Michele Ridolfi

pittore e critico d'arte italiano

Michele Ridolfi, propr. Michelangelo Ridolfi (1793 – 1854), pittore e critico d'arte italiano.

Michele Ridolfi, Autoritratto, 1842

Sopra alcuni quadri di Lucca di recente restaurati

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  • Fu il Marti seguace della scuola romana e in special modo del capo di essa il divin Raffaello, ma non è però che di quando in quando non fosse anch'esso preso dalla mania d'imitare Michelangiolo, il quale non lo imitò mai alcuno che non ne scapitasse. (p. 11)
  • [...] fa veramente meraviglia come il Vasari che ha parlato di tanti artefici anche mediocri, abbia poi taciuto de' nostri e specialmente del Marti. (pp. 11-12)
  • Una non piccola laude da darsi al Marti si è quella di aver esso, più degli altri dipintori del suo tempo, conservato il costume del soggetto rappresentato, dal che mi sembra si possa argomentare che il nostro artefice oltre alla parte materiale dell'arte ne conosceva ancora la parte filosofica; cosa non tanto comune a quei dì né così frequente oggigiorno. (p. 12)
  • [...] ripeterò qui quello che dissi in altro mio scritto a tal proposito, cioè che sarebbe opera veramente utile se in ogni città della nostra bella patria, la Italia, si occupasse qualche artista istruito a segnalare gli errori commessi dal Vasari e dagli altri scrittori delle cose dell'arte, nelle loro opere. Riunendo poi insieme quelle memorie si avrebbe un'opera che certo riuscirebbe oltremodo utile ad ognuno. (pp. 17-18)
  • Convien credere che il Rosselli fosse veramente amante di mettere quel raro metallo [l'oro] a profusione sulle dipinture, o che conoscendo il gusto di chi gli alluogava le opere volesse con quello attirarsi la loro approvazione. E siccome l'esperimento eragli così ben riuscito col buon Papa Sisto [IV], cosi avrà voluto anche con i Lucchesi replicarlo in questa occasione per vedere se un altro premio gli avesse fruttato. (p. 20)
  • Il quadro del Marracci in S. Giusto[1] rappresenta la Natività di Nostro Signore, o l'adorazione de' Pastori, ed è buon quadro in quanto all'effetto, ed all'impasto dei colori. Il Marracci aveva ingegno grande ma nacque in tempi poco felici, quando cioè l'arte era già declinata; e l'esempio e le massime del Cortona lo sedussero più di quelle di Raffaello, che non più si seguivano al suo tempo. Fattosi però seguace anche del Domenichino, poté in questa opera riuscire assai meglio del tipo che si era prefisso, poiché il nostro affresco sta nel mezzo fra il Domenichino e il Cortonese, e può dirsi anzi un impasto di amendue quelle maniere. (pp. 20-21)

Sull'insegnamento della pittura

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  • [...] io penso dovere il pittore cercare nel naturale il più bello possibile ed il più conveniente al suo soggetto, e quello liberamente imitando aggiugnervi la giusta espressione notata sulla natura, da esso sorpresa nelle sue azioni e nelle sue passioni. Conciossiaché il vero bello nella pittura credo io pure col Minardi, consistere nel recare a piena evidenza il migliore stato, la migliore essenza degli esseri visibili nei loro vicendevoli rapporti, senz'ombra di convenzione; nella vera e giusta espressione del soggetto, e nel presentare al riguardante un tutto, che quantunque naturalissimo nelle sue parti, pure difficilmente si troverebbe cosi riunito in natura da destare una tanto viva sensazione. (p. 8)
  • [...] sia l'imitazion nostra in natura, ma non in ogni natura: la natura ritratta sia sempre la migliore, ma non sia mai migliorata: si cerchi cogliere tutta l'espressione della natura, ma questa espressione non sia in alcun modo ingrandita da noi. Cosi adoperando l'arte non sarà men vera, e sarà certamente più efficace. (p. 8)
  • Giotto e i successori suoi hanno colto bene spesso il sentimento vero della natura, il semplice facile e dolce di lei, ed il Masaccio ha portato la espressione di quel sentimento ad un grado eminente. I successori poi del Masaccio hanno certo aggiunto un maggior perfezionamento nella esecuzione, nel chiaroscuro, nel colorito, ma ciò è stato bene spesso a danno della espressione e della verità. (p. 10)
  • Io tengo per fermo che si debba formar prima il cuore e la mente del giovinetto, e quindi procedere allo studio dell'arte. La umanità dell'animo, dice saggiamente il Raynolds, ha perenne efficacia sulle opere dell'artista e del letterato, e perciò Raffaello cercò prima di tutto farsi culto e gentile. Mio avviso sarebbe dunque di far precedere allo studio del disegno un corso di lettere umane, il quale potrebbe occupare il giovinetto da' sei a' dodici anni. (p. 11)
  1. Chiesa di San Giusto di Lucca.

Bibliografia

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