Kōji Suzuki

scrittore giapponese
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Kōji Suzuki (1957 – vivente), scrittore giapponese.

I.H. Magazine, a cura di Amalia Di Mangano, 29 marzo 2006
  • In Giappone, in passato, il concetto di padre che si impegna per qualcosa era sempre stato collegato alla Patria, alla società, mai alla famiglia! Il padre-tipo giapponese era invariabilmente un genitore duro, dispotico e poco propenso al dialogo con i propri figli; un tempo si diceva "il padre dà la schiena alla famiglia e i figli crescono osservando la schiena del padre". Solo che dando le spalle alla famiglia è impossibile comunicare! Bisogna girarsi e guardarsi in viso l'un l'altro per farlo!
  • Io credo che ogni romanzo sia una commistione di esperienze personali e non, di elementi nuovi ed elementi già acquisiti.
  • Io non penso che il male sia legato alla tecnologia, anzi credo molto nelle capacità dell'uomo e nelle sue creazioni. Sono una persona ottimista che confida nei giovani e nel futuro. C'è molta gente che si lamenta dicendo "ai miei tempi non era così, dove andremo a finire di questo passo?" ma io la penso diversamente e ripongo molta fiducia nella forza presente in ognuno di noi.
  • Penso che i film tratti dai miei lavori siano molto interessanti e [...] i risultati finali sono stati molto soddisfacenti ma i romanzi rimangono comunque un'esperienza più "vera". Leggendo i libri il lettore partecipa attivamente alla narrazione, non si limita a subire le immagini ma le rielabora, integrandole con le proprie esperienze personali e vivendo quindi emozioni più profonde. Da questo punto di vista, i film rappresentano qualcosa di più passivo in cui l'immaginazione del singolo ha un ruolo di secondo piano.

Incipit di alcune opere

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Dark water

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Ogni volta che il figlio arrivava da Tokyo con la famiglia per trascorrere un po' di tempo con lei, Kayo si faceva accompagnare nelle sue passeggiate mattutine dalla nipotina Yuko. Si dirigevano sempre verso capo Kannon, all'estremità orientale della penisola di Miura. La distanza era quella giusta per una passeggiata, il giro del promontorio misurava in tutto poco più di tre chilometri.

Corpi galleggianti

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Yoshimi Matsubara ci ripensò all'ultimo momento e sollevò il bicchiere verso la luce fluorescente della cucina. Ruotandolo appena al di sopra degli occhi, vide galleggiare tante minuscole bollicine, nelle quali sembravano intrappolate innumerevoli particelle di sporco. Poteva trattarsi di un deposito sul fondo del bicchiere o forse le particelle erano contenute proprio nell'acqua. Non lo sapeva. In ogni caso, rinunciò alla seconda sorsata e, con una smorfia, versò tutto nel lavandino.

Isola solitaria

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Aveva spesso preso in considerazione l'idea di abbandonare l'insegnamento. Ne aveva le tasche piene della solita routine, che anno dopo anno non lo stava portando da nessuna parte. Quel maggio, la tentazione di mollare tutto era stata particolarmente forte, ma poi aveva ricevuto la gratifica e le vacanze estive ormai imminenti lo avevano convinto che, dopotutto, fare l'insegnante non era poi così male. Avrebbe tenuto duro ancora un po'.

L'abbraccio

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C'è una piattaforma di osservazione a forma di pino all'estremità di capo Futtsu. Una volta in cima, lo sguardo può spaziare su Yokosuka e capo Kannon. Hiroyuki Inagaki aveva accompagnato il figlio sulla piattaforma per la prima volta dopo molto tempo.

Una crociera da sogno

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Masaytiki Enoyoshi sedeva con la schiena appoggiata all'albero, le gambe distese e i piedi sul boccaporto di prua. In questa posizione estremamente rilassata, sembrava guardare intenzionalmente nella direzione opposta rispetto al pozzetto. Era impossibile sedere sul boccaporto di prua quando vela maestra e fiocco erano issati; chiunque si fosse seduto lì, a ogni cambio di direzione della barca, sarebbe stato d'intralcio alle vele.

Alla deriva

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Come una cascata bianca, la burrasca passò sopra il Wakashio VII, un peschereccio d'altura carico di tonni, per poi allontanarsi in direzione sud lasciando dietro di sé un arcobaleno che, come un arco di trionfo, sembrò dare il benvenuto alla barca di ritorno verso il porto di partenza. Solo un paio di ore prima, erano passati al largo delle isole Ogasawara e ben presto, proseguendo nel loro viaggio verso nord, avrebbero visto comparire il profilo di Torishima.

Acquerelli

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Un giorno di fine estate, verso sera, il ponte sopra il canale di Shibaura stava oscillando nel vento. Edifici vecchi e nuovi si susseguivano alla rinfusa su ciascuna sponda mentre forti raffiche soffiavano attraverso gli spazi che li separavano. Il terzo edificio guardando a sud dal centro del ponte era macchiato di nero, sulla parete posteriore e su quella laterale pareva ci fossero delle striature di fuliggine. Difficile dire se le righe nere dipendessero dalla sporcizia accumulatasi negli anni o fossero state fatte apposta.

La foresta in fondo al mare

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Inizio inverno 1975

Senza che se ne rendesse conto, il soffice terreno sotto i suoi piedi aveva lasciato il posto alla dura roccia. Una volta fuori del bosco, che in quel punto s'interrompeva bruscamente, si ritrovò in cima a un dirupo. Rassicurato dalla consistenza della roccia, si avvicinò al ciglio e guardò giù. Il dislivello non era eccessivo; più sotto, vide un pendio coperto di foglie morte. Un piccolo torrente o qualcosa del genere avrebbe dovuto serpeggiare lungo il versante orientale della montagna, eppure non si scorgevano acquitrini né si sentiva il gorgoglio dell'acqua.

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Un tempo, capo Kannon si chiamava capo Hotoke, cioè capo Buddha. Tuttavia nei suoi quasi settantadue anni di vita, Kayo non aveva mai sentito usare quel nome.
Un giorno d'inizio primavera, all'alba, Kayo s'incamminò a passo svelto lungo il solito sentiero. Kannon, la dea buddista della misericordia, avrebbe dovuto stendere la mano e salvare chiunque la invocasse. Kayo credeva in Kannon, così negli ultimi vent'anni aveva sempre seguito quel percorso durante la sua passeggiata mattutina.

Non appena aprì la portafinestra, l'appartamento fu invaso dall'odore di iodio. Non spirava quasi vento e l'aria della notte, che saliva dalla baia densa di umidità, lo avvolse quando uscì dal bagno. Kaoru trovava piacevole quell'atmosfera che gli ricordava quanto fosse vicino al mare.
Dopo cena, era uscito sul balcone per osservare le stelle e la luna, che cominciava a calare. Vederla cambiare aspetto pian piano era sufficiente per trasportarlo in un mondo misterioso. Capitava spesso che ne fosse ispirato.

Martedì 5 settembre 1990, ore 22.49
Yokohama

Sul lato nord del quartiere residenziale vicino ai giardini Sankeien sorgeva una fila di condomini, alti tutti quattordici piani. Benché fossero stati costruiti da poco, erano occupati quasi per intero. In ogni edificio c'erano un centinaio di appartamenti, ma gli inquilini non si conoscevano neanche di vista. E l'unica prova che là dentro vivesse davvero qualcuno arrivava soltanto la sera, quando si accendevano le luci alle finestre.

Mitsuo Ando stava sognando di nuotare quando si svegliò di soprassalto.
Lo squillo del telefono si sovrappose al rumore del mare e lo strappò immediatamente al sonno, come se fosse stato sospinto da un'onda. Allungò il braccio e sollevò la cornetta. «Pronto...?»
Dall'altra parte sentì solo silenzio.
«Pronto, chi parla?» ripeté, alzando il tono.
Gli rispose allora una donna, con una voce tanto inquietante da mettere i brividi: «L'hai ricevuto?»

Bibliografia

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  • Kōji Suzuki, Dark water, traduzione di Emanuela Cervini, Ed. Nord, 2006. ISBN 8842913847
  • Kōji Suzuki, Loop, traduzione di Chiara Salina, TEA, 2007. ISBN 9788850213825
  • Kōji Suzuki, Ring, traduzione di Lida Perria, Ed. Nord, 2003. ISBN 8842912816
  • Kōji Suzuki, Spiral, traduzione di Chiara Salina, TEA, 2006. ISBN 8850211309

Filmografia

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Altri progetti

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