Beatrice Rana
pianista italiana
Beatrice Rana (1993 – vivente), pianista italiana.
Citazioni di Beatrice Rana
modificaCitazioni in ordine temporale.
- Quando si parla di Sud tutti immaginano una società patriarcale e maschilista, ma chi conosce meglio il Salento e la Puglia sa che la nostra società è profondamente matriarcale. Penso alla mia famiglia, a modi di dire come: "Vado a casa di mia madre" anche se si va da entrambi i genitori.[1]
- Quando ho iniziato a fare i primi concorsi pianistici avevo otto o dieci anni. A vincere erano sempre la bambine: diligenti, brillanti, brave. Ma crescendo il loro numero si riduceva drasticamente. Ancora oggi all'età di vent'anni la proporzione è del tutto a favore dei maschi. E non è un problema solo italiano. [«Perché accade?»] Non riesco a dare una spiegazione precisa. Forse la disillusione perché non esistono tante figure femminili di riferimento [...][1]
- [«Un idolo?»] Martha Argerich: amo il suo modo di fare musica, la sua creatività. La considero "la" donna pianista.[2]
- Quando ero piccola sognavo una vita musicale fatta di concerti come il mio punto di arrivo, ora invece non è assolutamente così, penso sia un percorso che cambia direzione costantemente, una evoluzione fatta di tante responsabilità.[3]
- Sono onorata di poter essere considerata una solista di riferimento, ma il palcoscenico è una realtà che non permette grandi allori anche se potrebbe sembrare il contrario.[3]
Intervista di Leonetta Bentivoglio, repubblica.it, 9 aprile 2017.
- [...] Bach supera distinzioni di genere creando una musica assoluta. Su di lui circola un altro pregiudizio: lo si considera talmente spirituale da essere inavvicinabile. Ma non si tiene conto della sua immensa umanità. La sua musica riflette canoni inattaccabili da opinioni estetiche soggettive. È perfetta, e quindi ricca di emozioni. Non narra una storia né descrive nulla. Ma può aprirsi a squarci di humour e tuffarci in abissi di tristezza.
- [Le Variazioni Goldberg] [...] un'indagine che, oltre a essere compositiva, è matematica e geometrica. Ma si tratta di una geometria trascesa, capace di far emergere profondi aspetti umani.
- Le Variazioni [Goldberg] iniziali sono brevi, veloci e concatenate. Qualcosa d'importante accade nella quindicesima, dove la solarità del tema prende ad adombrarsi in nuove atmosfere emotive. Dopo una pausa di riflessione irrompe un'Ouverture, cioè una rinascita, e le Variazioni si fanno più lunghe, complesse e autonome. Il secondo snodo decisivo è la venticinquesima, detta la "perla nera": in quest'oggetto raro e prezioso Bach tocca il fondo. [...] Quando pare che non si possa scendere di più in profondità, s'avvia il percorso che conduce all'esplosione finale: dalla venticinquesima Variazione parte un climax che ci guida verso il canto di gioia della trentesima. Infine il terzo momento-chiave è il ritorno dell'aria iniziale, che sebbene identica suona diversa. Cos'è cambiato? L'aria o noi? Noi, naturalmente. Dopo l'immersione nella "montagna d'oro" delle "Goldberg", tutti, compresa la pianista, non sono più gli individui di prima.
Intervista di Alberto Riva, editorialedomani.it, 9 novembre 2021.
- Mi piace essere da sola sul palco perché sono responsabile al 100 per cento di quello che faccio, però amo molto suonare con l'orchestra, è di grande ispirazione. Ogni orchestra ha la sua personalità e ogni volta è una esperienza diversa. Tra le orchestre statunitensi e quelle europee cambia proprio la filosofia del suono; in Europa è caldo, molto profondo, colorato; in America è più brillante, splendente.
- Non ho mai conosciuto un artista che abbia messo d'accordo tutti: l'arte non è fatta solo per essere ammirata, ma anche per essere oggetto di discussione. Va benissimo non piacere a tutti, ed è giusto e vitale che ci siano opinioni diverse.
- Chopin ha scritto quasi esclusivamente per pianoforte e ha rivoluzionato tutta la scrittura per lo strumento. Fino a quel momento gli Studi erano semplicemente degli esercizi di tecnica, e lui ne ha fatto dei capolavori da suonare in concerto. Ha reso colta la musica popolare: le mazurke, i valzer. Ha usato formule nuove: prima di lui lo Scherzo era soltanto un movimento di sonata, non era un pezzo autonomo; la Ballata anche. Sono formule nuove. Ha conferito cantabilità al pianoforte che, in fin dei conti, è uno strumento a percussione. Non passa da rivoluzionario perché era una figura così gentile, eppure lo era [...]
Intervista di Roberta Scorranese, corriere.it, 6 marzo 2023.
- Siamo abituati a meravigliarci quando qualcuno al di sotto dei quaranta raggiunge successi ragguardevoli, ma dimentichiamo che i trentenni sono adulti.
- [«Se le dico Sokolov?»] Penso all'astrazione. Non sempre sono d'accordo con quello che fa ma non si può non rimanere ammirati di fronte a quel talento.
- [«Che cos'è il talento per un pianista?»] È conoscere alla perfezione la musica e poi ripetere la stessa cosa sperando ogni volta in un risultato diverso. Qualche volta ho la sensazione di fare un lavoro folle, che è composto di prove e prove e prove dello stesso pezzo. Ma so anche che la musica deve entrarti nel corpo per poterne uscire trasformata. Il corpo diventa un'appendice del pianoforte. Ma attenzione a parlare di "allenamento", è una parola che non amo. [...] io cerco sempre di non separare la prova fisica dallo studio intellettuale della musica. Studiare un pezzo, cercare di comprenderlo nelle sue sfumature va di pari passo con l'esercizio quotidiano. Perché di questo si parla: uno studio disciplinato tutti i giorni.
- [«Come si sceglie un pezzo da suonare?»] È la cosa più difficile. I promotori, giustamente, vogliono il programma con un anticipo di due o tre anni, ma io tra qualche anno non sarò la stessa [...]. Magari vorrò cose diverse, avrò cambiato opinione su più temi e allora magari sentirò più affine un altro pezzo o un altro compositore. La musica non è fredda esecuzione, ma deve rispecchiare quello che sei in quel preciso momento, altrimenti tutto sa di falso.
- [...] purtroppo per noi artiste resta ancora ben salda la valutazione, vecchissima, del "bella e brava". Cioè, accanto al giudizio sull'esecuzione di un brano affiora sempre anche un giudizio estetico, che raddoppia l'ansia. Lei non sa quante volte, salendo su un palcoscenico prestigioso, capita di sentirsi inadeguati, non per la preparazione bensì per l'abito, il trucco, i capelli. Questa tensione aggiuntiva non esiste per un pianista uomo.
- [...] farò una confessione: io, ma penso di essere come molti altri miei colleghi, non ascolto molta musica. È la verità: quando passi la vita a suonare dal vivo, a registrare dischi, a provare o a studiare suonando, al di fuori del lavoro non puoi più nemmeno accendere il televisore, devi "ripulire le orecchie". Oggi c'è troppa produzione, troppa richiesta, troppa scelta con le piattaforme di musica, troppi artisti, troppo tutto. [...] la musica è altro. La musica è riflessione, studio, attenzione, anche errore, perché no. E c'è un altro paradosso: oggi la qualità tecnica di un concerto e soprattutto di una registrazione deve essere perfetta, altrimenti non passa i test del mercato. C'è una tecnologia raffinatissima che ci permette di avere un suono impensabile nel secolo scorso. E poi che succede? Se in quindici secondi – perché questo è il tempo di un reel sui social – non colpisci, ecco che scattano le critiche, le campagne denigratorie. Tanta maniacale ricerca della perfezione per un giudizio che oggi si formula in pochi attimi.
- Nella mia carriera ci sono dei momenti luminosi ai quali ripenso con gioia. Come quando, a diciotto anni, vinsi il concorso pianistico internazionale di Montréal. Il mio maestro al conservatorio, Benedetto Lupo, mi convinse a partecipare e io e mamma partimmo, pensi, con i libri di scuola in valigia: non vincerò mai, pensavo, almeno ripasserò le lezioni per la maturità. Quando annunciarono il mio nome come vincitrice mamma fece cadere la macchina fotografica per l'emozione e dunque di quel momento glorioso non resta traccia. Quindi corremmo a comprare un abito da sera nel negozio accanto all'albergo, figuriamoci se ne avevo portato uno.
Intervista di Maria Laura Giovagnini, iodonna.it, 13 luglio 2023.
- L'immagine dell'artista lontano, sull'eremo, forse è un po' sparita. E, comunque, io penso che come musicisti possiamo fare tanto "per" e "con" il pubblico. Guardando più a modelli esteri che italiani, ho cercato di creare una relazione interattiva con gli spettatori: non si devono sentire componente passiva dell'organizzazione. Il loro è un ruolo fondamentale [...]. [«In che modo facilita questa interrelazione, praticamente?»] Con l'abolizione del palcoscenico standard (tutti sullo stesso piano) e la creazione di situazioni informali: all'aperto, nei campi, fra gli ulivi. A volte c'è un filo di supponenza nei fan della classica, e allora [...] mi sono concessa un esperimento molto comunista [ride, ndr]: ho tenuto un concerto di cui non ho annunciato il programma. Non sapendo cosa avrebbero ascoltato, nessun esperto aveva certezze granitiche su quando applaudire, al pari dei neofiti [...]. Battevano le mani guidati solo dal principio di piacere, proprio come dovrebbe essere.
- La cosa che ho imparato in questi primi anni di vita concertistica è che il pubblico non è scemo e bisogna dargli fiducia. Non dobbiamo chiedere, dobbiamo dare e poi in cambio si riceve. Esigere il silenzio in sala è sbagliato: il silenzio lo si ottiene, non lo si pretende. Purtroppo non in molti sono d'accordo con me [ride forte, ndr].
- Nei grandi centri si ha tanta offerta e un pubblico già c'è. Dove non c'è, va costruito, stabilendo un rapporto di fiducia. Nel caso delle nuove generazioni a maggior ragione, visto che in Italia manca educazione musicale nelle scuole: non si può giudicare un ragazzo che non ha mai avuto accesso agli strumenti di conoscenza, sgridarlo al minimo gesto sbagliato come fanno i bacchettoni... Non è colpa loro se non sanno: si tratta di incoraggiarli, aprire le porte, far capire che non c'è puzza di naftalina. Anzi, è un mondo in cui si possono muovere moltissimo a loro agio.
- [Su Clara Schumann] [...] è una figura pazzesca, si può dire che abbia "inventato" il mio mestiere. È stata la prima donna a fare tournée da concertista, e pur avendo otto figli: sembra assurdo [...], figuriamoci nell'Ottocento! E quando è rimasta vedova – a poco più di 30 anni e in modo traumatico (il marito si è suicidato) – ha continuato la carriera, diventando una musa ispiratrice per Johannes Brahms. Era forte, visionaria, geniale [...]. Solo lei poteva darsi limiti, e purtroppo l'ha fatto: dopo il matrimonio, ha smesso di comporre.
Note
modifica- ↑ a b Dall'intervista di Emanuele Coen, Beatrice Rana: «Le donne nella musica classica? La battaglia è solo all'inizio», lespresso.it, 25 maggio 2022.
- ↑ Dall'intervista di Francesco Mazzotta, Beatrice Rana, da bimba prodigio a star del pianoforte. «Mi notò Abbado, mi piacciono i Maneskin», bari.corriere.it, 22 gennaio 2023.
- ↑ a b Dall'intervista di Luciano Fioramonti, Beatrice Rana, non mi sento arrivata, è un grande viaggio, ansa.it, 2 marzo 2024.
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