Bernardo De Dominici
pittore e storico dell'arte italiano
Bernardo De Dominici (1683 – 1759), pittore e storico dell'arte italiano.
Vite de' pittori, scultori ed architetti napoletani
modifica- Erano già da più tempo venute in costumanza appresso la maggior parte de' Popoli, le Gote fabbriche[1], dapoiche perdutesi le buone regole degli eccellenti Maestri, eran rimaste sepolte nelle rovine de' Regni, oppressi da tante barbare nazioni, le quali quasi torrenti sgorgando dalla gran Penisola della Scandia[2], inondarono le campagne, e col loro rapido corso, vennero a sommergere tutte quelle belle arti, che più che altrove, aveano renduta adorna la bella Italia; laonde mancandone gli buoni esempj, fu necessario quelli solamente seguitare, che l'imperizia de' tempi mostrava loro; e così togliendoli da' Goti, o come altri vogliono da Francesi con più ragione, perché migliori forme di membri dimostravano, e migliori regole negli edificj, che gli altri, secondo le loro costruzioni si formarono anche in varie rinomate Città Italiane, fabbriche di molta considerazione, sforzandosi però alcuni più ingegnosi, di aggiungere a quelle, qualche bellezza, ovver magnificenza, acciocché a gli occhi de' risguardanti almen più bella apparisse [...]. (tomo primo, p. 17)
- Ma benché egli [Masuccio Primo, gli esempi degli antichi edifici romani] cercasse insinuarli nelle buone, e perfette regole dell'Architettura, non v'era però chi quelle adoperando, con pratica gli dimostrasse; perciocché tutti gli Maestri di quel tempo, alla Gotica gli edificj fabbricavano, e nulla curandosi de' Romani esempj, che anzi disprezzandogli, aveano talmente introdotto quel barbaro costume, che da per tutto prevaleva ad ogni altro quel detestabile abuso; laonde seguitandosi da tutti, convenne ancora a Masuccio di seguitarlo, e massime perché i Fabri ad altro modo che quello non erano avvezzi, come anche perché a' Padroni, che ordinavan le fabbriche (avendo corrotte le menti da tali usanze) ogni altro disegno non dilettava. (tomo primo, p. 18)
- Avea Masuccio [Secondo] nell'edificazione della prima Chiesa della Santissima Nunziata dato mostra del suo mirabile ingegno, che di gran lunga i giovanili anni suoi sopravanzava, avendola quasi all'uso italiano condotta, e molto si era scostato dagli gotici ordini, per la qual cosa diede speranza a' suoi, ed a molti, che egli dovesse a' suoi tempi magnifiche, e bellissime fabbriche operare. Né s'ingannavano punto, perciocché avea questo giovane appresa dal vecchio Masuccio[3] le Romane forme, e con ciò nutriva un ardente desiderio di vedere in quell'alma Città i magnifici edificj di quella veneranda antichità, per abolire al possibile quello abuso introdotto da' Goti. (tomo primo, p. 37)
- Quest'opere bellissime, con altre di sopra mentovate, guadagnarono a Giovanni [Merliano] il nome di Scultore maraviglioso, come lo attesta il Vasari medesimo nella Vita di Girolamo Santa Croce, nel primo volume della terza parte, a carte 184; e le fabbriche erette con suo disegno, e direzione quello di ottimo Architetto, e d'intelligentissimo Maestro in tal facoltà gli diedero; laonde non è maraviglia, che essendo venuto in tanta stima appresso ogni persona della Città di Napoli, gli fosse addossato il peso dell'apparecchio delle feste, e la direzione di esse, oltre all'opere di sua mano, che far si dovevano per la venuta dell'Imperador Carlo V, che da più anni venir doveva in Italia, secondo che il medesimo Imperadore avea dichiarato infin d'allora, come si disse; sicché meritamente fu dato a Giovanni il pensiero d'impresa così importante, come sarà da noi divisato nella descrizion che segue delle feste accennate, per dare alcun diletto al curioso lettore. (tomo secondo, pp. 11-12)
- Fu Giovanni [Merliano] molto timorato di Dio, e seguentemente molto caritativo verso de' poveri, ed ajutò anche altri Artefici della sua professione, acciocché le loro famiglie sostentassero, facendo loro disegni, modelli, e bozze, e sovente assistendoli di persona, e massimamente allorché fatto vecchio aveva per diletto andare a vedere l'opere altrui, e quelle, occorrendo, correggere anche di sua mano e massimamente de' suoi Discepoli [...]. (tomo secondo, p. 32)
- [Michelangelo Merisi da Caravaggio] tanto avea sopraffatto gli animi degl'intendenti, e de' Professori medesimi quella nuova maniera cacciata di scuri con pochi lumi, e che terminava nell'ombre, ove per lo più si perdevano que' contorni, che devono essere un chiaro esempio, per istruire, e dar norma a gli studiosi dell'arte del disegno. (tomo secondo, p. 275)
- E uno de' biasimatori [di Girolamo Imparato][4] era Massimo Stanzione, pittore assai rinomato ne' tempi suoi medesimi, il quale, come uomo onesto, detestava quella soverchia vanità di che Girolamo andava altiero; benché per verità, fra questi due artefici virtuosi qualche gara vi fosse nata, per gelosia: essendo entrambi in un tempo, ed entrambi in gran stima: tutto che Massimo fosse più giovane, ma forse più fondato nell'arte, come in appresso lo superò[5] nelle belle opere magnifiche ch'ei fece [...]. (tomo secondo, p. 361)
- Col favore continuo del Viceré[6], venne il Ribera in grande autorità presso tutti, e massimamente de' pittori, i quali per ischivare la di lui naturale maldicenza, alterigia, ed arroganza, lo andavano a corteggiare, ed ossequiare nella propria casa; oltre a' presenti che gli mandavano per acquistare la di lui benevolenza: e pochi furon coloro che onestamente vivendo a loro stessi, non curassero né punto né poco del suo mal costume [...]. (tomo terzo, p. 116)
- Facendo il Ribera a maraviglia bellissime le teste dei vecchi, e con tanta verità somiglianti il vivo, che furono in quel tempo stimate inimitabili, e per giudizio di tutt'i maestri delle nostre arti, si stima che niun pittore de' passati, e de' tempi nostri gli abbia dipinti più vivi e veri; dando loro tutte quelle grinze e secchezze, ed altri segni, che porta con seco l'età decrepita, onde meritatamente dagli stessi emoli suoi furon lodate; e da' suoi parziali innalzate alle stelle. (tomo terzo, pp. 117-118)
- Fu Giuseppe di Ribera di natura altero, come abbiam detto, e perciò oltre misura sostenuto nelle sue azioni: e benché fosse di statura piccolo, e minuto di membra, mostrava gravità nel moto, e nel praticare anche con soggetti di alto affare, e di autorità, siccome erano i viceré del suo tempo; trattando con loro assai familiarmente, e con decoro della persona e dell'arte. Vestiva nobilmente; e dopo avere da se scacciata la povertà, e la miseria, si trattò alla grande, abitando in decorosi appartamenti [...]. (tomo terzo, p. 136)
- Fu Aniello [Falcone] di bello aspetto, di carnagione tra 'l bruno e 'l vermiglio, di occhio azzurro e vivace, di capello più chiaro che oscuro, come apparisce dal ritratto, che il mentovato Antonio di Simone teneva appresso di sé. Vestiva civilmente, portava spada e pugnale, e volentieri faceva delle bizzarrie, essendo animoso ed ardito, confidato anche nella perizia di ben maneggiare la spada, onde si trovò più di una volta in pericolosi cimenti. Il suo genio bizzarro, e per vero dire rissoso, lo portò a fare la descritta compagnia della morte, applaudita da Mase Aniello[7] e dal popolo sollevato. (tomo terzo, p. 229)
- [...] egli [Aniello Falcone] fu studiosissimo del disegno, a talché nelle sue pitture non si può notare debolezza di contorni, ma somma intelligenza del nudo. I suoi cavalli erano anche ottimamente intesi, e disegnati, ed io ne ho vedute infinite teste da lui dipinte dal naturale, e belle gambe tirate con bellissima simetria e gentilezza. Le piegature de' panni ebbe facili, e graziose e bene adattate al nudo, che solea egli anche prendere dal naturale. Il colore impastato tra la maniera del Ribera suo maestro, e 'l colorito di Massimo[8]. Nelle battaglie fu certamente singolare. (tomo terzo, p. 232)
- [...] fiorendo in Roma vari incomparabili maestri, lumi della pittura, s'ingegnò Mattia [Preti] di veder tutti operare, prendendo domestichezza co' loro discepoli. Gareggiò poi con gli accademici di S. Luca, bravi disegnatori, e con lo stimolo della emulazione divenne eccellente nel maneggiar la matita, e nel disegno massimamente, perché col comodo del naturale, esposto nella mentovata Accademia, ei venne a far acquisto de' perfetti contorni, e dell'intelligenza de' muscoli, la quale nondimeno egli stesso dicea aver più che altrove appresa nell'incomparabile galleria Farnese, dipinta dal grande Annibale Carracci, e nelle opere del divin Raffaello nelle stanze del Vaticano. (tomo quarto, p. 5)
- [Mattia Preti] Aggiunse a questo studio [del disegno] quello della notomia[9], per ben intendere il vero sito e 'l componimento delle ossa, e la struttura de' tendini e de' nervi, al qual fine diessi con molta riflessione a disegnare l'Ercole Farnese[10], statua più di tutte opportuna al suo genio per lo risentimento de' muscoli, e per la grandezza de' contorni. Venivan però spesso interrotti questi studi dal suo genio inclinatissimo al giuoco della spada. Sicché lasciando il toccalapis[11]; cercava col fioretto segnalarsi nelle cavalleresche Accademie, nelle quali somma lode riportava; quindi siccome era ugualmente invaghito della scherma e della pittura, così cercava ugualmente di conoscere tanto i gran pittori, quanto i gran maestri di quella, affinché in ciascheduna delle due facultà potesse apprendere la desiderata perfezione. (tomo quarto, pp. 5-6)
- Giunto Mattia [Preti] in Anversa, portò il caso, che essendo egli in una chiesa ad ascoltar messa, e questa celebrandosi in un altare, ove era esposto un quadro del Rubens, egli quasi incantato dalla gran bellezza di esso, poca attenzione fece al Divin Sacrificio: perloché dappoi che questo fu terminato, gli si accostò un gentiluomo di aspetto grave e pien di decoro, il quale per lo gran corteggio che avea d'intorno parevagli un gran signore, e cortesemente dimandollo, come gli piacesse quel quadro. A tal domanda risposto avendo Mattia, che per conoscere quel pittore era venuto in Fiandra, tosto quel signore pronto si offerì di condurvelo egli stesso, e con nobil cortesia menollo seco in una magnifica casa corredata alla nobile, ed ornata di belle statue, di bassi rilievi, di medaglie, ed altre riguardevoli curiosità, e fra le altre cose pendevano dalle pareti vari quadri del Rubens. Di questi il gentiluomo molti ne biasimava, tacciandoli di qualche difetto, e dimandando anche Mattia del suo parere. Ma egli modestamente opponendosi con ragioni tratte dall'intimo dell'arte sforzavasi di fargli conoscere esser l'opere non solo senza il preteso difetto, ma perfettissime. Il perché sentì dirsi dal gentiluomo: Voi certamente siete professore, perché così ben parlate della pittura, e per le ragioni che mi avete apportate sarete valentuomo, niente meno del Rubens, o almeno lo sarete in appresso. Alle quali cortesi espressioni umiliandosi Mattia, confessava esser venuto per imparare da quel grand'uomo, e quegli: dappoiché tanto desiderio avete di conoscere il Rubens, ed avete avuto il disagio di venir fino in Fiandra per tale oggetto, sappiate che io sono Pietro Paolo Rubens. (tomo quarto, pp. 11-12)
- Abbiamo noi, nel principio di questa vita, parlato della sovrana abilità ch'ebbe [Luca Giordano] di contraffar le maniere de' più eccellenti pittori. Fia bene qui aggiungere, che dal principe di Sonnino furon fatti chiamare Francesco di Maria[12], e 'l cavaliere Giacomo Farelli[13], acciocché dessero giudizio di un quadro, ch'egli volea comperare, e fu da essi riputato una delle belle opere del Tintoretto; ma avendovi per terzo chiamato Luca Giordano, egli si pose a ridere, e staccato un piccolo legnetto commesso nel telaio, fece osservarvi scritto il suo nome col giorno, il mese, e l'anno; del che restarono confusi gli emuli suoi. (tomo quarto, p. 194)
- La maraviglia maggiore di quest'artefice [Luca Giordano] è, che non essendo egli versato nelle lettere, né ammaestrato nelle storie e nelle favole, fusse nondimeno così copioso di concetti poetici o di episodj, come si osserva nelle opere sue; poiché non vi è quadro ove non ve ne siano bellissimi, e nobilmente ideati. Egli è però ben vero che suppliva a questo suo difetto con la pratica dei migliori letterati de' tempi suoi [...]. (tomo quarto, p. 195)
- [Luca Giordano] Fu di memoria così felice, che si ricordava di quadri molti anni prima veduti, e perciò contraffece eccellentemente le opere di altri pittori, massimamente Veneziani; dicendo, che pareagli di aver presente l'opera di quel pittore ch'egli imitava. Che più? mostrandogli Raimondo un disegno del cavalier Calabrese, dove mancava la figura del Cristo, che apparisce agli Apostoli, presa la penna la disegnò simile al quadro veduto da lui venti anni prima; cosa che fece stupire i circostanti. (tomo quarto, p. 196)
Note
modifica- ↑ Gli edifici in stile gotico.
- ↑ Penisola scandinava.
- ↑ Masuccio Primo.
- ↑ Girolamo Imparato, o Imperato (1549 – 1607), pittore del tardo Rinascimento e del Manierismo, attivo soprattutto a Napoli.
- ↑ Nel testo "o" superò.
- ↑ Pedro Téllez-Girón, III duca di Osuna.
- ↑ Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello.
- ↑ Massimo Stanzione (1585 – 1656), pittore attivo principalmente a Napoli nel periodo barocco.
- ↑ Variante antica di anatomia.
- ↑ Scultura ellenistica, databile al III secolo d.C., esposta nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
- ↑ Allungalapis o portalapis.
- ↑ Francesco Di Maria (1623 – 1690), pittore italiano.
- ↑ Giacomo Farelli (1629 – 1706), pittore italiano.
Bibliografia
modifica- Bernardo De Dominici, Vite de' pittori, scultori ed architetti napoletani, tomo primo e tomo secondo, Stamperia Ricciardi, Napoli, 1742-1743.
- Bernardo De Dominici, Vite dei pittori scultori ed architetti napoletani, tomo terzo, dalla Tipografia Trani, 1844.
- Bernardo De Dominici, Vite dei pittori scultori ed architetti napoletani, tomo quarto, dalla Tipografia Trani, 1846.
Altri progetti
modifica- Wikipedia contiene una voce riguardante Bernardo De Dominici
- Wikisource contiene una pagina dedicata a Bernardo De Dominici