Alessandro Luzio

giornalista, storico e archivista italiano (1857-1946)

Alessandro Luzio (1857 – 1946), giornalista, storico e archivista italiano.

Mantova, lapide commemorativa di Alessandro Luzio

Profili biografici e bozzetti storici modifica

  • Donna Costanza Trotti Arconati fu il buon genio, la ninfa Egeria degli esuli del Ventuno[1]: poche donne, tra le forti e gentili ispiratrici del nostro Risorgimento, la uguagliarono per l'elevatezza della mente, la vasta e moderna cultura, e soprattutto per la soavità dell'anima che provava una voluttà squisita nel diffondere il bene attorno a sé. (p. 1)
  • Il marchese Arconati[2] era nevrastenico: afflitto da mille ubbie e fobie, che gli amareggiavano l'esistenza; da scrupoli religiosi, che lo facevano spesso correre a' piedi di Gioberti per chieder consiglio e conforto o per confessarsi reo di immaginarie colpe!... Il vero spiritus rector della casa era Donna Costanza, che doveva vegliare sulla salute del marito e sull'educazione di Carletto. (pp. 4-5)
  • Donna Costanza, senza le pose antipatiche della letterata, della politicante, spiegò influenza salutare e profonda – assai più di molte sue amiche, dal carattere chiassoso, remuant. Essa respingeva le lodi che le venivano fatte dagli amici riconoscenti; ma in cuor suo avrà pensato e detto, come la Poesia del Pascoli: «io sono la lampada che arde soave»; al mite e fermo chiarore della mia fiamma di patriottismo gli esuli si sentono più sereni e più forti. Altro non chiedo. Ogni ambizione femminile impallidisce dinanzi a quest'intima soddisfazione. (pp. 21-22)
  • Chi ha letto Les origines de la France contemporaine del Taine non può aver dimenticato le frequenti citazioni, che il potente demolitore della leggenda rivoluzionaria fa degli scritti di Mallet Du Pan. Pacato e profondo scrutatore di tutti gli avvogimenti della politica giacobina, coraggioso flagellatore di ogni eccesso demagogico, Giacomo Mallet Du Pan (1749-1800) può essere considerato il primo de' grandi giornalisti liberali moderati dell'Europa moderna: e il suo esempio è confortante e istruttivo anche pel nostro tempo, in cui nello spirito pubblico si vanno maturando rivolgimenti non dissimili da quelli del secolo decimottavo. (p. 69)
  • Mallet, repubblicano e protestante, non aveva certo alcuna simpatia per il dispotismo e la corruttela dell'ancien régime; ma riteneva giustamente che un'azione energica e conseguente di riforme avrebbe potuto giovare alla nazione francese e all'Europa, assai più delle convulsioni rivoluzionarie, che, era facile prevedere, avrebbero messo a soqquadro Parigi e il mondo.
    Egli prese perciò sin ab initio una posizione a parte nella stampa francese; alieno non meno dalla rabbia settaria del giacobinismo, che dalla cieca intransigenza de' partigiani di istituzioni decrepite e marcite, Mallet fu costantemente il propugnatore di quella politica liberale, e di quelle franchigie costituzionali, di cui già l'Inghilterra era maestra. (pp. 70-71)
  • I quindici anni che Benedek sorvisse[3] alla sconfitta di Königgrätz[4], furono un lento suicidio, ch'egli volle, con sovrumano eroismo imporre a se stesso. Avrebbe potuto vittoriosamente scolparsi, svergognare i veri responsabili del disastro, che invelenivano sul caduto, fatti più audaci dal suo magnanimo silenzio; ma aveva promesso che «né vivente, né d'oltretomba» leverebbe mai la voce a sua difesa, e Benedek tenne scrupolosamente la sua parola con lealtà di soldato, senza mai considerarsi svincolato per l'altrui malafede. Tutti i documenti, tutte le prove che potevano giovare alla sua rivendicazione furono da lui consegnati alle fiamme; nella furia del distruggere bruciò persino, senz'avvedersene, una somma di denaro che aveva, con pietoso pensiero, messa in serbo fra le sue carte per un vecchio domestico. (p. 287)
  • Verso l'ammiraglio Persano i vincitori di Lissa si mostrarono altrettanto equanimi, quanto spietati furono i commilitoni, i compatrioti. (p. 500)
  • Anche i giudici più benevoli al Persano notano tra molti difetti – che paralizzavano le sue buone qualità – come il più spiccato e imperdonabile l'«abito inveterato» della menzogna. (p. 504)
  • Lo stato d'animo degli italiani, prima e dopo la guerra del '66[5], fu descritto, direi spietatamente notomizzato, dal Villari nel celebre opuscopo Di chi è la colpa? uno de' primi mirabili saggi di critica politico-sociale dell'insigne maestro.
    Il Villari additava l'unica salvezza per la nazione [italiana] nella modestia, nella volontà, nel lavoro, onde appunto riparare al danno e al disonore, che ci eravamo attirati con la nostra leggerezza, con la nostra tronfia retorica, con la nostra petulante indisciplina. A guarirci non era bastata Custoza[6], ed avevamo ad alte grida provocato una seconda, più crudele lezione dalla Nemesi dei popoli deboli, impulsivi e nervosi: Lissa[6]. (p. 507)
  • L'audacia e l'impudenza di Depretis nel '66[7] come ministro della marina superano ogni descrizione. Il Giuriati disse argutamente che pur di comandare, il vinattier di Stradella[8] avrebbe «accettato il soglio pontificio»; e la frase collima perfettamente con quella dello stesso Depretis, che al Persano[9], il quale gli osservava non esser gli ufficiali di marina indicati a guidare le truppe di sbarco – replicò: «un ufficiale della marina deve anche saper dir messa». (p. 511)
  • [Ludovico il Moro] La maniera con cui seppe impadronirsi del Ducato, destreggiandosi tra le potenze vicine, che tutte lo tenevano d'occhio, é una specie di capolavoro della politica personale del rinascimento. Levato così in alto per via di accortezza, non seppe mantenervisi. Ad esser completo gli mancava il coraggio. Pusillanime lo dice il Commines, che lo trattò; pusillanime e doppio. Della parola data non teneva alcun conto; mentre stringeva un patto, pensava al modo di mancarvi, se gli fosse tornato comodo. Tale doppiezza avrebbe potuto valergli; ma congiunta con la paura fu la sua rovina. Sospettoso ora di Napoli, ora di Venezia, chiama i Francesi ed è il primo a temerne e si fa alleato l' Imperatore. La sua politica continuamente vacillante gli fa nemici tutti, onde è costretto a finire nella miseria della cattività di Loches. Ma è male il giudicarlo tutto sinistramente, come vollero molti storici. Nella sua figura v'è della grandezza. [...] Quando non erano in giuoco i suoi interessi politici, era umano e gentile con tutti, mite, largo, benefico.[10]
  • Persano giurava di non aver sollecitato il posto di duce supremo, di aver voluto poi dimettersi ed aver ceduto ad "augusti consigli" (Principe di Carignano) – ed è qui il suo torto.
    A 60 anni, con una vita molle ed effeminata, con una fama assai contestata, egli doveva sentire che le sue spalle erano troppo impari all'immane bisogna: onestà e patriottismo imponevano di rifiutare irrevocabilmente. (pp. 514-515)
  • Schivo di onori, sdegnoso di cortigianerie – quanto vi si impantanava Persano – Tegetthoff non aveva tenerezze per l'Austria assolutista: anzi il partito liberale tedesco lo contava tra le sue maggiori speranze. Lo Schrötter, nell'elogio funebre dell'ammiraglio, chiamava quella perdita forse più dolorosa per gli austriaci nel campo politico che non nei riguardi della Marina. (p. 524)
  • [Wilhelm von Tegetthoff] «Scienza e libertà» era il suo motto – una impresa ereticale in Austria; – e alla scarsa istruzione de' primi anni di carriera aveva supplito da sé, con svariate letture nelle lunghe traversate. Lo si vedeva allora a bordo con un volume di Kant o di Byron; sul suo letto di morte stavano i libri di Darwin e di Doellinger. Che perciò non fosse amato ne' circoli di Corte e della aristocrazia clericale (che egli ricambiava di cordiale antipatia), s'immagina facilmente; ma che pochi mesi dopo dalla vittoria di Lissa l'ammiraglio fosse già caduto in disgrazia e viaggiasse pel mondo in non volontario congedo è storia, che parrebbe inverosimile se non fosse autentica. (p. 524)
  • [...] la Quarterly Review del 1899 (cosa notevole in un periodico inglese) ammetteva che l'eroismo, la risolutezza la felicità di risorse del Tegetthoff non furono mai sorpassate da Nelson. Certo, l'uomo che ad Heligoland, quando gli annunziano un principio d'incendio sulla nave, risponde seccato: «ebbene, spegnete» (nun, so lösche man), perché vuole pure spuntarla contro forze preponderanti; – l'uomo che a Lissa sa afferrare audacemente l'unica chance di vittoria e «crea una flotta all'Austria», secondo la pittoresca espressione di Bixio; è una figura degna di tanto maggiore ammirazione, perché non macchiata da nessuna delle colpe che offuscarono il nome di Nelson.[11] (pp. 525-526)
  • Tutti sentono che questa lettera non è una delle solite partecipazioni mortuarie a frasi fatte. Da ogni linea traspira un cordoglio profondo ed intenso. E infatti fu questo il più forte dolore che [Ludovico] il Moro avesse a soffrire, perché Beatrice fu forse l'unica persona al mondo che egli amò con passione viva, disinteressata e tenace. Quella donna rapita ai vivi mentre era ancora così giovane, mentre era l'anima di tutte le imprese e i diletti del marito, madre da pochi anni di due fanciullini adorati, colpì il cuore di tutti.[12]

Note modifica

  1. I patrioti esiliati per i moti del 1820-21 contro i regimi assolutisti.
  2. Giuseppe Arconati Visconti cugino e marito di Costanza Trotti Bentivoglio; il loro figlio Carlo morì in giovane età.
  3. Sopravvisse.
  4. Battaglia di Königgrätz o di Sadowa, evento conclusivo della guerra austro-prussiana del 1866.
  5. Terza guerra d'indipendenza italiana.
  6. a b A Custoza e a Lissa, l'Esercito e la Marina del giovane Regno d'Italia avevano subito due umilianti sconfitte.
  7. 1866.
  8. Allusione malevola al Depretis, nato nei pressi di Stradella, comune dell'Oltrepò Pavese.
  9. Comandante della flotta italiana nella terza guerra d'indipendenza.
  10. (Alessandro Luzio e Rodolfo Renier, Delle relazioni di Isabella d'Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza, pp. 22-23.
  11. Allude al coinvolgimento di Nelson nella feroce repressione della Repubblica napoletana del 1799.
  12. Alessandro Luzio e Rodolfo Renier, Delle relazioni d'Isabella d'Este Gonzaga con Lodovico e Beatrice Sforza, Milano, Tipografia Bortolotti di Giuseppe Prato, 1890, p. 87.

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