Hans Magnus Enzensberger

scrittore, poeta e traduttore tedesco (1929-2022)

Hans Magnus Enzesberger (1929 – 2022), scrittore, poeta, editore e traduttore tedesco.

Hans Magnus Enzensberger, 2006.

Citazioni di Hans Magnus Enzensberger modifica

  • Ai tempi del fascismo non sapevo di vivere ai tempi del fascismo.[1]
  • Ho un'alta opinione delle mie sconfitte.[2]
  • Il turismo, ideato per liberare i suoi seguaci dalla società, prese la società in viaggio con sé. Da allora sulla faccia dei compagni di viaggio, si poté leggere ciò che si voleva dimenticare.[3]
  • L'economia non è un'auto d'epoca. Forse assomiglia di più a un casinò. Ciascuno di coloro che sono seduti al tavolo da gioco si illude che sarà proprio lui, prima o poi, a sbancare. Alcuni esaminano con zelo i bilanci, altri assoldano matematici perché pensano che possano fornire previsioni esatte. Oppure hanno un amico che dà una dritta sicura al cento per cento.[4]
  • Le arti non sono concepite come un'attività storicamente invariante del genere umano, e neppure come un arsenale di «beni culturali» che vivono un'esistenza senza tempo, ma piuttosto come un processo che avanza senza sosta, come work in progress di cui ogni opera è partecipe.[5]
  • Nutrire speranza a breve scadenza è illusione. Una rassegnazione a lungo termine equivarrebbe a un suicidio.[6]
  • «... una letteratura rivoluzionaria non esiste, se non in senso della parola completamente vuoto. Ciò dipende da motivi oggettivi che non è in potere dello scrittore eliminare. Nella nostra situazione non è dato indicare per opere d'arte letterarie unafunzione sociale essenziale. Ne consegue che non si possono neppure trovare criteri utili per giudicare. Non è quindi possibile una critica della letteratura che sia in grado di fare qualcosa di più che emettere giudizi di gusto e regolare il mercato.
    Queste constatazioni hanno un aspetto lapidario. Con tanta insistenza vi prego di considerare che un giudizio di blocco sull'attuale produzione letteraria non può appoggiarsi su di esse Da un punt di vista logico, l'asserzione secondo cui ad essa non si può ascrivere una funzione sociale plausibile non ci mette a disposizione nuove certezze. Essa nega che esistano tali certezze. Se è vera, addita un rischio che forse fa parte dello scrivere poesie, racconti, drammi: il rischio che tali valori siano fin da principio, indipendentemente dal loro fallimento o dalla loro riuscita, sterili e senza speranza. Chi fa letteratura come arte non è per questo confutato, ma non può neppure più essere giustificato. [...]»[6]
  • «[...] Un movimento politico che, invece con il potere dello Stato, se la rifacesse con gli scrittori ameni più anziani, non farebbe che mettere in mostra la propria viltà.»[6]

Il perdente radicale modifica

  • Va detto però che al perdente, per radicalizzarsi, non basta quello che gli altri pensano di lui, siano essi concorrenti o sodali, esperti o vicini di casa, compagni di scuola, capi, nemici o amici, ma soprattutto la moglie. Egli stesso deve metterci del suo; deve dirsi: io sono un perdente e basta. Finché non sia convinto di questo, per quanto se la passi male, per quanto povero e impotente, umiliato e sconfitto, diventa un perdente radicale soltanto quando ha introiettato il giudizio degli altri che ritiene vincenti. Sono allora va in tilt. (I; 2007, pp. 5-6)
  • Nessuno prova interesse spontaneo per il perdente radicale. È un atteggiamento reciproco. Infatti, finché lui è solo – ed è molto solo – non dà in escandescenze; è inappariscente, muto: un dormiente. (II; 2007, p. 7)
  • Il progresso non ha eliminato la precarietà della condizione umana, ma l'ha profondamente modificata. Negli ultimi duecento anni le società piú evolute si sono conquistate nuovi diritti, nuove aspettative, nuove esigenze, spazzando via l'idea di un destino ineluttabile; hanno posto all'ordine del giorno concetti quali la dignità e i diritti dell'uomo; hanno democratizzato la lotta per il riconoscimento e suscitato attese di uguaglianza che non si possono soddisfare; e al contempo hanno fatto sí che ogni giorno per ventiquattro ore la disuguaglianza venga dimostrata su tutti i canali televisivi a tutti gli abitanti del pianeta. Ragione per cui la delusione umana è aumentata con ogni progresso. «Là dove i progressi civili sono effettivamente vincenti ed eliminano effettivamente i mali, raramente suscitano entusiasmo», nota il filosofo [Odo Marquard]. «Diventano, piuttosto, ovvi, e l'attenzione allora si concentra sui mali che restano. Vige insomma la legge della crescente incidenza del rimanente. Quanto piú negativo scompare dalla realtà, tanto piú irritante diventa il negativo residuale, proprio perché diminuisce». (III; 2007, pp. 12-13)
  • L'irritabilità del perdente cresce con ogni miglioramento che nota negli altri. (III; 2007, p. 13)
  • «Sono affari miei». «È colpa degli altri». Questi due momenti non si elidono. Al contrario: si potenziano a vicenda secondo il modello del circolo vizioso. Da questo circolo diabolico il perdente radicale non riesce a liberarsi con nessuna riflessione; da esso trae la propria forza inaudita. (IV; 2007, pp. 16-17)
  • Evidentemente l'istinto di conservazione non è poi così ferreo. Basti pensare soltanto alla predilezione della specie per il suicidio, che accomuna epoche e culture. Nessun tabù e nessuna minaccia di pena ha mai impedito agli esseri umani di togliersi la vita. (V; 2007, pp. 21-22)
  • [...] ci possono essere situazioni nelle quali l'individuo preferisce una fine con orrore a un – reale o immaginario – orrore senza fine. (V; 2007, p. 22)
  • Il perdente radicale non conosce la risoluzione del conflitto, il compromesso, in grado di coinvolgerlo in un normale intreccio di interessi e di disinnescare la sua energia distruttiva. Quanto piú assurdo il suo progetto, tanto piú fanaticamente lo persegue. (VI; 2007, pp. 25-26)
  • Siccome, in quanto perdenti radicali, sono convinti che la loro vita non ha valore, anche di quella altrui non gliene importa niente; non tengono in nessun conto la sopravvivenza. Senza fare distinzione tra nemici, seguaci o estranei. (VII; 2007, p. 28)
  • In base alla quale [alla sharia] le donne sono considerate persone di serie b. Questo non risulta soltanto dal diritto divorzistico, ma anche dal fatto che in tribunale la deposizione di una donna vale solo la metà di quella di un uomo. In caso di stupro, fino a prova del contrario, la colpa viene attribuita alla donna; le si imputa di avere eccitato il maschio con il suo comportamento. La violenza nel matrimonio non viene sanzionata. (XI; 2007, p. 47)
  • Ogni collettivo di perdenti è incline a stati emotivi sovreccitati sfruttabili politicamente. (XIII; 2007, p. 54)
  • La costruzione di moschee in tutto il mondo è pretesa come un diritto inalienabile; la costruzione di chiese cristiane in molti paesi arabi è impensabile. La propaganda della fede musulmana è un dovere sacro, la missione di altre religioni un crimine. Il semplice possesso di una Bibbia viene penalmente perseguito nell'Arabia Saudita. Un califfo autonominatosi tale si scaglia contro la propria espulsione in quanto lesiva dei diritti dell'uomo. Laddove l'incitamento ad ammazzare un romanziere apostata è approvato da molti musulmani. Slogan del tipo «morte agli infedeli (agli americani, ai danesi, ai tedeschi, ecc.)» sono considerati una forma legittima di protesta, per la quale tutti devono mostrare comprensione. Con l'aria dell'innocenza bistrattata predicatori dell'odio pretendono la libertà di opinione, la cui eliminazione è il loro scopo dichiarato. La disintegrazione al tritolo delle statue di Buddha a Bamiyan è stata considerata in Afghanistan un atto di devozione; di reazioni violente in Thailandia o in Giappone non è giunta notizia. Ma non appena si prospetta la proiezione di un film che critica i costumi islamici, la plebaglia si schiera compatta e fioccano le minacce di morte. Si chiede a gran voce rispetto, ma lo si nega agli altri. Mentre le lamentele per la discriminazione dei musulmani della diaspora sono all'ordine del giorno, del tutto ovvia è la discriminazione degli «infedeli» e delle donne da parte dei musulmani stessi. (XIII; 2007, pp. 54-56)
  • [Citando Wolfgang Sofsky] Le dittature riescono a mobilitare centinaia di migliaia di persone solo perché la popolazione stessa è pronta all'attacco. (XIV; 2007, p. 58)
  • Tutte le caratteristiche già abbastanza note da altri contesti [da altri collettivi di perdenti radicali] si ripresentano in questo caso [nel movimento islamico]: la stessa disperazione per il proprio fallimento, la stessa ricerca di capri espiatori, la stessa perdita di realtà, lo stesso bisogno di vendetta, la stessa paranoia maschilista, lo stesso senso compensatorio di superiorità, la fusione di distruzione e autodistruzione e il desiderio coatto di diventare, attraverso l'escalation del terrore, padroni della vita altrui e della propria morte. (XV; 2007, p. 60)
  • Su quattrocento noti militanti di Al Qaeda il 63 per cento vantava un diploma di maturità, i tre quarti provenivano dalla classe superiore o media; altrettanti si situavano a livello universitario, come professori, ingegneri, architetti ed esperti di vario genere.
    Sicché il perdente radicale non deve affatto appartenere obbligatoriamente ai derelitti di questa terra. (XV; 2007, pp. 61-62)
  • La forma piú pura del terrorismo islamico è l'attentato suicida. Sul perdente radicale essa esercita un'attrazione irresistibile, perché gli consente di sfogare le sue fantasie megalomaniache e insieme l'odio verso se stesso. (XVI; 2007, p. 64)
  • L'estinzione non solo di altri, ma anche di se stesso, è la sua [del perdente radicale] soddisfazione estrema [...]. (XVI; 2007, p. 64)
  • Infatti lo scopo dei perdenti radicali sta appunto nel rendere perdenti il maggior numero possibile di altri. (XVII; 2007, p. 68)

Incipit di Il mago dei numeri modifica

Da un po' di tempo ormai, Roberto si era stufato di sognare: faccio sempre la figura del cretino, pensava.
Nei sogni veniva spesso inghiottito da un orrendo pescione che oltretutto puzzava tremendamente. Oppure gli capitava di essere su uno scivolo che non finiva mai. Gridava «Ferma!» o «Aiuto!», ma non c'era niente da fare, la velocità aumentava e aumentava e alla fine Roberto si svegliava in un bagno di sudore.

Note modifica

  1. Citato in Stefano Benni, Il bar sotto il mare, Feltrinelli, 2006, p. 61. ISBN 8807810778
  2. Dall'intervista in Moritz von Uslar, Le risposte di Enzensberger, Internazionale, n. 874, 26 novembre 2010, p. 53.
  3. Citato in Focus n. 89, p. 150.
  4. Da Parli sempre di soldi!.
  5. Da Questioni di dettaglio. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  6. a b c Citato in Ester Dinacci, Realtà della Germania, Edizioni Scientifiche Italiane (ESI), Napoli, 1970.

Bibliografia modifica

  • Hans M. Enzensberger, Il mago dei numeri, traduzione di Enrico Ganni, Einaudi, 1997. ISBN 8806150308
  • Hans Magnus Enzensberger, Il perdente radicale (Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer, 2006), Einaudi, Torino, 2007. ISBN 9788806185558
  • Hans Magnus Enzensberger, Parli sempre di soldi!, traduzione di Isabella Amico di Meane, Einaudi, 2017.

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