Ursula K. Le Guin

scrittrice e glottoteta statunitense (1929-2018)
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Ursula Kroeber Le Guin (1929 – 2018), scrittrice statunitense.

Ursula K. Le Guin nel 2004
Per approfondire, vedi: I dodici punti cardinali.

Citazioni di Ursula Le Guin

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  • Mi ci vollero degli anni per rendermi conto d'aver scelto di lavorare in generi disprezzati e marginali come la fantascienza, la fantasy e la narrativa per adolescenti, esattamente perché essi erano esclusi dal controllo della critica, dell'accademia, della tradizione letteraria, e consentivano all'artista di essere libero. (da The Fisherwoman's Daughter; citato in Oriana Palusci, Da un mondo all'altro: Ursula LeGuin e la storia delle donne, introduzione a Il giorno del perdono, p. 5)

La mano sinistra delle tenebre

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Farò il mio rapporto come se narrassi una storia, perché mi è stato insegnato, sul mio mondo natale, quand'ero bambino, che la Verità è una questione d'immaginazione.

Citazioni

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  • L'unica cosa che rende la vita sopportabile è non sapere che cosa verrà dopo.
  • Naturalmente non c'era alcuna possibilità di nascondere qualcosa, in quella vita, e il mio nomignolo tra prigionieri e guardie era, inevitabilmente: il Pervertito. Ma dove non esistono né desiderio né vergogna, nessuno, per quanto sia anormale, viene escluso.

Ma il ragazzo, il figlio di Thereme, disse balbettando:
«Ci racconterete come è morto?... Ci racconterete degli altri mondi, lassù, tra le stelle... le altre razze degli uomini, le altre vite?»

Il giorno del perdono

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Tradimenti

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«Sul pianeta O non scoppia una guerra da cinquemila anni», lesse «e Gethen non ha mai conosciuto guerre.» Interruppe la lettura, per far riposare gli occhi e anche perché stava cercando di abituarsi a leggere lentamente, a non divorare le frasi a bocconi interi come Tikuli ingurgitava il cibo. «Non ha mai conosciuto guerre»: nella sua mente quelle parole si stagliavano chiare e distinte, circondate da un alone di incredulità infinita, oscura e soffice in cui poi affondavano. Ma che mondo può essere, quello senza guerre? Sarebbe un mondo vero. La pace era la vita vera, una vita di lavoro e sapere ed educazione dei figli al lavoro e al sapere. La guerra, che divorava lavoro, sapere e figli, era la negazione della realtà. Ma la mia gente, pensò, sa soltanto negare. Nati nelle tenebre fitte di un potere mal utilizzato, releghiamo la pace fuori dal nostro mondo, come un faro irraggiungibile. Sappiamo soltanto combattere. Quel po' di pace che qualcuno di noi riesce a trovare in vita sua è soltanto la negazione della guerra in corso, un fantasma di un fantasma, un'incredulità al quadrato.

«Ci sarà mai pace tra noi?», chiese alla fine.
«Hai bisogno di pace?»
Dopo un po' Yoss fece un mezzo sorriso.
«Farò del mio meglio,» rispose Abberkam. «Fermati in questa casa.»
Lei assentì.

Il giorno del perdono

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Solly era stata una monella dello spazio, la figlia di un Mobil, passando da un'astronave all'altra, da un mondo all'altro. Aveva viaggiato per cinquecento anni luce ancor prima di compiere i dieci anni. All'età di venticinque anni s'era ritrovata nel bel mezzo di una rivoluzione su Alterra. Aveva imparato l'aiji su Terra e l'arte del pre-pensiero da un vecchio Hilfer su Rokanan, aveva completato in fretta le scuole su Hain ed era sopravvissuta a una missione come osservatrice su Kheakh, posto terribile e morente, saltando in questo modo un altro mezzo millennio quasi alla velocità della luce. Era giovane ma aveva visto un sacco di cose.

Parecchi anni dopo che Yeowe era entrato a far parte dell'Ekumene, l'ambasciatrice Solly Agat Terwa fu mandata su Terra come inviata dell'Ekumen. Poi fu mandata su Hain, dove servì con grande distinzione come ambasciatore permanente. In tutti i suoi viaggi e servizi era accompagnata dal marito, un ufficiale dell'esercito di Werel di alcuni anni più vecchio di lei, un uomo bellissimo, tanto riservato quanto lei era socievole. La gente che li conosceva sapeva del loro orgoglio appassionato e della fiducia che avevano l'uno nell'altra. Solly era forse, tra i due, la più felice, ripagata e soddisfatta del suo lavoro. Ma Teyeo non aveva rimpianti. Aveva perso il suo mondo, però aveva tenuto ben stretta la sola cosa nobile che gli restava.

Un uomo del popolo

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Sedeva accanto a suo padre, presso il bacino di irrigazione. Ali color del fuoco solcavano l'aria del crepuscolo, scendendo a fior d'acqua. Tremuli cerchi si allargavano, s'incrociavano, scemavano sull'immobile specchio d'acqua. «Cos'è che agita così l'acqua?» chiese sottovoce, intimidito dal mistero, e il padre sottovoce gli rispose, «Sono gli araha che la sfiorano per bere». Allora comprese che al centro di ogni cerchio c'era una brama, una sete. Poi fu l'ora di tornare a casa, e lui corse innanzi a suo padre, immaginando di essere un araha in volo nel crepuscolo verso l'alta città dalle finestre illuminate.

Citazioni

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  • Gli elementi tra cui devi scegliere per narrare la tua storia non sono niente di meno del tutto [...] Gli elementi dai quali costruisci il tuo mondo, il tuo mondo particolare, comprensibile, logico e coerente, non sono niente di meno del tutto. Perciò ogni scelta è arbitraria. Ogni sapere è parziale, infinitamente parziale. (p. 133)
  • La ragione è una rete gettata nell'oceano. La verità che riporta in superficie non è che un frammento, un riflesso, una scintilla della verità totale. (p. 133)
  • L'intera conoscenza umana è particolare. Ogni vita, ogni vita umana, è particolare, arbitraria, uno sprazzo infinitesimale e momentaneo di... (p. 133)
  • [...] il corretto uso della conoscenza è la soddisfazione interiore. (p. 134)
  • Non si può cambiare niente dall'esterno. Stando al di fuori, guardando dall'alto, con un colpo d'occhio generale puoi scorgere le linee del disegno. Vedi cosa è sbagliato, cosa manca. Vorresti aggiustarlo. Ma non puoi annodare i fili. Devi esserci dentro, tesserli. Tu stesso devi esser parte del tessuto. (p. 156)
  • Ogni sapere è particolare, ogni verità è parziale [...] Nessuna verità può rendere non vera un'altra verità. Ogni conoscenza è parte della conoscenza totale. [...] Una volta che hai visto lo schema più ampio, non puoi tornare a vedere la parte come il tutto. (p. 159)
  • Mantenere uno spirito di accettazione. È quanto ho imparato crescendo. Ad accettare. Non a cambiare il mondo, ma a cambiare la nostra anima, in modo che possa stare al mondo, che possa trovare il suo giusto posto nel mondo. (p. 162)

«Quando devi stare seduto e quieto, desideri volare,» le disse, guardando la mano pallida, nodosa e delicata dell'amica posata sul suo braccio. «Quando devi volare, vorresti star seduto e quieto. Ho imparato a restar seduto e quieto, e ho imparato a volare con gli storici. Ma non avevo ancora trovato il mio equilibrio.»
«Poi sei venuto qui,» disse lei.
«Poi sono venuto qui.»
«E hai imparato?»
«A camminare,» rispose lui, «a camminare con il mio popolo.»

Liberazione della donna

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Un caro amico mi ha chiesto di scrivere la storia della mia vita, ritenendo che potesse essere di qualche interesse per genti di altri mondi e altri tempi. Sono una donna qualsiasi, ma ho vissuto in un periodo di grandi mutamenti e ho avuto il vantaggio di sperimentare sulla mia propria pelle il significato della servitù e quello della libertà.

Vi ho narrato la storia che mi è stato chiesto di narrare. L'ho conclusa, come si concludono molte storie, con l'unione di due persone. Che valore hanno l'amore e il desiderio di un uomo o di una donna rispetto alla storia di due mondi, ai grandi rivolgimenti del tempo che stiamo vivendo, alla speranza, alla crudeltà infinita della nostra specie? Molto poco. Ma una chiave è molto piccola rispetto alla porta che apre. Se perdete la chiave, la porta potrebbe rimanere chiusa per sempre. È nei nostri corpi che perdiamo o diamo inizio alla libertà, nei nostri corpi che subiamo o poniamo fine alla schiavitù. Dedico questo libro al mio amico, col quale ho vissuto e col quale morirò libera.

Il mondo di Rocannon

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Come si può distinguere tra leggenda e realtà, su mondi che giacciono a molti anni di distanza dal nostro? Pianeti senza nome, che i nativi chiamano semplicemente «il Mondo»; pianeti senza storia, dove il passato è materia di mito e dove l'esploratore che vi fa ritorno scopre che le sue azioni di pochi anni prima sono diventate le gesta di un dio. Un velo buio di irrazionalità si stende sull'intervallo di tempo che le nostre astronavi attraversano alla velocità della luce, e nell'oscurità proliferano l'incertezza e le esagerazioni, come erbacce[1].

Camminarono in silenzio, fianco a fianzo, per sette passi, fino al parapetto. Poi Ganye, alzando gli occhi verso l'azzurrino, vago bastione della montagna, disse: — Rimani qui con noi.
Rocannon esitò qualche istante, poi disse: — Sì. Per un poco.
Ma rimase laggiù per tutto il resto della sua vita. Quando le navi della Lega ritornarono sul pianeta, e Yahan guidò verso il sud una delle squadre, a Breygna, per incontrarlo, era morto. La gente di Breygna piangeva il suo Signore, e fu la sua vedova, alta, dai capelli biondi, che portava al collo una grande pietra blu incastonata nell'oro, ad accogliere coloro che erano venuti a cercarlo. Così egli non seppe mai che la Lega aveva dato il suo nome a quel mondo.

Incipit di alcune opere

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Ciclo di Earthsea

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Dragonfly

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Gli antenati di suo padre avevano posseduto un ampio, ricco dominio nella vasta, ricca isola di Way. Senza reclamare alcun titolo o privilegio di corte nei giorni dei re, gestirono i possedimenti e la loro gente con fermezza, lungo tutti gli anni bui che seguirono alla caduta di Maharion, reinvestendo ogni profitto nella terra, assicurando una qualche forma di giustizia e respingendo le aggressioni di aspiranti tiranni. Con il ritorno all'ordine e alla pace dell'Arcipelago, sotto l'egida dei saggi di Roke, la famiglia per un tempo prosperò, e con essa le sue fattorie e i suoi villaggi.

I venti di Earthsea

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Vele lunghe e bianche come ali di cigno portarono la nave Farflyer nell'aria estiva, attraverso la baia, dalle scogliere di Armed Cliffs verso Gont Port. L'imbarca­zione scivolò sull'acqua cheta oltre il molo, una creatura del vento così sicura e aggraziata che un paio di cittadini intenti a pescare sul vecchio pontile la accolsero acclamando, agitando la mano per salutare i membri dell'equipaggio e l'unico passeggero in piedi a prua.

Il mago di Earthsea

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L'isola di Gont, una montagna che erge la sua vetta un miglio al di sopra del mare di Nordest squassato dalle tempeste, è una terra famosa per i suoi maghi. Dalle cittadine delle sue alte valli e dai porti delle strette baie scure, molti gontiani sono partiti per servire i signori dell'arcipelago nelle loro città, come maghi o stregoni; oppure, spinti dal desiderio d'avventura, sono andati vagando e operando magie da un'isola all'altra di tutto Earthsea. Tra costoro, alcuni sostengono che il più grande e senza dubbio più famoso viaggiatore fu quello di nome Sparviero, che ai suoi tempi divenne signore dei draghi e arcimago. La sua vita è narrata nelle Gesta di Ged e in molti canti: ma questa è una vicenda di un tempo che precedette la sua fama, prima che venissero composte quelle canzoni.

L'isola del drago

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Dopo la morte di Selce, agiato contadino della Valle di Mezzo, la vedova era rimasta nella fattoria. Il figlio andava per mare e la figlia si era maritata con un mercante di Valmouth; così lei era rimasta sola alla Fattoria delle Querce. La gente diceva che un tempo, nella terra da cui veniva, era una persona importante, e infatti il mago Ogion si fermava sempre alle Querce per salutarla; ma questo non voleva dire granché, dato che Ogion frequentava ogni sorta di nullità.

La spiaggia più lontana

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Nel Cortile della Fontana il sole di marzo splendeva attraverso le giovani fronde dei frassini e degli olmi, e l'acqua zampillava e ricadeva nell'ombra e nella luce chiara. Il cortile scoperto era cinto da quattro alti muri di pietra. E oltre quei muri c'erano stanze e cortili, passaggi, corridoi, torri, e poi le mura di cinta della Grande Casa di Roke, capaci di resistere all'assalto della guerra o del terremoto o dello stesso mare, poiché erano costruite non solo di pietra ma anche di magia invincibile. Perché Roke è l'Isola dei Saggi, e vi viene insegnata l'arte magica; e la Grande Casa è la scuola e il centro della magia; è il luogo centrale della Casa è quel piccolo cortile, racchiuso tra i muri, dove zampilla la fontana e gli alberi stanno impavidi nella pioggia o nel sole o nella luce delle stelle.

Le tombe di Atuan

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— Vieni a casa, Tenar! Vieni a casa!
Nella valle profonda, al crepuscolo, i meli erano alla vigilia della fioritura; e qua e là, tra i rami in ombra, un fiore s'era aperto prematuramente, roseo e bianco, come una stellina fioca. Lungo i filari del frutteto, tra l'erba nuova, folta e umida, la bambina correva per la gioia di correre; quando si sentì chiamare non andò subito, ma fece un lungo giro prima di dirigersi verso casa. La madre, che attendeva sulla soglia della casupola, con la luce del fuoco alle spalle, guardava quella figuretta minuscola che correva e saltellava come un ciuffo di lanugine del cardo portato dal vento sopra l'erba già oscurata, sotto gli alberi.

Ciclo dell'Ecumene

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Città delle illusioni

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Immaginate le tenebre.
Nelle tenebre che incombono fuori della vista del sole, uno spirito muto si destò. Immerso in un caos totale, non conosceva forma. Non possedeva linguaggio, e non sapeva che le tenebre erano la notte. Quando la luce dimenticata brillò intorno a lui si mosse barcollando, a volte correndo a quattro zampe, a volte tenendosi eretto, ma non andava in nessun luogo. Non aveva una via da percorrere nel mondo in cui si trovava, perché una via comporta un principio e una fine. Tutte le cose intorno a lui erano indistinte, tutte le cose gli si opponevano.

I reietti dell'altro pianeta

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C'era un muro. Non pareva importante. Era fatto di ciottoli uniti senza pretese, con un po' di malta. Gli adulti potevano guardare senza sforzo al di là del muro, e anche i bambini non avevano difficoltà di scavalcarlo. Dove incontrava la strada, invece di avere un cancello degenerava in una pura geometria, una linea, un'idea di confine. Ma l'idea era reale. E importante. Da sette generazioni non c'era nulla di più importante, al mondo, di quel muro.

Il mondo della foresta

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Due scampoli del giorno precedente erano nei pensieri del capitano Davidson al suo risveglio, ed egli rimase ad osservarli nell'oscurità, per un lungo periodo di tempo, senza alzarsi dal letto.
Uno positivo: il nuovo carico di donne era arrivato. Incredibile ma vero. Erano laggiù a Centralville, a ventisette anni luce dalla Terra con la navigazione ultra-luce, e a quattro ore di elicottero da Campo Smith: la seconda infornata di femmine da accoppiamento per la New Tahiti Colony. Tutte sane e pulite, 212 capi di razza umana di prima scelta. O che poteva passare per prima scelta, ad ogni buon conto.
Uno negativo, il rapporto dall'Isola Discarica: raccolti scarsi, massicce erosioni, smottamento totale. La fila di 212 figurette poppute svanì dalla mente di Davidson, scacciata dall'immagine della pioggia che scendeva sulla terra dissodata, la rimescolava fino a trasformarla in fango, stemperava quel fango fino a ridurlo a una brodaglia rossiccia che scivolava lungo le rocce e precipitava in un mare spazzato dai piovaschi.

Il pianeta dell'esilio

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Nei giorni finali dell'ultima fase lunare d'Autunno, il vento cominciò a soffiare dalle montagne settentrionali e colpi le foreste morenti dell'Askatevar: un vento gelido, che sapeva di fumo e di neve. Avvolta nella sua pelliccia leggera, svelta e sottile come un animale selvatico, la ragazza Rolery scivolò tra i boschi in mezzo al tempestare delle foglie morte, allontanandosi dalle mura che sorgevano, pietra su pietra, sulla collina di Tevar e dai campi operosi per l'ultima messe. Si allontanò da sola, e nessuno la richiamò indietro. Si avviò lungo un esile sentiero che conduceva a occidente, marcato e rimarcato, fino a formare solchi, dal passaggio dei radipedi diretti a sud, e qua e là strozzato da tronchi caduti o da grandi ammucchiamenti di foglie.

La salvezza di Aka

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Quando Sutty tornava sulla Terra di giorno, era sempre al villaggio. Di notte, era nella Riserva.
Il giallo dell'ottone, il giallo della pasta di curcuma e del riso cotto con lo zafferano, l'arancione delle calendule, l'opaca foschia aranciata del pulviscolo del tramonto sopra i campi, rosso henné, rosso passiflora, rosso sangue secco, rosso fango: tutti i colori della luce del sole durante il giorno. Una zaffata di assafetida. Il mormorio d'acqua di ruscello di Zietta che chiacchierava con la madre di Moti nella veranda. La mano scura di zio Hurree immobile su una pagina bianca. Il benevolo occhietto porcino di Ganesh. Un fiammifero acceso, e l'intensa voluta grigia di fumo d'incenso: penetrante, vivido, dissolto.

Altri romanzi e cicli di storie

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Sempre la valle

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Pietra Che Narra è il mio ultimo nome. Me lo sono dato di mia scelta, perché ho da narrare la storia di dove mi sono recata quando ero giovane; ma adesso non mi reco più da nessuna parte, e me ne sto seduta come una pietra in questo posto, in questa terra, in questa valle. Sono arrivata dove andavo.
La mia Casa è la Creta Azzurra, e la mia famiglia abita nella casa del Portico Alto di Sinshan.
Mia madre veniva chiamata Towhee, Salice, e Cenere. Il nome di mio padre, Abhao, nella valle significa Uccide.

Bibliografia

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  • Ursula K. Le Guin, Città delle illusioni, traduzione di Margherita Molinari, Longanesi & C., 1975.
  • Ursula K. Le Guin, Dragonfly, traduzione di Francesco Di Foggia, in "Legends. Racconti inediti dei maestri del nuovo fantastico", Sperling & Kupfer, 2001. ISBN 8820032007
  • Ursula K. Le Guin, I dodici punti cardinali, traduzione di Roberta Rambelli, Ed. Nord, 2004. ISBN 8842912980
  • Ursula K. Le Guin, I reietti dell'altro pianeta (Quelli di Anarres), traduzione di Riccardo Valla, Ed. Nord, 2007. ISBN 9788842915294
  • Ursula K. Le Guin, I venti di Earthsea, traduzione di Piero Anselmi, Ed. Nord, 2004. ISBN 9788842913085
  • Ursula K. Le Guin, Il giorno del perdono, traduzione di Giancarlo Carlotti, introduzione di Oriana Palusci, Fanucci Editore, Roma, 1997. ISBN 8834705874
  • Ursula K. Le Guin, Il mago di Earthsea, traduzione di Roberta Rambelli, Editrice Nord, 1979. ISBN 8842904694
  • Ursula K. Le Guin, Il mondo della foresta, traduzione di Riccardo Valla, Ed. Nord, 1997. ISBN 8842910694
  • Ursula K. Le Guin, Il mondo di Rocannon, traduzione di Riccardo Valla, Editrice Nord, Milano, 1999. ISBN 8842910716
  • Ursula K. Le Guin, Il pianeta dell'esilio, traduzione di Riccardo Valla, Ed. Nord, 1992.
  • Ursula K. Le Guin, L'isola del drago, traduzione di Riccardo Valla, Ed. Nord, 2004. ISBN 9788842913085
  • Ursula K. Le Guin, La salvezza di Aka, traduzione di Piero Anselmi, Mondadori, 2002. ISBN 8804511346
  • Ursula K. Le Guin, La spiaggia più lontana, traduzione di Roberta Rambelli, Ed. Nord, 2007. ISBN 9788842915225
  • Ursula K. Le Guin, Le tombe di Atuan, traduzione di Roberta Rambelli, Ed. Nord, 2007. ISBN 9788842915225
  • Ursula K. Le Guin, Sempre la valle, traduzione di Riccardo Valla, Mondadori, 1986.

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