Giuseppe Genna

scrittore italiano
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Giuseppe Genna (1969 – vivente), scrittore italiano.

Giuseppe Genna

Citazioni di Giuseppe Genna

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  • Sono qui. Avverto la presenza. Il cielo è l'enorme volto tumefatto di mio padre morto, le fosse nere dei suoi occhi decomposti osservano sul pianeta me, ritto nel prato, e urlo.
    Come una scimmia urlo, nella notte, cieco, come un primate, scaglierei un osso nell'aria buia, urlo, tutto il dolore che non c'è, la storia sciacquata e ripulita come il cadavere di mio padre, urlo come un macaco, gli arti flessi male, nella piazza vuota di notte, tutto è buio, solamente, tutto è buio continuamente. (da Medium)
  • Questa propensione al rischio. La mia vera natura, selvatica, iridescente. Io sono l'arcaico cacciatore che all'alba uscì a sventrare velocissime gazzelle, tenendo lontani dalle sue piste i pardi pericolosi. E ritornai a sera nella puzza della spelonca, dividemmo il pasto con i cuccioli, crudo, nel buio ci addormentammo e sognammo i demoni dai volti deformati, colorati di vernice rossa, con le pupille gialle. Mangiavamo dolcissimi tapiri... (da L'anno luce)
  • La carne che suppura, non più viva e non ancora putrefatta, che alimenta, che viene venduta, e scambiata, che propaga la vita in ogni direzione, traslata dove c'è necessità, intorno a cui vertiginosi flussi immateriali di denaro – cioè di sogni e ambizioni, cioè di sottilissima materia – ondulano e s'intersecano e aggiungono voracia a voracia? La carne fatta di filamenti luminosi, prodigiosi. La carne che si mastica. Con i denti, col corpo. La carne ultracorpo. (da Non toccare la pelle del drago)
  • Il governo nazionalsocialista può fare quanto vuole, impunemente. La Germania è nazista. Il Völkischer Beobachter la definisce "una giornata storica. Il sistema parlamentare capitola di fronte alla nuova Germania. In quattro anni, Hitler potrà fare tutto ciò che ritiene necessario: lo sradicamento di tutte le forze corruttrici del marxismo e la costituzione di una nuova comunità popolare. La grande impresa ha avuto inizio! È giunto il giorno del Terzo Reich!". L'impresa ha avuto inizio: è giunto il giorno dei libri. Che cos'è un libro? Domanda abissale: un libro è un santo eretico, un impiccio che fa scivolare i re, la condensazione di visuali alternative e soprannaturali, la morale in azione travolgente, il virus della libertà. Esso agisce per contagio. Tale contagio fu sempre avvertito e si tentò di debellarlo: infezioni e cure simili ebbero luogo in Cina nel III secolo a.C., nel corso del Medioevo a opera dell'Inquisizione, dopo la distruzione dell'Impero Azteco, nella Spagna della Reconquista, fino ai nostri giorni. Laddove il contagio è appiccato, si appicca il fuoco. Lo scrittore è un untore, si sa. Per fare fronte alla diffusione della peste in Venezia devastata dai bubboni, si dispose il rogo di molti libri, strumento di contagio a causa del contatto con le pagine. Quando alcuni umanisti scrissero al vescovo Ghislieri di evitare questa azione, egli rispose che, al pari della peste reale, bisognava debellare la "peste dell'eresia". Nel 1644 John Milton scrisse nell'opera Areopagitica: "Uccidere un buon libro equivale a uccidere un essere umano; chi uccide un essere umano uccide una creatura ragionevole, l'immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la ragione medesima". Nella Tempesta di Shakespeare, Calibano consiglia Trinculo e Stefano per sottrarre il potere a Prospero: "Egli è abituato a fare un pisolino nel pomeriggio, cosicché, dopo esserti impadronito dei suoi libri, potrai strappargli le cervella; oppure con un bastone potrai spezzargli il cranio, o sventrarlo con una pertica, o tagliargli un'arteria col tuo coltello. Però ricordati di impadronirti prima dei suoi libri; senza di essi egli è solo uno sciocco come me, e nessuno spirito potrebbe obbedirgli. Solo i suoi libri devi bruciare". (da Hitler – Romanzo)
  • Il cortisonico non è virtuoso. A fare vedere se stessi è la virtù che progredisce verso il perfezionamento, disciogliendo le scorie psichiche e i nodi di cui è ricco l'uomo interiore. La virtù è annullata dal cortisone, che difende il corpo, quindi difende l'"io". I suoi effetti collaterali sono gli antagonisti del Buddha, del Cristo, di Shankhara. Quindi, costoro sono gli avversari dell'"io" o, piuttosto, l'"io" è il loro avversario e non è virtuoso. Il cortisone è mente liquida. La mente è cortisonica. A contatto col mondo, si fa difensiva, incattivita, avvelenata e velenosa. La mente è una malattia che disvela la salute. Escludetela. (da Italia De Profundis)
  • [Milano] È una città che, quando la pioggia la lava, si sporca. (da Nel nome di Ishmael, p. 65)

Assalto a un tempo devastato e vile

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Siamo qui, io e i miei amici, asserragliati al terzo piano di viale Sabotino. Fuori passa il tram, sferragliante ed elettrico, tra le piastre del pavé. La gente transita indifferente a tutto, tra le luminarie e le vetrine, dentro l'odore azotato che ha la città d'inverno. Quando ci penso, mi viene un tuffo al cuore.

"Il mondo contadino, dopo circa quattordicimila anni di vita, è finito praticamente di colpo", e anche l'Italia, anche l'Italietta, non è andata a morire in nessun luogo. Si è lasciata tramortire, lentamente, violentemente, come in un risucchio repentino, senza lasciare nulla se non l'acrimonia e, appunto, l'indifferenza. Ora, quando giro l'Italia nelle sue devastanti periferie urbane, quando la trapasso nei paesini delle cinture degli hinterland fumigosi, nella nebbia pesante che puzza di letame chimico, o quando entro nelle latterie dove si parla della tris bevendo Campari – io tasto il polso a una morte avvenuta che si è tradotta in una vita più sterile, automatica, indecente.

[...]

Benvenuti nel Tempo dell'Astio.

Citazioni

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  • Quando penso a Dio mi sento un cretino.
  • È quindi vero che la parte più vivace della nostra letteratura è quella che non scaturisce da intenti letterari. Essa comprende i resoconti, gli epistolari, i diari che hanno visto la luce nelle grandi battute di caccia, negli accerchiamenti, nei mattatoi del nostro mondo. In un mondo in cui il vero e l'improbabile si scambiano freneticamente i ruoli, nessun reportage che nasca fuori dal cerchio della violenza prestabilita ha senso.
  • I cospirazionisti addivengono a uno stato di nichilismo poco invidiabile. Essi sono convinti che nulla si può fare per interrompere il gioco e che, in fine dei conti, conviene tacere e chiudersi nel proprio disincanto. La loro odiosa impotenza si rovescia in un'altrettanto odiosa lezione di vita. Essi conoscono fin troppo bene come funzionano i meccanismi dello spettacolo e la morte di Dio, per loro, ha il sinistro suono del fruscio della celluloide.
  • Le storie sono solo storie di poveri. Fuori della povertà, "radicalmente", non esiste umanità.

Chi di sé non vuol conoscere il proprio "fondo sepolcrale" ? Chissà quanti uomini morti dormono in noi... E quante bestie in attesa, nell'umido delle tane, sotto le foglie, mentre goccia l'acqua... La mia accortezza mi ha fatto essere molte cose, in molti luoghi.
"Sono stato l'unico uomo a chiudere un libro con un oppure".
Ancora non mi capacito di avere vinto la mia lotta contro la noia. Io non mi sono mai annoiato.
In questo scritto parla un'enorme speranza.
Oppure no. Oppure...

Dies Irae

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Vermicino – Mercoledì 12 giugno 1981

È un dolce presera italiano che va nel soffio tiepido e niente pare ora dentro il male e il soffio carezza le piane, e le catene dei colli, le rade e i valli del paese che muore Italia. È un paese che muore sui giornali, l'Italia, nella carta di pastastracci e senza collanti e umida di stampa dei quotidiani di giorno in giorno. Fatti politici oscuri che spaccano le leggi, incrinano la storia. Le istituzioni di getto avvolte nelle spire azzurrine delle fiamme, dell'ignominia, dell'immoralità. Imminenza di tragedia nazionale, la politica sbilanciata pronta al crollo, e il popolo diviso non era preparato a tutto questo dopo un decennio altrettanto cupo, con tante morti e fatti capitali, anni Settanta Pochi giorni addietro i magistrati, scesi da Milano nell'Aretino, hanno compiuto irruzione nella villa chiamata Wanda dell'uomo chiamato Licio Gelli, essendo egli assente, e hanno sequestrato documenti segreti, piani di azione, strategie golpiste e una lista di nomi sacri e intelligibili, una loggia che dall'interno dei palazzi intendeva stornare il potere verso un nuovo immaginato Stato, pulito e autorevole e dittatoriale, e nel centro di questo paese che muore, nella piana dolce laziale, in fondo a un buco è una piccola mummia raggrinciata come un feto e piccina di fango che copre il corpicino di un bimbo e ancora non si leva da lui lamento o se si leva da lui, sepolto vivo 36 metri sotto il terreno in un foro di centimetri 30, nessuno lo ascolta poiché il foro traverso cui è precipitato è stato coperto. Da una lastra. Metallica.

Citazioni

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  • La nostra cultura. La nostra storia, storia di storie. Le piste crociate, i sovrappassi, le tremende consistenze del caso, delle tragedie. Questo bambino coperto di fango incastrato in un pozzo artesiano a 36 metri, il braccino sollevato, l'altro braccio ripiegato dietro la schiena arcuata, stretto nella morsa del fango dentro il buio che la specie teme.
  • Qui, concentrato in forma di punta di lancia, lancia che preme dall'interno l'osso piatto dello sterno, il disagio acuminato. L'odio per questa finzione, per questa voce della finzione. Per me, cane nero senza ragione inferocito. Una volta avevo un entusiasmo.
  • La letteratura sa essere pericolosa, ha un arco di durata più lungo di ogni altro medium o prodotto, una carica di memorabilità che sul lungo periodo straccia quello di cui sono capaci film e tv. Lui è consapevole di questa potenza. La utilizza come un'arma. È sfrontato. È dissociato: in difesa rannicchiato dietro lo scudo, va all'attacco sfrontatamente sventolando questa spada di cartapesta che è la letteratura.
  • È immensa come una nave, oblunga e travolgente e sarebbe impossibile vedere lui, se non irradiasse la sua immagine elettronica dall'enorme piramide multimediale dell'architetto Filippo Panseca, uno del Giro.
  • Le palestre: il tempio del decennio. Rambo ha mutato l'epoca, gli Ottanta sono suoi. Il tipo fisico dell'intellettuale è diventato un nerd. Siamo bollati come Generazione X. È umiliante. Non frega a nessuno. Le emozioni sono diventate importanti. La casa è importante. I giovani sono importanti, essi adesso esistono sulla stampa e in tv in questo decennio. L'italian dream ulula, la bocca distorta, il suo orgasmo collettivo al mondo e si compiace (siamo cadaveri eretti, impulsati da elettricità e metabolismi).
  • Dal momento in cui io stesso ho tentato di sfondare questa finzione dall'interno della finzione, usando il genere monarca del regno fiction e cioè il thriller, il morbo ha iniziato a corrodere l'unica zona in cui mi salvavo. Che è dove chiunque mi abbandonava senza che io provassi alcun senso di colpa o angoscia per questo abbandono: la zona fantastica del Dies Irae, questa impossibile storia di storie distorte e monche e indecrittabili che accompagnano il destino futuro della specie per salti enigmatici e di nessun interesse o rilievo collettivo. Qui la mente è unificata e la natura è questa unificazione. Che io ho incrinato per meri motivi economici, di sopravvivenza. L'equivalenza è compiuta: i miei spettri, lo spettro precarietà e lo spettro solitudine, hanno divorato la zona di ancoraggio. Sono iscritto in un protocollo, sono lo scrittore di thriller Giuseppe Genna.

"Il padre vero è dopo la morte fisica. La morte fisica non esiste, perché il padre vero è dopo.
L'antico risulta essere il più nuovo, il nuovo il più antico.
Quale illusione e afflizione possono toccare colui che vede l'unicità?
"Io sono" ovunque.
Saluto quell'Essere che è semplice, così come si avverte al risveglio la presenza semplice 'io sono'. Questa è la fine, questo è l'inizio. Non è né fine né inizio, ma "è".
Saluto quel senso di presenza che erroneamente si identifica con il corpo che è fatto di cibo, a sua volta erroneamente identificato con l'essere.
Il vero essere è il vero padre, che è il semplice senso interno di essere presenti e non va via. State in quell'essere, non potete non starci. Vivete in lui, vi muovete in lui, respirate in lui.
Saluto quell'Essere immutabile, indefinibile, privo di parole, senza dimensioni, intangibile, inafferrabile, impensabile, che sta sotto e dentro tutto quanto muta, è definibile, ha dimensioni, è toccabile, è prendibile, è pensabile.
Non è altro che "è".
Pace.
Pace.
Pace."

Incipit di alcune opere

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Grande Madre Rossa

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Lo sguardo è a diecimiladuecento metri sopra Milano, dentro il cielo. È azzurro gelido e rarefatto qui.
Lo sguardo è verso l'alto, vede la semisfera di ozono e cobalto, in uscita dal pianeta. La barriera luminosa dell'atmosfera impedisce alle stelle di trapassare. C'è l'assoluto astro del sole sulla destra, bianchissimo. Lo sguardo ruota libero, circolare, nel puro vuoto azzurro.
Pace.
Lo sguardo punta ora verso il basso. Verso il pianeta. Esiste la barriera delle nuvole: livide. Lo sguardo accelera.
Penetra nella muraglia delle nubi. Trema nell'impatto, mentre accelera. È un inferno freddo qui. Scariche elettriche, condensa ghiacciata, vento fortissimo, scosse, buio livido. Lo sguardo in accelerazione verso il basso si scuote, è ai limiti, la frizione del gelo è incandescente. Sembra di non farcela. All'improvviso un lampo, mentre tutto trema e tracolla. Nel lampo: l'immagine di un umano nudo, arcaico, che batte un terreno rosso con un osso bianco. Un altro lampo, tutto trema al limite. Lo sguardo vede tutto rosso. All'improvviso penetra.
Vuoto.
È sopra una città, in pura sospensione. È in una bolla. Lo sguardo vede tutta la città. La città è nera, è livida, è opaca, è inquinata. Lo sguardo galleggia sopra la metropoli. Vede emissioni gassose letali e anonime. Lo sguardo bascula, in sospensione, pare navigare, è nel liquido dell'aria. All'improvviso nuovamente accelera. Punta sulla città. Velocissimo. Lo sguardo punta al centro della città. In accelerazione vertiginosa i palazzi, le strade, gli omìni che camminano, le automobiline che incrociano. Velocissimo. Al centro, la Cattedrale è bianca e nera, verticale. Lo sguardo devia di un minimo gradiente angolare. Non punta alla Cattedrale. Vede l'enorme cubo bianco e nero, geometrico e spaventoso, di un Palazzo. Ci va addosso. Si avvicina il muro accecante e bianco.
Lo scontro è tra una frazione di secondo.
Ecco l'impatto.

Italia De Profundis

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È alle mie spalle fosforescente il mare incontenibile del Capo, nella punta più tempestuosa della Sicilia. Qui il re Federico II si salvò ammarando. Il sole scotta l'epitelio dell'acqua, il sole immaturo del primo mattino che sono qui. La furia delle acque implode, io digrigno i denti. A favore di sole l'eritema sulla mia pelle sfruttata si allarga. Non indosso occhiali. La cala larga è vuota, umida la spiaggia, fastidiosa la sabbia raggrumata fredda, davanti a me è la barriera del supramonte di Cefalù. Posso distinguere nitidi i lati erosi dell'Abbazia di Satana detta Thelema.
Ogni storia, la più tremenda, incombe su di me.
Solitario, qui ritornerò: in questo punto preciso del racconto.
L'erede di Satana dal promontorio penetrava in vista delle schiume saline donne dei paesi circostanti, prezzolate, cercava di ingravidare l'homunculus perfetto. Nudo dopo il coito, assistito da fedeli che appuntavano tutto di quei riti, cangianti di volta in volta, urlava alle onde come fossero proseliti, torme di pensieri adepti calamitati dalla sua potenza.
Lì, nelle mura su cui fece istoriare i nuovi Tarocchi, venne sacrificato un uomo.
La sua testa di grosso pitone si sporgeva, i tendini come tiranti, nell'urlo che inneggiava al Nemico, il Grande Rettile che si oppose in un rifiuto paradossale al Chi creò e gli scagliò l'arcangelo contro, mentre già precipitava.
Favole distanti, grammi, grafemi, mappe lasciate sul paesaggio. Spettri, fantasmi. Le mie immagini rincorse, mai raggiunte, raggiunte e superate senza consapevolezza, tagliando nessun traguardo, sulla pista serpentina fosforica della mente.
Il racconto è un serpe largo, muscoloso, a sorpresa è secca la sua epidermide. Ecco la convulsione, la spira: si attorciglia, da disteso che era, questo organismo a sangue freddo, inerte alle radiazioni, che è l'erede designato del regno umano sul pianeta.
Afferrarne il capo diventa estenuante, diventa rischioso.
Il capo del serpe ha un nome, il suo nome è una legione, provate ad afferrarlo, il suo nome è: io.
Il mio capo resta fissato al di sopra del cielo.
Non smetto di scolpire la mia propria statua.
Vedo l'Italia.
Vedo me. Non sono io.

Nel nome di Ishmael

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L'uomo vestito di scuro frenò, aprì la portiera, spalancò il baule dell'auto, manovrò nel buio, estrasse il sacchetto. Si fermò a osservare. Il viale era vuoto: era un viale cieco, senza lampioni. Attese che lo sguardo si abituasse. Le sagome delle cose: iniziò a distinguerle. Vide il cancello d'entrata. Lanciò la sporta, gonfia e pesante, al di là delle sbarre. Poi si arrampicò, scavalcò. Avanzò verso la muraglia. Ora saggiava il muro di cinta. Era basso quanto bastava. Lanciò nuovamente il sacco, ascoltò il tonfo al di là del muro. Fece presa con le suole sulla muratura corrosa dello smog. Cercò fessure con le mani per fare leva. Sbagliò, si issò a fatica. Diede uno strappo, raggiunse l'apice del muro, si mise a cavalcioni, guardò e rimase a bocca aperta.

Le teste

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Questa è una guerra: piccola, interiore.
L'edificio è svuotato, è corroso, è abbattuto. La necrosi avanza. Schieramenti di folle disumane senza colore assaltano, distruggono. Si mangiano tra loro. Boati immensi, smottamenti. Sono come bacilli impazziti, si vedono gruppi, colonie intere dissociarsi e riunirsi, esodi impensabili, folle che puntano al nervo che pulsa. Vogliono nutrirsi della vita altrui.

Bibliografia

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Altri progetti

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