Antonio Angelillo
calciatore e allenatore di calcio italo-argentino (1937-2018)
Antonio Valentín Angelillo (1937 – 2018), allenatore di calcio ed ex calciatore argentino, naturalizzato italiano.
Citazioni di Antonio Angelillo
modificaIntervista di Claudio Gregori, La Gazzetta dello Sport, 12 febbraio 2005.
- [Riferito ai suoi esordi] Sono nato nel quartiere del Parque Patricios, vicino al campo dell'Huracán, a Buenos Aires. Figlio unico di Soledad e Antonio, un "carnicero", un macellaio. Era la città di Borges e di Gardel, il dio del tango. Immensa. Viva. Bellissima. Lì il calcio era arte, secondo solo al tango. C'erano Di Stefano e Pedernera nel River, Martino e Pontoni nel San Lorenzo de Almagro. Assomigliavo molto a Pontoni, centravanti del San Lorenzo. Tecnica e movimento. Studiavo e suonavo. Per quattro anni ho suonato il bandoneón, una fisarmonica per il tango, che si teneva sulle ginocchia. Ma quando El Gordo Diaz mi vide, incominciai a giocare nell'Arsenal. A 17 anni ho debuttato in A in Huracàn-Racing. Presto ho esordito in nazionale. Il trio d'attacco era Maschio-Angelillo-Sívori. Quando vincemmo il Sudamericano di Lima del '57, siamo diventati "los angeles con caras sucias", gli Angeli dalla faccia sporca. Maschio segnò 9 gol, io 8. Sívori ne realizzò pochi: lui si divertiva. C'era anche il Brasile che l'anno dopo avrebbe vinto il titolo mondiale.
- [Riferito all'arrivo in Italia] Maschio fu ingaggiato dal Bologna, Sivori dalla Juve. Il dottor Cappelli, venuto a vedere per conto del Milan Cucchiaroni, che giocava con me nel Boca, quando tornò in Italia, disse a Moratti: "Ho il centravanti per voi". Fui ceduto la sera di Argentina-Uruguay, 1-1, sul campo dell'Huracán. L'ultima mia partita e l'ultimo gol per l'Argentina. Arrivai a Milano a fine giugno '57 per 80 milioni di pesos. Avevo 19 anni ed ero un disertore. Dovevo partire militare: non sarei potuto andare all'estero. Così, per vent'anni, non sono più potuto tornare in Argentina.
- [Riferito al record di gol nella Serie A 1958-59] Bastava che toccassi la palla ed era gol. Ne feci 31 in 27 giornate. Poi la porta diventò stregata. Il record di Felice Borel, 32 reti, era lì, ma per sei giornate non segnai. Solo pali, salvataggi, errori clamorosi. Con l'Alessandria, alla penultima giornata, quando esordì Rivera, ebbi 5 palle-gol e non segnai: alla fine mi misi a piangere. Solo nell'ultima partita, a San Siro contro la Lazio, spezzai il tabù con una doppietta. Poi nessuno riuscì a fare meglio. E quello, ormai, resta il record del secolo.
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