Colin O'Brady
atleta statunitense
Colin O'Brady (1985 – vivente), atleta statunitense.
Una sfida impossibile
modificaPensai alle mani.
E questo fu il mio primo errore.
Dopo oltre milleduecentoventi chilometri e quarantotto giorni trascorsi da solo in Antartide, il costante dolore alle mani – spaccate dal freddo, con le dita che stringevano per dodici ore al giorno i bastoncini da sci – era diventato un sordo martellare che segnava il ritmo della mia esistenza. Quella sera il dolore prese il sopravvento. Mentre spingevo la slitta sotto una bianca e gelida tormenta – il termometro agganciato alla giacca segnava trenta gradi sottozero, ma le violente raffiche di vento me ne facevano percepire venti in meno – iniziai a immaginare quanto sarebbe stato immensamente piacevole togliermi le manopole.
Citazioni
modifica- L'Ilyushin, il cargo che sfrecciava rombando sopra il canale di Drake diretto in Antartide, aveva tutti i comfort che il suo aspro e concreto design russo lasciava intuire: nessuno. (p. 15)
- Shackleton elevò l'improvvisazione a forma d'arte dopo che la sua nave, la Endurance, rimase intrappolata nella banchisa e fu distrutta dalla pressione del ghiaccio nel 1915. Mantenendo in vita se stesso e i suoi uomini sui ghiacci dell'Antartide per più di un anno e navigando poi su una scialuppa per centinaia di chilometri attraverso alcune delle acque più impetuose del pianeta per cercare soccorso, Shackleton incarnò l'idea che la sopravvivenza stessa possa diventare un atto di eroismo. (p. 22)
- Nulla della vita moderna o della tecnologia ha cambiato la seguente verità fondamentale: le spedizioni si possono effettuare solo quando l'Antartide lo permette. (p. 25)
- L'Antartide mi appariva come una storia ancora da raccontare. L'immenso continente che emerge dal mare con i suoi infiniti banchi di pesci, le sue colonie di pinguini e i suoi branchi di orche, è un luogo senza città, senza residenti, persino senza animali. A popolarlo ci sono solo le stazioni di ricerca scientifica. È l'unico continente a non aver mai vissuto una guerra. Sulle carte geografiche spesso non compare nemmeno, uno spazio vuoto in un mondo perlopiù ricolmo. (p. 28)
- «Se sudi, muori» è una massima dell'esplorazione polare, ancor prima dell'epoca di Amundsen e Scott, basata sulla considerazione che, sottozero, i vestiti umidi a contatto con il corpo possono congelare in pochi minuti, provocando ipotermia. (pp. 42-43)
- L'eliminazione della mia playlist musicale era stata una scelta, un impegno ponderato. Lavorando ai dettagli del progetto con Jenna, avevo deciso che il profondo silenzio del luogo più vuoto del mondo era un dono a cui non avrei dovuto sottrarmi riempiendolo di suoni. La musica può essere una grande distrazione in una lunga corsa o durante un lungo viaggio in auto, ma l'Antartide è il più grande serbatoio di deprivazione sensoriale del mondo, una tela intatta in attesa di essere riempita con pensieri scarabocchiati, magari ispirazioni, ed ero determinato ad affrontare quella tela e vedere dove mi avrebbe portato. Non volevo nulla che potesse inibire, o mettere a tacere, quello che sembrava il dono più caratteristico dell'Antartide. (pp. 92-93)
- I ricordi violenti costringono la mente a tornare indietro e a ricercare schemi e modalità con cui un evento si sarebbe potuto evitare, segni che sono andati perduti. È come cercare le increspature sull'acqua provocate da un sasso gettato in uno stagno: devi cercare il momento iniziale, il punto in cui tutto ha avuto inizio. (p. 107)
- L'album [Graceland di Paul Simon] fu pubblicato nel 1986, quando portavo ancora il pannolino, e nei miei ricordi era la colonna sonora della nostra famiglia, lo ascoltavamo sempre ad alto volume, spesso prima di andare a scuola, per lasciarmi sfogare un po' di energia prima che i miei insegnanti mi chiedessero, per favore, di stare seduto tranquillo durante le lezioni. Associavo Graceland a mattinate cupe e grigie a Portland, che uscivano dal grigiore grazie a quei magnifici ritmi e alla vista della mia famiglia che ballava scatenata attorno a me, con salti, piroette e risate. (p. 148)
- Era un motto che guidava anche le parole e la vita di mio padre: lottare al meglio significa già di per sé avere vinto, e i più piccoli momenti nella vita sono quelli che ci dicono di più su ciò che siamo dentro. (p. 150)
- «È stato bello guardarti mentre eri legata alla corda davanti a me durante la scalata di oggi» dissi. «Ero felice di sapermi unito a te, mentre tendevamo assieme allo stesso obiettivo. È questa la nostra vita». Ora Jenna capì dove volevo arrivare e si passò una mano sugli occhi. «Voglio che sia sempre così» dissi. «Voglio che il nostro legame sia la mia àncora, voglio averti al mio fianco e costruire assieme un futuro magnifico. Jenna, mi vuoi sposare?» (p. 164)
- In quanto americano della costa nordoccidentale, ho sempre pensato al Natale come a un giorno dalla doppia personalità. Quella zona è famosa per offrire in questo periodo le sue giornate più cupe, non solo nell'oscurità delle brevi giornate invernali, ma anche nel freddo umido e grigio che si riversa dall'oceano Pacifico e penetra nel profondo di ogni angolo lasciato incustodito. Eppure, proprio nello stesso momento, il valore della famiglia, della comunità e dell'allegria natalizia è al suo massimo splendore. Il giorno di Natale mi dà l'idea di possedere la caratteristica, che ho sempre amato, di celebrare nella stessa misura forze opposte: oscurità e luce, freddo e calore, solitudine e solidarietà, dove entrambi i termini dell'equazione sono ricchi e potenti, e nessuno dei due è comprensibile senza l'altro. (p. 265)
- Con la mia traversata ero arrivato a misurare gli alti e i bassi della vita in una scala da uno a dieci.
In Antartide avevo sperimentato l'intero spettro: molti giorni di valore "uno", da solo e pieno di paura, piangendo nella tenda ammaliato dalla tentazione di mollare tutto. Ma uscendo dalla mia zona di sicurezza, osando sognare oltre ciò che la maggior parte delle persone riteneva possibile, ero arrivato a questo momento. A questo flusso interiore. A questo "dieci". E ci ero arrivato non nonostante gli "uno", ma grazie a loro.
L'Antartide mi ha insegnato che la vita consiste non nel trascorrere la maggior parte del nostro tempo sul "cinque", nella zona del comodo compiacimento, protetti dalla paura, dalla perdita e dal dolore, ma, piuttosto, nell'avere il coraggio di abbracciare l'intero spettro, l'arazzo formato da tutti gli "uno" e i "dieci" e i momenti mediocri nel mezzo. È la chiave per sbloccare il proprio potenziale e vivere pienamente. (pp. 283-284)
Bibliografia
modifica- Colin O'Brady, Una sfida impossibile, traduzione di Chiara Ujka, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2021. ISBN 978-88-545-2108-7
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