Carlo Troya
Carlo Troya o Troja (1784 – 1858), storico e politico italiano.
Storia d'Italia del Medio-Evo
modificaDella penisola italiana, circondata com'ella è dalle Alpi e dal mare, io prendo a scrivere le istorie dall'anno quattrocento settantasei di nostra salute[1], allorché i Barbari spensero l'imperio d'occidente: ma innanzi ogni cosa toccherò delle origini e de' costumi di que' Barbari e degli altri che prima d'essi erano venuti in Italia.
I Goti, riputati antichissimi tra sì fatti popoli e natii di Scandinavia, furono per lunga stagione confusi con gli Sciti, da' quali non poche de' più moderni scrittori fanno discendere anche i Pelasgi ed i Tirreni. Dall'India invece o da qualche altra regione dell'Asia orientale pretendesi oggi che in distantissima età uscissero i Goti, al pari degli Sciti; dall'India gli Slavi co' Celti, dall'India eziandío i Germani progenitori de' Franchi e de' Longobardi. E s'afferma che non per la prima volta vennero i Barbari dopo l'Imperio, ma gl'Indo-Sciti od Indo-Goti, lontanissimi loro antenati, aveano posseduto fino da' più oscuri tempi l'Italia.
Citazioni
modifica- Differente dal greco era il linguaggio de' Lidi; pur le loro leggi e l'espiazioni religiose non poco simigliavano alle greche in tempo d'Erodoto: appo essi egli asseriva che si fossero per la prima volta coniate le monete d'oro e d'argento, ed essere stati eglino i primi che diedersi al sordido mestiere di rivenduglioli. D'impuri costumi sino dall'antica età si faceva rimprovero a' Lidi; quivi biasimavasi Ercole d'aver tralignato al fianco d'Onfale[2]; quivi Clearco addotto ne' libri di Ateneo accusava gli uomini d'aver preso maniere di donne; quivi finalmente pativansi le infami prostituzioni delle figliuole de' Lidi per acquistarsi la dote. (vol. 1, De' popoli barbari, p. 81)
- All'aspetto degli Unni tutta si commosse l'Europa. Vagabondi si mostrarono su' loro carri ed impazienti di qualunque tetto; non più Sceniti, come dianzi, né usati a riparar sotto le tende od a coprirle di feltro. Piccioli erano ed agilissimi delle persone; minuti gli occhj scintillavano lor nella fronte; su larghe spalle nero e deforme avevano il volto, e schiacciato il naso tra le prominenti ossa delle guance. (vol. 1, De' popoli barbari, pp. 106-107)
Citazioni su Carlo Troya
modifica- Carlo Troja fu il vero grande storico napoletano di questo secolo[3]. Il nome suo è congiunto indissolubilmente alla storia d'Italia e a quella dell'antico Reame. Al suo senso storico si deve se il Medio Evo non fu più una tenebra per gli studiosi. (Raffaele de Cesare)
- Da molti il Ministero Capponi in Firenze è paragonato al Ministero di Carlo Troja in Napoli ed il paragone calza purtroppo da molti lati. Entrambi si trovano collocati tra la dubbia fede del principe e quella dei soliti arruffapopoli: levarne le gambe sarebbe stato difficile per chiunque. Impossibile poi a due uomini indeboliti – l'uno e l'altro – dagli anni e dalle infermità: il Troja era paralitico, il Capponi cieco. (Ernesto Masi)
- I viaggi e gli studi storici compirono e rafforzarono in Carlo Troja il sentimento dell'italianità. Per lui le vicende medioevali non erano così disordinate e confuse, come apparivano ai più; il Medio Evo per Troja non fu, in sostanza, che la lotta del romanesimo con la barbarie, la quale, prima vittoriosa, fu poi alla sua volta domata e romanizzata. (Raffaele de Cesare)
Note
modificaBibliografia
modifica- Carlo Troya, Storia d'Italia del Medio-Evo, Vol. I, Parte I, dalla Tipografia del Tasso, Napoli, 1839.
Voci correlate
modificaAltri progetti
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