Antonio Zobi

storico italiano (1808 - 1879)

Antonio Zobi (1808 – 1879), storico italiano.

Cronaca degli avvenimenti d'Italia nel 1859 modifica

  • La vittoria di Palestro [nella seconda guerra d'indipendenza italiana] e la liberazione delle provincie pedemontane dall'aborrita presenza dell'oste[1] tedesca, fu gioja nazionale rimbalzata nei cuori di tutte le persone dabbene in ogni più remoto angolo d'Europa. Da San Pietroborgo a Lisbona, da Londra a Costantinopoli, s'elevò un grido d'esultanza all'Italia, troppe volte vilipesa e conculcata dalle sue consorelle, che non cessarono mai di sfruttarla. Fu questo un tardo ma giusto tributo di riconoscenza inviato al popolo, figlio primogenito del genio e della civiltà, che illuminano il mondo moderno, e che l'Austria ed il suo obbrobrioso satellizio gesuitico vorrebbero schiacciare per dar indietro e rannodarsi con la barbarie, ond'imperare nelle tenebre. (vol. I, cap. IX, p. 490)
  • Se le notizie della vittoria di Palestro apportaron dunque gran letizia tra tutte le popolazioni italiche, i suoi despoti dall'altra parte impallidirono, e divennero tremanti su' conquassati troni. Francesco II di Napoli succeduto da pochi giorni al padre suo[2], il più odioso monarca di questo secolo, n'ebbe amarezza grandissima, quantunque fiancheggiato da 100,000 uomini armati più per far lo sgherro alla tirannide, che a decorosa conservazione e difesa del regno. Rimasto sotto l'influenza della matrigna austriaca[3], avrebbe voluto imitare il genitore appigliandosi a' rigori contro i sudditi godenti fama di liberalismo; ma trattenuto dall'interposizione de' nuovi inviati di Francia e d'Inghilterra, usò di qualche astinenza, non tanto però da impedire che la polizia facesse le solite sciarrate ed alcuni arresti. Incapace a regnar da sé per difetto d'acume, esser pertanto un istrumento adattatissimo per servire all'altrui perversità; e come sempre avviene, i governi de' principi stupidi riescono i peggiori pe' popoli. Dicesi che all'annunzio delle sconfitte austriache [nella seconda guerra d'indipendenza italiana] egli piangesse fanciullescamente. (vol. I, cap. IX, pp. 491-492)
  • Come precipitò il Califato nel nulla, così s'appressa l'istante in cui verrà a dissolversi la Curia romana, edifizio al pari del Sacro Impero costrutto con arte grandissima nel medio-evo, ma similmente troppo decrepito per poter più a lungo resistere all'attuale rinnovamento civile. Il Pontificato senza la Curia ripiglierà certamente la sua antica influenza morale nel mondo, ed i papi scevrati dalla turba prelatizia ritorneranno santi. Separata così la religione dalla politica, gl'Italiani ricupereranno la patria, e la Chiesa avrà credenti. (vol. I, cap. IX, p. 492)

Storia civile della Toscana modifica

  • Ai 9 di luglio del 1737 spirò l'anima Gio. Gastone [de' Medici], ultimo rampollo e Granduca della schiatta Medicea, cagione d'infiniti mali alla Toscana, parecchi dei quali s'estesero a tutta Italia. Egli ebbe ingegno altissimo a tutte le cose, fu di piacevole spirito, d'animo liberale, e di dotte cognizioni adornato. Le scienze e le buone lettere non gli furono ignote, e molta perizia ebbe in diverse lingue antiche e moderne. (tomo primo, p. 71)
  • Ben a ragione [Gian Gastone de' Medici] venne reputato il principe più colto del suo tempo: né a lui fino al quinto lustro d'età mancò una pia ed incorrotta mente. Nemica fortuna ed il paterno orgoglio si congiunsero per dargli in moglie donna di carattere e d'educazione difformissima dalla sua: nemica fortuna e la sensuale debolezza gli posero a fianco Giuliano Dami, l'uomo più infame che debbasi ricordare in queste pagine. (tomo primo, p. 71)
  • [Giuliano Dami] D'insinuanti e leggiadre maniere era costui, e quanto scaltro aveva lo spirito, altrettanto vile e perverso il cuore. Abietto di nascita ed ambiziosissimo, formò un vituperevole disegno, che gli aperse l'adito a disonorare se stesso in un col suo signore, ed a corrompere una quantità di giovani ed innocenti persone. La verecondia m'impone il silenzio, ed il ribrezzo mi trattiene la penna. (tomo primo, pp. 71-72)
  • [Antoniotto Botta Adorno] Imperito nelle faccende militari, nessuna capacità tampoco aveva nei negozi civili. Inflessibile ed avaro di carattere, acerbissimo di maniere, pareva nato apposta per farsi odiare da tutti, e specialmente dalle popolazioni toscane, che trovarono in lui un vendicatore dell'ingratitudine somma usata all'egregio predecessore[4]. (tomo primo, p. 364)
  • [Antoniotto Botta Adorno] Era costui uno di quelli uomini, che di quando in quando l'ira divina sembra che inalzi ad alti seggi ministeriali per gastigare le nazioni e percuotere gli stati. (tomo primo, p. 365)

Note modifica

  1. Armata, milizia.
  2. Ferdinando II delle Due Sicilie.
  3. Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867).
  4. Emmanuel de Nay, conte di Richecourt (1697 – 1768), presidente del Consiglio di reggenza del Granducato di Toscana, fu sostituito nel 1757 dal Botta Adorno.

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