Giustino martire

filosofo e martire cristiano

San Giustino (100 – 162/168), martire, apologeta e filosofo greco.

Icona raffigurante Giustino

Citazioni di Giustino modifica

  • Abbiamo appreso che Cristo è il primogenito di Dio, e abbiamo ricordato che è il Lógos, di cui partecipa tutto il genere umano.
    Coloro che hanno vissuto secondo il Lógos sono cristiani, anche se sono stati considerati atei, come, tra i Greci, Socrate ed Eraclito, e altri simili [...].
    Di conseguenza, coloro che hanno vissuto prima di Cristo, ma non secondo il Lógos, sono stati malvagi, nemici di Cristo e assassini di quelli che vivevano secondo il Lógos; al contrario, quelli che hanno vissuto e vivono secondo il Lógos sono cristiani, non soggetti a paure e turbamenti.[1]
  • La filosofia in effetti è il più grande dei beni e il più prezioso agli occhi di Dio, l'unico che a lui ci conduce e a lui ci unisce, e sono davvero uomini di Dio coloro che han volto l'animo alla filosofia [...].[2]
  • Sono cristiano, confesso di esserne orgoglioso e di lottare con ogni mezzo per essere riconosciuto come tale.[3]

Dialogo con Trifone modifica

  • Io ti dirò come la penso - gli dissi. - La filosofia è, in realtà, la ricchezza più grande e più preziosa per Dio; l’unica che ci porta verso di Lui e ci unisce a Lui, e sono davvero tali coloro che hanno dedicato la loro mente alla filosofia. Tuttavia, molti hanno dimenticato cosa sia la filosofia e per quale ragione è stata inviata agli uomini: viceversa non ci sarebbero stati né Platonici, né Stoici, né Peripatetici, né Teoretici, né Pitagorici, perché questa sapienza è una sola (II, 1).
  • «La filosofìa, dunque, procura la felicità?», chiese il mio interlocutore. «Naturalmente, - risposi, - ed è la sola». Soggiunse: «Ma che cos’è la filosofia, e qual'è la felicità che procura? Dimmelo, se nulla te lo impedisce». Ed io gli spiegai: «La filosofia è la scienza dell’essere e la conoscenza del vero, e la felicità che procura è la ricompensa della conoscenza e della sapienza» (III, 4).
  • «Per questa ragione le anime e muoiono e vengono punite: se, infatti, fossero ingenerate, non avrebbero commesso nessuna colpa, non si sarebbero riempite di stoltezza, non sarebbero state prima vili e poi ancora temerarie, non sarebbero di certo trasmigrate per loro volontà nel corpo di maiali, serpenti o cani, e non sarebbe stato possibile costringerle a questo, se veramente fossero ingenerate. Ciò che è ingenerato, infatti, è simile, uguale, identico all'ingenerato, e l'uno non può avere la prevalenza sull'altro per potenza o dignità. Di conseguenza, l'ingenerato non è molteplice: se, infatti, vi fosse una qualche differenza tra essi, anche se la cercassi, non potresti trovarne la causa, ed anche continuando a spingere il pensiero all'infinito, ti fermeresti all'Uno ingenerato, che riconoscerai come causa di tutte le realtà. Gli obiettai allora: «Ma questo è sfuggito a Platone e a Pitagora, uomini sapienti, che per noi sono ormai il pilastro e la colonna della filosofia?» Lui mi disse: «Non mi interessano Platone e Pitagora, e neanche chi sostiene semplicemente dottrine di questo tipo. La verità è questa: puoi impararla da quello che segue. L'anima, dunque, o è vita ovvero ha la vita. Se è vita farà vivere qualcos'altro, non se stessa, come il movimento farà muovere qualcos'altro, piuttosto che se stesso. Che l'anima vive, nessuno lo nega. Se dunque vive, vive senza essere essa stessa la vita, bensì partecipando della vita. Ora, ciò che partecipa di qualche cosa è diverso da ciò di cui partecipa. L'anima partecipa della vita perché Dio vuole che abbia la vita. Così non ne parteciperà più nel caso che Lui non volesse più che viva. Il vivere infatti non le è proprio, così come invece lo è di Dio. Ma come non è proprio dell'uomo vivere per sempre, e come il corpo non rimane sempre unito all'anima, ma, quando viene il momento di sciogliere questa armonia, l'anima lascia il corpo, e non c'è più l'uomo, allo stesso modo, quando l'anima non deve più esistere, si separa da lei lo spirito vivificante e non c'è più l'anima, che invero ritorna dove era stata tratta» (V, 4-6).[4]

Note modifica

  1. Da I Apologia; citato in Liébaert, p. 52.
  2. Da Dialogo; citato in Liébaert, p. 47.
  3. Da II Apologia; citato in Liébaert, p. 48.
  4. Citato in Il prologo del Dialogo con Trifone, traduzione e note di Raffaele Macina.

Bibliografia modifica

  • Jacques Liébaert, Michel Spanneut, Antonio Zani, Introduzione generale allo studio dei Padri della Chiesa, Queriniana, Brescia, 1998. ISBN 88-399-0101-9

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