Endre Ady

poeta ungherese

Endre Ady (1877 – 1919), poeta ungherese.

Endre Ady nel 1910

Citazioni di Endre Ady

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  • Amo colui che parte, | che piange o si desta, | e nei freddi mattini brinati | i campi. || Amo la stanca rinuncia, | il pianto senza lagrime, | la pace, rifugio di saggi, di poeti | e di malati. || Amo i delusi, gl'invalidi, | coloro che sono fermi, | gl'increduli, i tristi: il mondo. || Io sono il parente della morte, | Amo l'amore che muore, amo baciare | chi se ne va. (da Il parente della morte, [1])
  • Com'è bello! Domani è Domenica delle Palme, | e torna, serena, l'antica leggenda: | E forse si troverà ancora un uomo con l'asino | e con amore che lotta per gli altri. | Perché noi abbiamo molto bisogno di asinità. | Gesù. Primavera, Gerusalemme: | La storia è molto antica, | Amen, amen. (da L'uomo dell'asino[2])
  • Mi fermo ansando: Parigi, Parigi, | folta d'uomini, giungla gigantesca. | Dal loquace Danubio un esercito di gendarmi | può lanciarsi dietro di me: | mi attende la Senna e mi nasconde il Bakony.[3]|| Grande è il mio peccato: la mia anima. | Vedere lontano e osare è il mio peccato. | Sono un rinnegato della stirpe di Almos[4][...] || Che vengano: sul cuore di Parigi ora giaccio | nascosto, stordito, libero. | Il nuovo povero ragazzo d'Ungheria | lo protegge ridendo, | lo copre di fiori il Bakony. || Qui morirò, non sul Danubio. (da Parigi è il mio Bakony[5])

In Poesia ungherese del Novecento

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  • Tra ombre immani, nella nebbia che si gonfia, | qui sugli acquitrini ogni cosa s'offusca. | Folgora la mia anima talvolta | lanciando faville contro i mostri | e perché non si consumi nel fuoco | e perché viva, talvolta, | fuori di questo grigio cosmo | alzo la fronte fiera e possente. || Sono un uomo di luce immerso nella nebbia, | sono volontà nel torpore, | sono il miracolo della gente degli acquitrini, | nato per la luce e qui rimasto | in attesa d'un mattino | che la nebbia spazzerà via. | E attendo l'alba se già non arrivi. || L'alba verrà [...] (da Visione sugli acquitrini, p. 45)
  • Qui le lacrime sono più salate | e diversa è anche la cattiva sorte: | sono mille volte Messia | i Messia ungheresi. (da I Messia ungheresi, p. 49)
  • Dammi gli occhi tuoi | per seppellirli nel mio viso di rughe, | perché dolce e incantevole io possa vedermi. (da Dammi gli occhi tuoi, p. 51)
  • Il più grave fardello del Nulla | mi pesa addosso, il grande Nihil | è la mia strada e la mia sorte | è andare, andare, andare... | E Dio è il mio sogno. (da Dio è il mio sogno, p. 52)
  1. In Lirica ungherese del '900, introduzione e traduzione di Paolo Santarcangeli, Guanda, Parma, 1962, pp. 14–15.
  2. In Lirica ungherese del '900, introduzione e traduzione di Paolo Santarcangeli, Guanda, Parma, 1962, p. 22.
  3. Regione montagnosa nella quale si nascondevano in passato i fuorilegge.
  4. Álmos, aristocratico ungherese padre di Árpád, il capostipite della prima casa regnante ungherese.
  5. In Almanach international de poésie, voll. 9-10, Corvina, 1976, traduzione di Marinka Dallos e Gianni Toti, p. 148.

Bibliografia

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