Michele Lupi

giornalista italiano

Michele Lupi (1965 – vivente), giornalista italiano.

Citazioni di Michele Lupi modifica

  Citazioni in ordine temporale.

Michele Lupi, giornalista: il coraggio delle azioni

Intervista di Mauro Farina, thecreativebrothers.com, 31 maggio 2018.

  • Il saper raccontare storie e avere la curiosità di andare oltre la superficie sono gli aspetti che interessano più al pubblico. Oggi esiste una società dello spettacolo molto strutturata nella quale le cosiddette celebrities sono pilotate dal marketing e dalle public relations: per questo nei media si trovano sempre le stesse notizie edulcorate e tendenti a voler piacere alla parte più consistente dell'audience. Questa "omologazione delle notizie" mina la sincerità della storia stessa nelle sue fondamenta. Ecco, questa autenticità si può e si deve andare a cercare in chi non ha interessi commerciali da difendere; come le persone poco famose, ad esempio, o come gli anziani che hanno già avuto tutto dalla vita e a cui è rimasto solo il puro piacere di raccontarsi. In vent'anni di carriera mi sono reso conto di quanto sia molto più interessante raccontare storie di persone normalissime piuttosto che quelle di star di vario tipo.
  • Ho sempre privilegiato la costruzione di una identità chiara e forte di ogni magazine che ho diretto [...] rispetto a ciò che si suppone possa piacere al pubblico, puntando sul marcare nettamente la linea di separazione tra tutto ciò che parla a quello che io definisco un "mercato" di massa e ciò che può interessare ad un'audience più raffinata, più esigua in termini numerici, ma sicuramente più influente.
  • Una delle differenze fondamentali tra il formato cartaceo e quello digitale online sta nel fatto che il primo ha dei limiti fisici molto stretti che obbligano a una selezione, cosa che sul formato digitale non esiste. Un magazine cartaceo ti costringe a selezionare le dieci idee migliori tra le cinquanta che hai, evitando il rischio di "annacquare" il giornale stesso. Il limite fisico ha, a mio parere, il vantaggio innegabile di obbligarti a scegliere, portandoti a pubblicare il distillato puro di ciò che ti piace.

Come cambiare tutto

Intervista di Gabriele Ferraresi, luz.it, 2019.

  • In questi ultimi anni vince il marchio sul singolo prodotto: si creano spontanee famiglie allargate di giovani alle quali interessa far parte della vita e del lifestyle di un determinato marchio, quasi indipendentemente dal singolo prodotto offerto. Alle sfilate, ormai, vedi famiglie con bambini e tutti quanti si identificano in un preciso brand organizzatore dello show. Ogni famiglia ha il suo, non sono poi tanti. La necessità diventa quindi creare la propria storia di brand, con un'identità precisa. [«Qualsiasi cosa faccia il brand me la compro, basta che abbia quel marchio?»] Esatto, diciamo che — anche se tra chi ascolta la Dark Polo Gang e chi va in piazzetta a Portofino rimane una certa distanza — il tema di oggi è che pian piano si sono abbattute le barriere intergenerazionali. Anche quelli che vanno in piazzetta a Portofino hanno incominciato a portare i simboli che comprano gli adolescenti. Tutto quello che è venuto fuori dalla cultura hip-hop, che è ancora una cultura giovane, è il frutto della capacità di coniugare una certa idea di ribellione con i più sfrenati simboli della ricchezza. Negli anni '70 e '80, o eri da una parte o eri dall'altra. Questa di oggi è una cosa molto americana, che non ha radici culturali qui da noi. È una espressione del ghetto, è l'espressione di un'energia vitale, di una certa idea di giovinezza. Se una volta i due mondi o le due generazioni erano contrapposte, oggigiorno si mescolano. Le vedi, le madri di oggi: vogliono essere come le figlie. E i padri iniziano a guardare con un po' di invidia come si vestono i figli. Una volta li criticavano per come si vestivano, oggi al contrario vogliono essere come loro.
  • Se "noi" soffriamo in questa società — e in questo momento soprattutto gli adolescenti soffrono di una grande solitudine — è perché abbiamo una società piuttosto disgregata, in parte per via dei social media, che ci spinge all'isolamento. In Sud America c'è un'attitudine al divertimento, allo stare insieme, più intatta. La musica nuova arriverà da lì. Bisogna allargare in nostri orizzonti e tenere le antenne alzate.
  • Negli ultimi anni la pubblicità è entrata in maniera molto invasiva nelle redazioni dei giornali, è cambiato tutto. S'è tutto mescolato, l'evoluzione del mondo è andata così, dieci anni fa c'era una separazione nettissima, era impensabile che venisse qualcuno del marketing non dico a discutere del giornale, ma anche solo a fare una riunione insieme. Sono cambiati i tempi, e può essere discutibile, ma l'importante resta una cosa sola: fare le cose con una certa etica, cercare di fare il bene del giornale, il bene del lettore con autorevolezza e sinceramente. Io penso sia possibile, anche oggi.
  • [«Nelle direzioni che hai dato c'è sempre stata un'identità forte: piacere moltissimo, ma forse non a tutti. È una cosa che si costruisce più di pancia o di Excel?»] Più di pancia. Piacere a tutti è una degli obiettivi del marketing che ha fatto crescere i numeri a dismisura ma ha ridotto anche l'identità emotiva dei prodotti. Ho sempre fatto dei giornali dal carattere preciso e molto legati all'entertainment, non ho mai fatto giornalismo "vero": quello delle inchieste, dei quotidiani, è un'altra roba. Nei mensili si fanno molti approfondimenti e — se il lavoro lo si fa bene — si va a caccia di storie interessanti e soprattutto nuove. Ho sempre cercato di appassionarmi e trovare delle storie che potessero affascinare il nostro lettore, soprattutto l'obiettivo è trovare cose nuove: volevo fargli conoscere delle cose che non conosceva, perché io ho sempre sofferto molto a trovare delle cose sui giornali che conoscevo già, mi ha sempre fatto girare le scatole. È però un lavoro completamente diverso da chi fa "hard news", giornalismo in senso stretto, è proprio un altro "sport". Non nascondiamoci. I mensili sono prodotti molto creativi, se fatti bene, che possono avere un ruolo culturale contribuendo ad allargare conoscenze e orizzonti. Il giornalismo più tradizionale, quello delle news, ha però un compito sociale ancora più alto: come sappiamo è un baluardo della democrazia e — anche se oggi ad alcuni questa definizione può far sorridere — i quotidiani continuano ad avere un ruolo fondamentale.

Conversation at Bar 8 – Michele Lupi

mrdeestill.com, 18 maggio 2022.

  • Le aziende, grazie al digitale, si stanno trasformando in media company, capaci di produrre autonomamente contenuti editoriali e parlare direttamente con i propri clienti, saltando il passaggio azienda/media, che per me invece è fondamentale. Se parli di te stesso senza un terzo soggetto indipendente, diventi autoreferenziale, poco autorevole.
  • Sono molto legato al vintage, ma sto sempre attento a non cadere nel tepore delle "cucce" calde della nostalgia, che alla lunga è sterile. Sono contento di ciò che ascolto nella musica, che leggo nei libri, è la mia cultura, gli anni di formazione sono quello che ti resta, ma non devi avere la chiusura mentale di chi si ostina a pensare che le cose migliori siano solo quelle della propria gioventù. Il tempo passa e per me è fondamentale tenere un occhio su quanto succede adesso. Non è facile entrare in contatto con mondi più contemporanei, con generazioni più giovani, e comprenderli, ma se ci riesci, con interesse genuino, beh, devi dargli spazio, devi stare attento.
  • [«Se tu potessi scegliere una vita totalmente diversa, chi vorresti essere?»] Un designer di automobili, alla Marcello Gandini, un uomo curioso che nei disegni metteva le sue esperienze di vita. Dico alla Marcello Gandini, e non come, perché lui è un maestro, irraggiungibile.

Racers modifica

  • [Sull'autodromo nazionale di Monza] Ogni anno, in un weekend di settembre, mi svegliavo alle cinque del mattino, per ritrovarmi un'ora più tardi a pedalare con la mia Saltafoss sul lato estremo di viale Fulvio Testi; arrivavo fino a Monza, mi addentravo nel parco, attraversavo i suoi immensi prati su qualche stradina sterrata ed entravo nel cuore dell'autodromo da uno dei buchi delle vecchie reti di recinzione. Era una bellissima sensazione, da provare da solo o con un amico: il freddo e la bruma del mattino che mi entravano nei polmoni, la nebbia, l'erba bagnata, l'abbaiare dei cani delle guardie francesi a caccia di abusivi... In quelle mattine di fine estate mi sentivo felice, soprattutto per quella sensazione di vacanza finita, di avere un ultimo baluardo di divertimento e di svago massimo prima dell'inizio di una nuova stagione scolastica. Dopo qualche ora, con il sole ormai alto nel cielo, si accendevano i motori e io pensavo che dopo quella domenica, quell'ultima domenica di vacanza, sarebbe passato un anno intero — un tempo quasi indefinibile, allora — prima di poter riassaporare quelle stesse sensazioni. Dopo quel giorno sarebbe iniziata un'altra interminabile serie di giornate a scuola, dove avrei passato ore a non capire nulla di ciò che dicevano i professori, disegnando caschi integrali e macchine da corsa sul banco della classe. (cap. Con l'emozione in tasca, pp. 44-45)
  • Avete mai domandato a un pilota perché corre? Io sì, e mi sono sentito un po' stupido. E come se ti chiedessero: "Perché mangi? Hai paura mentre mangi?". Ti guardano strano. E rispondono: "Quando corro, vivo. Per il resto, aspetto". Sorriso. Ecco come ti parlano: "Velocità? Perdi il senso fisico del luogo. Nel momento in cui pensi 'sono qui' sei già là. Non sei da nessuna parte, ma ti senti ovunque". [...] Per esperienza diretta, direi che i piloti di moto e di macchine da corsa vivono all'interno di un mondo dalla realtà un po' alterata. In linea teorica sanno che l'attività che esercitano è pericolosa, ma a loro accade un po' come ai fumatori, ai quali viene detto che le sigarette fanno male. Molto male. La maggior parte, pur consapevole dei rischi, continua a fumare. L'abitudine a frequentare i circuiti, a guidare in condizioni estreme macchine velocissime porta inevitabilmente a una normalizzazione in cui è facile perdere la percezione del pericolo reale. Che c'è. (cap. Hai paura mentre mangi?, pp. 47-48)
  • [...] l'Isola di Man, grazie al Tourist Trophy, non è solo un puntino in mezzo al mare tra l'Irlanda e l'Inghilterra, ma è un posto dove un appassionato di moto può venire, guardare e godere. (cap. All'Isola di Man, p. 66)

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