pretendeva impegno e rispetto come e quanto ne dava lui.
- [...] un campione che non ha mai amato le lusinghe, non è mai ricorso a furbizie, non si è mai piegato ai compromessi. E perciò anche un personaggio difficile nell'allegro mondo del calcio tanto da essere scambiato [...] per una persona superba. Forse, c'era in lui anche una innata timidezza, sostanzialmente avaro di sorrisi e di interviste, detestando le "comunelle" e i vantaggi di una disponibilità servile.
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