Luís de Camões

poeta portoghese
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Luís Vaz de Camões, talvolta riportato come Camoens (ca. 1524 – 1580), poeta portoghese.

Luís de Camões

Citazioni di Luís de Camões

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  • È un foco Amor, che ascoso tien l'ardore; | è ferita, che punge, e non si sente; | è un piacer, che tien l'alme discontente; | è acerbo duol, di cui non si ha dolore: || è un non voler, chè cio che vuole Amore; | è un andar solitario tra la gente; | è un godere con voglie non mai spente; | è un credersi felice ove si more: || è un suggettarsi i vincitori a i vinti; | è uno stare in prigion, perché si vuole; | è un esser fidi a chi ci brama estinti. || Come mai de l'Amor si grande amico | è il core uman, chè senza lui si duole, | se Amore de gli amanti è si nemico?[1] (da Descrizion dell'Amore)

I Lusiadi

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L'arme e i chiari guerrier che un dì partiti
Dalla occidua riviera Lusitana,
Per mari pria non navigati, ai liti
Oltre ancora passâr di Taprobana,
Perigli e guerre in sostener più arditi
Di quel che forza prometteva umana;
E fondâr nuovo fra remota gente
Regno, ch'indi fêr tanto amplo e possente:
E di que' re le geste glorïose
Che la fè dilatarono e lo stato,
E le terre infedeli e nequitose
Hanno d'Africa e d'Asia esterminato;
E quei che con lor opre valorose
Dalla legge di morte han sé francato,
Io spargerò, cantando, in ogni parte,
Se a tant' uopo m'aita ingegno ed arte.

Citazioni

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  • Della luna lustravano i lucenti | raggi su l'aque dell'argentea Teti: | feano il cielo brillar gli astri splendenti, | qual campo spesso di fioretti lieti. (I, 58, vv. 1-4; p. 22)
  • [...] è viltà fra le agnelle esser leone. (I, 68, v. 8; p. 25)
  • [...] da rea intenzion nasce il timore [...]. (I, 80, v. 4; p. 29)
  • Oh gravi casi! Oh perigliosi eventi! | Oh cammin della vita ognor mal certo! | Ove fonda più l'uom la sua speranza, | quivi ha il vivere suo men sicuranza. (I, 105, vv. 5-8; p. 38)
  • Tante su 'l mar procelle e tanti danni, | e la morte ognor presta e la paura: | tante in terra battaglie e tanti inganni, | e stenti e inopia abominata e dura. | Scampo ove fia che il debil uom s'ammanni? | Sua corta vita ove sarà secura, | che non s'adiri il Cielo, e s'armi a guerra | contra un sì picciol verme della terra? (I, 106; p. 38)
  • [...] ove regna malizia, ivi è sospetto | ch'essa regni non meno agli altri in petto. (II, 9, vv. 7-8; p. 42)
  • Chi mai salvo potrà da preparato | danno sottrarsi per sagace mente | se quella di lassù guardia sovrana | non dà soccorso alla fralezza umana? (II, 30, vv. 5-8; p. 49)
  • Ecco apparir, quasi del capo cima | di tutta Europa, il regno Lusitano: | ivi il mare ha principio, ivi s'adima | a riposarsi il Sol nell'Oceàno. (III, 20, vv. 1-4; p. 83)
  • [...] re infingardo | snerba un popolo forte, e il fa codardo. (III, 138, vv. 7-8; p. 123)
  • [...] ne' grandi perigli anco maggiore | del periglio è il timor che ne s'apprende. (IV, 29, vv. 3-4; p. 134)
  • Oh gloria di commando! Oh vana brama | di quel vano rumor, che fama è detto! | Oh dall'aura volgar, che onor si chiama, | attizzato ingannevole diletto, | qual tu eserci dell'uom, che troppo t'ama, | dura giustizia, acerba pena in petto! | Che perigli, che morti, e quanti guai; | quanti tormenti sopportar gli fai! (IV, 95; p. 156)
  • Quel grande io son remoto Capo, a cui | nome è dato da voi di Tempestoso. | Me Tolomeo non seppe, e a Strabon fui, | a Mela, a Plinio, e agli altri prischi ascoso. | Io do all'Africa fine, e a' lidi sui | vêr l'Antartico polo il termin poso | con questa rupe a tutti sguardi occulta | a cui vostro ardimento or tanto insulta. (V, 50; p. 177)
  • Quanto la lode e la mertata gloria | de' proprj fatti al cor dolce discende! | Vincere ogni alto spirto la memoria | de' gesti antichi o pareggiar contende; | e spesso invidia di famosa istoria | fe' le imprese più belle e più stupende; | poi che il publico plauso anima ardita | a grand'opre d'onor desta ed incita. (V, 92; p. 191)
  • [...] chi un'arte non sa, non ne fa pregio. (V, 97, v. 8; p. 193)
  • Or vegga ognun come nel ricco annida, | e del povero al paro in cuor s'alletta | l'amor del vil guadagno, e di che forza | dell'aver la rea sete a tutto sforza. (VIII, 96, vv. 5-8; p. 291)
  • [...] splendidi onori e gran tesoro | vero merto e valore all'uom non danno: | meglio val meritarli e non averli, | che non esserne degno, e possederli. (IX, 93, vv. 5-8; p. 324)
  • Chi vile ingiuria fa fuor di ragione | sua possanza adoprando in atto ingiusto, | non vince, no; poi che vittoria vera | è giustizia serbar schietta ed intera. (X, 58, vv. 5-8; p. 344)
  • [...] buon ministro del Signor vaghezza | d'uman fasto non ha, né di ricchezza. (X, 150, vv. 7-8; p. 375)
  • [...] se ne' dotti è saper molto, | più d'util senno è negli esperti accolto. (X, 152, vv. 7-8; p. 375)

Citazioni su I Lusiadi

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  • La Lusiade avrà certo interessato ed interesserà forse anche oggidì i lettori portoghesi, né si può bastantemente lodare lo sfortunato Camoens per l'avere scelto un soggetto così strettamente nazionale, e di più per l'aver saputo adattare e far materia di poema epico un argomento allora modernissimo, qualità che per l'una parte produce estreme difficoltà le quali a molti sono sembrate in un poema epico insuperabili, e per l'altra sommamente contribuirebbe a produrre o singolarmente accrescere l'interesse d'un'epopea, come ancora di un dramma e di qualsivoglia poesia. Ma per li lettori dell'altre nazioni non so quanto nella Lusiade possa essere l'interesse, né se ne' medesimi portoghesi, mancata la recente memoria di quelle imprese, e raffreddato, come per tutta l'Europa, l'amor nazionale e gli altri sentimenti magnanimi, la Lusiade produca per ancora un interesse abbastanza vivo, continuo e durabile. (Giacomo Leopardi)
  1. Riportata in Gianfrancesco Masdeu, Poesie di ventidue autori spagnuoli del Cinquecento, Tomo II (1786), p. 473.

Bibliografia

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  • Luigi di Camoens, I Lusiadi, traduzione di Felice Bellotti, Carlo Branca, Milano, 1862.

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