Bernardo Bellincioni

poeta italiano

Bernardo Bellincioni (1452 – 1492), poeta italiano.

Citazioni di Bernardo Bellincioni modifica

O bella Italia, a te piangendo dico:
Ben fusti a morte, misera, vicina,
Ben ti poneva a l'ultima ruina
El barbarico sangue a te inimico.

Ma la prudenzia sol di Lodovico
Si può per te chiamar grazia divina,
Che ha fatto in rosa a te tornar la spina,
Onde patre el poi dir, non pure amico.

Ancor nostra memoria trema e teme
Del Barbarossa e' Goti, e sue ferite,
Vostra Italia, Signori, ognor ci mostra.

Aprite or dunque gli occhi e non dormite,
E state uniti a la salute vostra
Se pietà di noi punto al cor vi preme.[1]

O discesa dal ciel lucente stella
Sol per onore del mondo e di natura,
El sole in quella parte adombra e scura
Ov' e belli occhi volge or l'Isabella[2]

  • [all'orafo e scultore Cristoforo Foppa detto il Caradosso]

Se ben non lega al ramo la natura
Un pomo o Primavera all'erba i fiori
Como di man di Caradosso fuori
Legate escon le gioie a chi misura[3]

Citazioni su Bernardo Bellincioni modifica

  • Anche il Bellincioni ebbe un posto importante alla corte sforzesca.
    L'arguto poeta fiorentino visse a Milano lungo tempo e qui svolse la sua maggiore attività letteraria quasi interamente dedicata, purtroppo, ad adulare cortigianescamente – ma forse sinceramente, come sembrò ad altri – il Moro e i suoi. [...]. Il Moro lo coprì di favori e nutrì per lui così grande fiducia da attirare al poeta l'invidia e la malevolenza degli altri cortigiani. (Francesco Malaguzzi Valeri)
  • Gian Galeazzo e Isabella d'Aragona[4] se lo tenevano tanto caro per le sue allegre trovate, per la facile e fluida parlata fiorentina piacevolmente diversa da quelle che si sentivano all'intorno, che lo vollero a compagno nelle cavalcate, nei viaggi, persino alla mensa. Qualche sera la gentile duchessa, trattenuta dalle allegre chiacchiere del poeta, s'indugiava così a coricarsi ch'egli sentiva il bisogno di chiedergliene scusa, naturalmente in versi, il giorno seguente. (Francesco Malaguzzi Valeri)

Note modifica

  1. Rime, I, sonetto CLXII; citato in Francesco Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro, vol 1, La vita privata e l'arte a Milano nella seconda metà del Quattrocento, Ulrico Hoepli, Milano, 1913, cap. III, p. 487.
  2. Citato in Francesco Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro, vol 1, La vita privata e l'arte a Milano nella seconda metà del Quattrocento, Ulrico Hoepli, Milano, 1913, cap. III, p. 486.
  3. Citato in Francesco Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro, vol 3, Gli artisti lombardi, Ulrico Hoepli, Milano, 1917, cap. IV, p. 329.
  4. Gian Galeazzo Maria Sforza e sua moglie Isabella.

Altri progetti modifica