Francesco Sapori

scrittore e critico d'arte italiano (1890-1964)

Francesco Sapori (1890 – 1964), scrittore e critico d'arte italiano.

La dodicesima esposizione d'arte a Venezia - 1920

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  • Meno pochissime eccezioni, mancano [tra i lavori esposti] le opere cicliche, le composizioni ricche e numerose, dalle quali vai raffigurando a te stesso la varietà dell'universo. La mente degli artisti, impaurita dalla fatica della sintesi e della ricostruzione, si balocca con l'episodio, o col frammento. Né codesti particolari dimostrano almeno una perizia grammaticale che li giustifichi. Osservi quasi sempre là dentro un disagio, un'angustia, come nel volto sudato d'un infermo che non trova conforto.
    Talché, incontrando un artista che dipinge all'aria aperta e affronta il sole, come Amedeo Bocchi, ti senti all'improvviso affratellato con lui, ti rallegri tutto, quasi per una scoperta meravigliosa. (Pagine introduttive, p. 14)
  • Dal padiglione della Francia la scultura è assente; poiché il bozzetto d'Aristide Maillol per il monumento a Paul Cezanne, non ha altro che un valore episodico e commemorativo. Esso raffigura una donna ignuda e adagiata, in attitudine abbastanza semplice e naturale, che è simbolo riassuntivo delle opere del maestro. (La scultura straniera, p. 24)
  • La campagna fu la migliore ispiratrice del Ciardi, sia che egli animasse acquitrini e brughiere, boschi e torrenti, sia che ritraesse i tramonti dorati in Val di Primiero, e le case rustiche sulle rive del Brenta, o le lucide sere in laguna, e i silenziosi casolari delle Alpi. (La pittura italiana, p. 31)
  • La pittura di Guglielmo Ciardi dà soprattutto un senso georgico di quiete. Gli occhi di chi guarda si riposano anche là dove egli ritragga nuvole temporalesche e acque in burrasca. La natura entra nelle sue tele con un aspetto estatico e materno, che consola sempre e non stanca. Molti anni gravi di convulsioni e d'incertezze sono passati; questa pittura conserva ancora tutta la sua sincera e immediata freschezza. (La pittura italiana, p. 32)
  • Più difficile, anzi addirittura angustioso è il riassumere, o comunque il discutere le qualità, i difetti pittorici d'un altro napoletano, Pietro Scoppetta, nato nel 1863 e morto quest'anno, del quale non vedo alcun pezzo importante. Queste trentacinque tele, la più parte impressioni, bozzetti, macchie di modesto formato, suggeriscono appena un fantasma dell'eleganza intima, femminile. Buono di disegno, ma fiacco; chiaro e lucido quasi sempre, di scarsa sensibilità dinnanzi al vero, povero di mezzi e anche lezioso, lo Scoppetta si mostra impreparato all'onore d'una sala propria a Venezia, sala dove fu esposto nientemeno Giuseppe de Nittis; il cui lontano ricordo, vivo nella mente e negli occhi dei visitatori, lo schiaccia addirittura. (La pittura italiana, p. 34)
  • Il Moggioli s'era staccato rapidamente dalle regole accademiche, orientandosi piuttosto verso un impressionismo sano e corretto, che aveva ammirato in certi artisti francesi. Ma per modernità, per sicurezza, il suo stile andava man mano affrancandosi da ogni influsso. Il Moggioli si sapeva destinato a fare da solo, secondo il proprio sentimento. (La pittura italiana, p. 34)
  • La raffinatezza progredisce pel Maggioli insieme alla forza. Il colore è la sua passione: lo pesa, lo scruta nell'aria, lo alleggerisce e lo riscalda col fiato. Madido di luce, vellutato, verrebbe voglia di chiamarlo fragrante, poiché talvolta par succo spremuto dai convolvoli[1], come ne «L'Aratura». (La pittura italiana, p. 34)
  • [Amedeo Bocchi] Subiva in parte il fascino di una certa scuola imbevuta di romanticismo doloroso, dai colori pesanti e sonori; ma in mezzo ai difetti comuni ad altri artisti, si notavano già nelle sue composizioni degli accenni di personalità insofferente, una introspezione premurosa delle anime, e soprattutto un'abilità decorativa dagli effetti precisi e sicuri.
    In pochi anni Amedeo Bocchi ha percorso un lungo cammino; e non sembra più quello di una volta. Se la sua tavolozza permane, in alcune di queste opere, alquanto polarizzata sul nero e sul bianco, se i toni conservano qua e là qualche interezza un po' stridula e cruda, la sincerità, la passione dell'arte compensano tali preferenze. (La pittura italiana, p. 37)
  • Da qualche tempo le mostre di quadri dovuti alle donne, sono aumentate notevolmente. C'è chi vuol trarre partito da questo fenomeno per affermare la decadenza dell'arte; io mi guarderò bene dal pronunziare simile sproposito.
    Esaminerò invece i dipinti delle signore e delle signorine che espongono a Venezia, come ho fatto sinora per altre opere. Si tratta quasi sempre di quadri inferiori, dov'è palese – oltre che la volonterosa diligenza – un senso d'imitazione e d'angustia.
    Vi sono pure delle eccezioni. Emma Ciardi, per esempio, compone con aristocratica delicatezza la triade famigliare, seguendo la via del padre e del fratello[2] con modi suoi, con segni particolari d'intendimento sottile e ben consigliato. (La pittura italiana, p. 40)
  • Due pittrici, le quali dimostrano delle qualità virili (non dispiaccia alle donne questo aggettivo che fu tanto adoperato da Caterina Benincasa[3]), sono Elisabetta Chaplin e Teresa Torello. La prima riafferma in tre solide pitture il valore umano, oltreché decorativo, dell'arte sua; la seconda espone un autoritratto, composto di bianco e nero, su fondo chiaro, che ha un gagliardo e suggestivo aspetto di vita. (La pittura italiana, p. 40)
  • La prima impressione della sala [dedicata a Cézanne] non è favorevole. Si prova subito un'angustia, un malessere; e insieme il cruccio di dover sforzare lo spirito ad una speciale disposizione; un bisogno di miopia condiscendente. Le velature di questi quadri sono sporche, cinerognole; le ombre si sono annerite rapidamente. Rare sono le note che cantano sopra le altre un richiamo, una fanfara, un inno. Il mondo pittorico di Paul Cézanne è opaco, il suo pennello reca delle tracce incancellabili di caligine. Si sente, nostro malgrado, l'impressione di trovarci dinnanzi ad una pianta malaticcia. (La pittura straniera, p. 50)

Incipit di La chimera

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Quando fui sazio della sconfinata monotonía dei piani, ed ebbi conosciuto gli ambigui aspetti del male e del bene, mi rifugiai sul monte di Carpegna[4]. Al brulichío delle folle anteposi il deserto delle prateríe interminabili, il silenzio dei cieli stellati. Mi piacque la bontà delle cose naturali, e l'alto respiro di purezza sovrumana; mi piacque la solitudine dove non suona voce, ma solo parlano i moti dell'anima. Povertà della vita attiva in confronto alla vita contemplativa! Miseria di radici terrene in cospetto a cime celestiali! Inezia di crucci guerre vendette, considerate dalle altezze superbe! Ivi tutto si placa che sia torbido e acerbo; ogni originaria macchia s'offusca scompare; solo l'eterno palpito del desiderio e del rimpianto, domina e vale.

  1. Genere di piante della famiglia delle Convolvulaceae.
  2. Guglielmo Ciardi e il figlio Beppe, fratello maggiore di Emma.
  3. Santa Caterina da Siena.
  4. Monte del comune omonimo in provincia di Pesaro e Urbino.

Bibliografia

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