Aleksandr Aleksandrovič Kotov

scacchista sovietico

Aleksandr Aleksandrovič Kotov (1913 – 1981), scacchista sovietico.

Aleksandr Kotov nel 1967

Alekhine

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I giocatori più famosi, cioè i maggiori maestri del loro tempo, sono entrati in varie maniere a far parte del mondo degli scacchi. Alcuni hanno raggiunto il successo fin dalla prima infanzia: sono i cosiddetti «bambini-prodigio». Il piccolo José Capablanca, a quattro anni, batteva già il padre ed i suoi amici; in poco tempo divenne un giocatore di prima forza. Ancora più sorprendente fu lo sviluppo di Samuel Reshevsky: a otto anni già sostenne negli Stati Uniti, una serie di esibizioni simultanee contro adulti. All'estremo opposto troviamo invece quei giocatori giunti relativamente tardi all'apprendimento delle prime nozioni del gioco. Mikhail Cigorin era già in là con gli anni rispetto ad altri (più che ventenne) quando si cimentò per la prima volta con gli scacchi, mentre il grande maestro austriaco Rudolf Spielmann iniziò in età ancora più avanzata, ma ciò non gli impedì di raggiungere e concretizzare in breve tempo quel «quid» tecnico e concettuale, nella connaturata interazione tra le leggi dell'armonia scacchistica, che i talenti sviluppatisi nell'infanzia sembrano ricevere quasi per magia «dal latte materno».

Citazioni

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  • Alexander Alekhine è uno di quei giocatori che si sono avvicinati agli scacchi in modo «normale». Non fu certo un bambino-prodigio, ma imparò a giocare nonostante ciò in tenera età. Il suo sviluppo come scacchista fu pari e parallelo alla propria maturazione giovanile: ricevette una buona educazione e visse da persona intelligente, culturalmente realizzata, anche se gli scacchi occuparono in modo costante i suoi pensieri dall'infanzia fino agli ultimi giorni di vita. (cap. 1, p. 13)
  • [Riferendosi all'abbandono dell'Unione Sovietica, di Alekhine e la moglie, nel 1921] Per spiegare (ma ovviamente non per giustificare) questa e molte altre sue azioni, dobbiamo considerare la sua origine ed il suo stato sociale nella vecchia Russia. Membro della nobiltà, uomo di grandi ricchezze (ereditò molte azioni dell'industria tessile materna), non accettò subito, come la maggior parte degli esponenti della sua classe, la Rivoluzione d'Ottobre. Al tempo stesso, però, amava il suo paese e non si decise facilmente a lasciarlo. (cap. 1, p. 21)
  • La facilità e l'eleganza del gioco del cubano [Capablanca] avevano incantato tutti, ed è quindi comprensibile che nessuno si accorse delle seppur relative debolezze che si celavano dietro quella smagliante superficie. Bisognava possedere coraggio ed audacia, per arrivare in proposito ad un'opinione imparziale e sfidare le idee così radicate preconcettualmente in tutto il mondo scacchistico.
    Ebbene Alekhine giunse alla conclusione che la «macchina»[1] non era assolutamente immune da errori! Nelle sue partite c'erano talvolta tali imprecisioni, errori di calcolo o sviste che, per certi versi, Capablanca poteva essere tranquillamente considerato un «comune mortale», tutt'altro che un implacabile ed invincibile «meccanismo». (cap. 2, p. 58)
  1. All'apice del suo successo, Capablanca veniva definito «macchina da scacchi».

Bibliografia

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  • Alexander Kotov, Alekhine, traduzione di A. Capece e R. D'Arpino, Prisma, Roma, 1985.

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