Concetto Lo Bello

arbitro di calcio e politico italiano (1924-1991)

Concetto Lo Bello (1924 – 1991), arbitro di calcio, politico e dirigente sportivo italiano.

Concetto Lo Bello nel 1970

Dall'intervista di Candido Cannavò a La Gazzetta dello Sport, maggio 1974

Citato in Concetto Lo Bello – Intervista maggio 1974, storiedicalcio.altervista.org.

  • Era il Natale del 1949 ed arbitravo Angri-Casertana. La sconfitta della squadra di casa fece imbestialire il pubblico. Allora attorno ai campi minori del Sud c’erano solo poche guardie giurate. Venni assediato, vidi anche balenare la lama di qualche coltello. Non so come sarebbe andata a finire, se un capitano dei carabinieri, Carlo Canger, non mi avesse salvato facendomi salire su una vecchia Balilla a tre marce. E poi via a tutto gas, tra la folla inferocita. Per uno strano caso della vita, lo stesso capitano del carabinieri, divenuto generale, salvò dal linciaggio, credo due anni fa, un altro Lo Bello: mio figlio Rosario, che s’era messo nei guai sul campo di Nocera.
  • [Sulla partita SPAL 2 Napoli del 1967, in cui fischiò tre rigori contro la squadra di casa] Fu ampiamente dimostrato che c’erano tutti e tre quei rigori. Ho agito regolamento alla mano.
  • [Sulla partita più difficile tra quelle arbitrate da lui] Per me fu senz’altro Germania-URSS a Liverpool. Una guerra, ricordo, non una partita di calcio. Rimasi in tensione dal primo all’ultimo minuto. Ogni intervento nascondeva una trappola feroce.
  • Quando cominciai avevo vent’anni. Facevo dello sport, avrei potuto giocare al calcio anch’io. L’arbitraggio mi attrasse non certo come motivo di evasione o per la speranza di arrivare lontano: semplicemente mi piaceva, mi esaltava, poter amministrare su un campo di calcio certi elementari principi di giustizia.

Citazioni su Concetto Lo Bello

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  • [Sull'arbitraggio in Juventus – Cagliari 2-2 del 15 marzo 1970] Cominciò con un rigore per la Juventus, del tutto inesistente. Protestammo a lungo, lui fu irremovibile, andò sul dischetto Haller e Albertosi parò. Mentre correvamo ad abbracciarlo, l'arbitro tornò a indicare il dischetto: il rigore era da ripetere. E lì perdemmo tutti quanti la testa, a cominciare da me. Mentre Albertosi piangeva di rabbia aggrappato al palo, io andai da Lo Bello e incominciai a riempirlo di parole, parolacce, insulti. Gli urlai che noi avevamo fatto sacrifici per un anno intero, e non era giusto che un coglione come lui li buttasse all'aria. Gli dissi anche di peggio, lui fingeva di non sentire e continuava a dirmi di pensare a giocare. Anastasi segnò il secondo rigore [...]. Rientrando a metà campo tornammo a dirgliene di tutti i colori [...]. Pensa a giocare, mi disse ancora un istante prima di far riprendere la partita. E a Cera, che era il nostro capitano, con quell'aria furba che sapeva fare: e voi pensate a buttar la palla in area su Riva. Il rigore per noi arrivò a qualche minuto dalla fine, per un contatto in area non meno discutibile di quello precedente. Stavolta furono loro a protestare a non finire, io ero così stravolto che non calciai benissimo e Anzolin in tuffo riuscì a toccare la palla, per fortuna senza prenderla. Tornando a metà campo dopo abbracci interminabili perché quel gol valeva praticamente il titolo, Lo Bello mi fissò a lungo e la sua espressione diceva: «Allora, hai visto?». Gli risposi ancora un po' secco: «E se lo sbagliavo?». La parola fine la pretese lui: «Te lo facevo ripetere». (Gigi Riva)
  • Entra in campo col passo del padrone che ispeziona il proprio podere. (Indro Montanelli)

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