Il mestiere delle armi

film del 2001 diretto da Ermanno Olmi

Il mestiere delle armi

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Titolo originale

Il mestiere delle armi

Lingua originale italiano
Paese Italia
Anno 2001
Genere guerra, storico
Regia Ermanno Olmi
Soggetto Ermanno Olmi
Sceneggiatura Ermanno Olmi
Produttore Ermanno Olmi, Alexander Metodiev
Interpreti e personaggi
Note
  • 9 David di Donatello 2002: "miglior film", "miglior regia", "miglior sceneggiatura", "miglior produttore", "miglior colonna sonora", "miglior fotografia", "miglior montaggio", "migliori scenografie", "migliori costumi"
  • 3 Nastri d'Argento 2002: "miglior fotografia", "migliori scenografie", "migliori costumi"

Il mestiere delle armi, film italiano del 2001 con Hristo Jivkov e Sandra Ceccarelli, regia di Ermanno Olmi.

Chi fu il primo che inventò le spaventose armi? | Da quel momento furono stragi, guerre. | Si aprì la via più breve alla crudele morte. | Tuttavia il misero non ne ha colpa. Siamo noi che usiamo malamente | quel che egli ci diede per difenderci dalle feroci belve.[1]

  Citazioni in ordine temporale.

  • L'Illustrissimo Signor Jioanni De Medici, Capitano dell'esercito di sua Santità papa Clemente VII, fuit infirmus per die quattro et mortus est in contrada Grifone ex febre per essere ferito in una gamba da un colpo de artiglieria. In Mantua, ultimo de Novembre 1526. (Banditore)
  • Oggi, sabato dì pomeridiano raggiunte le retroguardie dei Lanzichenecchi, in su la riva del Po. Il Signor Joanni de Medici con le sue bande di cavalleggeri li hanno assaliti con tanto impeto che il nemico si è ritirato in disordine, disperdendo alcuni carri della sussistenza. (Pietro Aretino)
  • Questi alemanni dell'Imperatore Carlo V, bellissima gente, son calati in Italia con un esercito di diciottomila fanti, avendo costoro gustato la preda di qualche nostra città, ma ancora non hanno avuto più che mezza paga ed eccetto archibugi e scoppi non hanno alcuna artiglieria, alla calata degli alemanni in Italia, sono andati a sbarrare loro il passo: il Generale della Rovere Duca d'Urbino comandante l'esercito pontificio con ottomila fanti e seicento lance, preceduti dal Signor Joanni de Medici con seicento uomini d'arme cavalleggeri e archibugieri di pari numero avendo egli in disegno di incomodare la marcia degli alemanni con incursioni improvvise di giorno e di notte tanto che all'uopo il capitano De' Medici ha fatto brunire tutte le armature, per sorprendere il nemico anche col buio. (Pietro Aretino)
  • Il supremo comandante degli Alemanni, generale Ziorzo Frundsberg, vuole raggiungere al più presto Roma, avendo determinata alla sua gente apposta per lo sterminio dei preti e a saccheggiare tutte le ricchezze della chiesa, vantandosi costui di un cappio d'oro, che tiene legato all'arcione e dicendo pazzamente di voler con quello... impiccare il papa. (Pietro Aretino)
  • A Francesco Maria della Rovere, Duca di Urbino supremo comandante dell'esercito pontificio. Il Parer mio è che essendo le truppe italiane non disciplinate, ne avvezze ad osservare gli ordini, possano le nostre fanterie di appiedati sostenere l'urto in campo aperto delle schiere alemanne anche se costoro, non dispongono di artiglieria e sia piuttosto conveniente travagliare le armate di questi lanzichenecchi con scaramuzze e colpi di mano infastidendoli et ostacolandoli più di tutto, nelle vettovaglie che è il solo modo per condurli in qualche disordine e vincere gente di tale ordinanza. In fede d'obbedienza Giovanni De Medici. (Giovanni de Medici) [dettando una lettera a Pietro Aretino]
  • Leggetemi qualcosa. (Giovanni De' Medici) [a Pietro Aretino]
  • Ormai la politica conta più degli eserciti. (Pietro Aretino)
  • La guerra è tutta un fastidio. (Giovanni De' Medici)
  • Artilleria denominata "falconetto": novissimo marchingegno a retrocarica, più rapidità d'approntamento, più potenza di fuoco. (Alfonso d'Este) [all'ambasciatore austriaco]
  • Camminarono di poi gli alemanni, lungo il fiume giunti alla via di Ostiglia, passano il Po e tolto dalla guerra il capitano Giovanni de Medici, gli alemanni hanno finalmente libero cammino, il generale Ziorzo Frundsberg, gravemente malato è costretto ad abbandonare il suo esercito e tornare a casa, l'esercito tedesco di sua maestà cesarea l'imperatore Carlo V, congiuntosi alle truppe del Borbone, conquista e mette a sacco la città di Roma nel maggio del 1527. (Pietro Aretino)
  • A motivo della sinistra sorte capitata al signor Gioanni de Medici i più illustri capitani e comandanti di tutti gli eserciti, fecero auspicanza affinché mai più venisse usata contro l'uomo la potente arma da fuoco. (Pietro Aretino)    potrebbe essere fuori crono
  • È dunque questo il compenso di quell'onor mio che senza esitazione alcuna ho messo in favola del mondo? Tutti sanno l'impeto che in questo amore avete dimostrato. Si sa la confidenza c'ho usato con voi. Si sa che io mai di me vi feci carestia. Eppur crudele, che in questo amore in cui credevo non si spegnesse mai, io non ne avanzo altro che un perpetuo disonore. Altro non mi resta che ritrovarmi in disgrazia con mio marito e null'altro mi aspetto che si cura infamante sorte. (Nobildonna di Mantova)

Dialoghi

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  Citazioni in ordine temporale.

  • Luc'Antonio Cuppano: Ecco qua, un bel compenso per un soldato dei nostri giorni: una palla d'archibugio spiaccicata proprio come una palanca.
    Pietro Aretino: Colonnello Cuppano, le nuove armi da fuoco cambiano le guerre, ma sono le guerre che cambiano il mondo.
  • Pietro Aretino: Quel verme di Federico [Gonzaga]: prima giura fedeltà al Papa, poi offre protezione agli alemanni del Frundsberg.
    Giovanni De' Medici: È la politica, messere Aretino. Come scrive il Machiavello, ormai la politica conta più degli eserciti, no?
  • Federico Gonzaga: Per la terribilità della vostra natura non vi siete mai degnato di mettere in vostro uso ogni mio possesso come io ho sempre desiderato. Chiedetemi ora qualsiasi cosa che si convenga alla qualità vostra e alla mia.
    Giovanni De' Medici: Vogliatemi bene quando non ci sarò più.
  1. La frase appare in una scritta in un testo a schermo e viene letta da una voce fuori campo. Essa è una traduzione dei primi sei versi (escluso il secondo) della decima elegia del primo libro di Albio Tibullo.

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